2. Affilato come un coltello

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Ad ogni passo un pezzo di me era sempre più lontano, perso sulle mattonelle che calpestavo in modo così leggero ed insensato.

Mi sembrava di essere un avocado, svuotato in tutto. Ero un guscio di un qualcosa che ora non c'era più.
Per un attimo la cosa mi fece balenare in testa un accenno di divertimento ma si dissolse non appena elaborai quanto fosse ridicolo nel concetto stesso, nel contenuto. Mi stavo beffando di me stesso.
Il motivo di tutto questo aveva un nome: Louis Tomlinson, andatosene quella mattina stessa senza salutarmi. Non ero mai stato provo cogli addii ma anche qualche parola imbranata o il semplice fatto di vedere i suoi occhi cristallini con il pensiero che fosse l'ultima volta..potevamo..

Mi ritrovai nel vialetto di casa mia e la mia attenzione su attirata dall'altra parte della staccionata bianca e corrosa dal tempo. Solo silenzio. La dimora dei Tomlinson era silenziosa, nessun lamento fra fratelli o battibecchi mattutini.

La gelida aria che si alzò di colpo mi spinse ad entrare in quella che doveva essere casa mia ma che per me era una prigione. Non fraintendetemi; fuori stavo bene, potevo essere chi volevo e fare quello che in casa era severamente vietato. Inoltre conoscevo quel tetto come accumulo di ricordi non sepolti, vividi che ti entravano sotto pelle in ogni momento di pensiero.

Era la mia gabbia.

Non appena aprii la porta in quel gesto quasi meccanico e abituale delle urla fecero vibrare i miei padiglioni auricolari: era Dory, la mia domestica e bambinaia. Mamma, quando era in tribunale o era incasinata innocentemente nelle faccende di mio padre - ovvero sempre -, c'era Dory. Mi ha cresciuto ma con l'età ha iniziato a non comprendermi più, a pressarmi al posto di mia madre. Anne Cox, precedentemente Signora Styles, passava ogni giorno a letto. I dottori ci avevano informato che era caduta in una sorta di depressione e qualsiasi cosa non l'avrebbe curata del tutto, come un tumore maligno.

Non avevo più una madre se non un vegetale che spiaccicava sempre le solite parole 'Non ho voglia, sono stanca al momento. Chiedi a Dory.' e la sua voce era sempre più cupa, triste, morta.

Mia madre era morta ed era stata rimpiazzata da questa donna dai tratti latini, dalla costituzione larga e dai capelli scuri e lunghi.

Quando ero piccolo l'adoravo, mi coccolava per qualsiasi cosa anche perché ero un bambino obbediente ed educato; ora, invece, andava incontro a qualsiasi cosa volevo o facevo. Non se ero io o lei il problema ma resta il fatto che lei era una dipendente della mia famiglia e doveva farsi i fatti suoi certe volte.

-Dove sei stato?- urlò dalle scale prima di affrettarsi a venire vicino a me che, incurante, me ne stavo già andando in cucina.

-A vivere la mia vita lontano da questa 'depressione' di casa.- e volutamente quella parola tagliente ferì entrambi ma ne fui felice di quella soddisfazione che si faceva spazio in me, -Non ti devi preoccupare. Tu fai le tue cose e io faccio le mie. Nessun impiccio.-.

-Io faccio le mie cose?!- ripeté a voce alta, totalmente un'altra cosa rispetto alla mia voce pacata e rilassata, -Per chi mi hai preso? Non sono solo una domestica, nemmeno la tua cameriera. Sono qui per tua madre che-

-Oh, quanta commiserazione per mia madre. Poverina.- biascicai con la testa dentro il frigo, più come un pensiero fra me e me.

Quelle parole parvero irritarla, tanto che sbatté qualche utensile ignaro a me sul ripiano della cucina.

-Non parlare così di tua madre! E' stato con un uomo che stuprava delle donne, che ha fatto quelle...cose. Quante famiglie ha straziato, quante colpe ha avuto anche lei per cieco amore nei confronti di quel mostro. Sai che vita difficile ha passato?! Te ne rendi conto?- e mai aveva avuto così tanto il coraggio di alzare la voce.

-Vita difficile? Lei ha passato una vita difficile??- e piantai il coltello nel tagliere dove poco prima stavo affettando morbosamente delle carote, -Quindi, suo figlio o quella creatura che ha messo al mondo e ha fatto una vita da cani? Lui non ha passato una vita del cazzo??-. Fu il mio turno di urlare e guardarla in cagnesco.

Lei parve quasi spaventata ma rimase nella sua posizione.

-Cresci tu senza una madre, senza quell'amore materno e quell'infanzia che tutti i bambini hanno avuto, felici.- e giurai di aver sentito qualcosa pizzicarmi gli occhi mentre la sua figura poco più bassa di me mi veniva incontro, cogli occhi della compassione. Di nuovo quello sguardo, quello che ricevevo ogni giorno della mia esistenza.

Avrei preferito odio, non questa..messa in scena.

-Ma tu hai avuto tanto amore..hai avuto me.- cercò di calmarmi ma respinsi la sua mano dalla mia guancia come se mi avesse scottato. Non aveva il diritto di toccarmi, per me ormai non era nessuno.

Che tristezza essere bambini e dire 'Aspetta che lo vado a chiedere Dory.' oppure 'Dory si arrabbierà per questo.'. Mia madre aveva preso il nome di Dory.

-Tu mi odi.- replicai tornando alle mie carote. Cercai di distrarmi e a pensare a tutte le proprietà nutritive che quel vegetale conteneva. La mia mente non poteva avere certi pensieri, non..adesso.

-Perché dovrei-

-Guardi me come guardavi mio padre.- risposi prima che lo dicesse. Il semplice fatto di dirlo significava ammetterlo. Come quando hai dolore al petto per l'ansia ma va tutto bene finchè non ammetti che stai per avere un attacco di panico.

Lei stette in silenzio e portò quella mano alzata per accarezzarmi per stringerla in un pugno tremante lungo il suo fianco.

-Sei un dannato bambino viziato. Non mi sei mai piaciuto, pieno di privilegi e solo perché tuo padre-

-Non nominare mio padre!- urlai sollevando d'impulso la lama del coltello verso di lei. Lei lo guardò per la vicinanza col suo viso prima di tornare a me, occhi di scherno.

-Cosa vorresti fare con quello? Vuoi sembrare tuo padre?- e ricalcò quell'aggettivo possessivo e quel nome comune di persona che non ho mai conosciuto per bene se non per i suoi peccati. Quel possessivo non si addiceva a me, nonostante ce l'avessi scritto nel sangue e in qualsiasi tratto del mio fisico.
-Sei soltanto frutto di un peccato mort- e qualsiasi parola fu risucchiata da quell'oggetto tagliente, dentro il suo addome.
Abbassò gli occhi sbarrati mentre il suo corpo ebbe degli spasmi. Mise i palmi delle mani attorno a quella ferita profonda.

-Ho detto di non nominarlo.- e girai il manico della sua carne, nelle sue interiora.

Lei boccheggiava mente le sue gambe iniziavano a cedere, urli ovattati dal dolore. Cadde a terra e la lama si sfilò dal suo corpo per come tenni ben saldo il manico.
Il suo scuro sangue sfavillò mentre invano cercava di coprire l'emorragia che gli avevo causato. Anzi, gentile lettore, mi correggo.

*Che lei si era voluta procurare.

La guardai fra le lacrime mentre il suo corpo iniziava a rilassarsi su quelle mattonelle bianche, silenziosamente macchiate da quel fluido caldo e ferreo.

-S-Sei p-proprio come..tuo padre..-.

Sorrisi a quelle parole.

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Ammetto di essere ancora un po' insicura su questa storia ma credo si debba ancora sviluppare.

Detto questo spero solamente che voi amiate le scene crude, perchè ne arriveranno un sacco.

Ricordatevi di appoggiarmi con una stellina e un commento, in modo di avere il vostro consenso per il prossimo capitolo!

All the love, .x

Virgin Blood || l.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora