Capitolo 1

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Erano le sette del mattino di una giornata piovosa. Emma si svegliò con la solita faccia stanca pensando che un'altra giornata sarebbe dovuta iniziare. Ma lei non voleva iniziare. Non quel giorno. Non quella mattina. Non in quella vita. Perché sapeva cosa la aspettava.
Uscì dal letto con una svogliatezza pesante, quasi soffocante, e si diresse a prepararsi per andare a scuola. Andava al quinto anno del liceo e quell'anno avrebbe avuto la maturità. Un traguardo importante. Tutti si aspettavano molto da lei. Tutti credevano che lei fosse la studentessa modello, con buoni voti e un sorriso smagliante in ogni occasione, ma questa era solo apparenza. Non era la verità. Non era quello che era veramente. Nessuno poteva sapere com'era veramente. Nessuno poteva neanche immaginarlo. Perché sotto quel bel sorriso si nascondeva un animo fatto di insicurezze e di ferite che negli anni le erano state inflitte. Ecco perché ad un certo punto aveva iniziato a sorridere. Perché voleva dimenticare. Voleva dimenticare ogni cosa. Voleva che le persone la smettessero di ferirla così facilmente. E l'unica cosa che li teneva a bada, era il suo sorriso. Un sorriso falso e ipocrita. Ma era già qualcosa. Era qualcosa che le permetteva di andare avanti. Era qualcosa che la faceva sperare in un futuro migliore. Una volta vestita e sistemata, andò in cucina per fare colazione, e fu accolta da tutta la famiglia. Mamma, papà e...eccola lì, seduta sulla sedia, sua sorella, che le sorrideva raggiante. Era strano che sua sorella avesse sempre un sorriso a portata di mano. E non era un sorriso falso come il suo, ma era un sorriso vero, che prometteva speranza e gioia. Era strano perché sua sorella ne aveva passate tante. All'età di 6 anni aveva avuto la leucemia. Una malattia dura, prepotente, che ti entra nelle ossa e non le lascia più. Ma era riuscita a vincere. Era riuscita a venirne fuori viva, lasciando a bocca aperta tutti i medici che la davano già per spacciata. Ma, un giorno, mentre stava andando a cavallo, qualcosa nella sua gamba destra si era spezzato. Il femore, avevano detto i medici dell'ospedale. Dovette stare per un mese e mezzo in un letto ingessata, ma non fu tutto. Alla fine del mese e mezzo, i medici dissero che non avrebbe più potuto camminare, che sarebbe dovuta stare su una sedia a rotelle per il resto della sua vita. E fu così. Da quel giorno, non poté più camminare come prima. Da quel giorno, la sua vita cambiò drasticamente. Da quel giorno, iniziarono una serie di interminabili visite e controlli prima frequentissimi e poi sporadici, esami del sangue e interminabili colloqui con i dottori. Ma nonostante tutto quello che aveva passato, sua sorella la guardava seduta sulla sua sedia, sorridendole senza dire una parola.
Sua sorella si chiamava Sara. Un nome semplice, che a molti poteva sembrare banale e scontato, ma che esprimeva esattamente la gioia che viveva dentro di lei. Quella gioia. Quante volte era stata invidiosa di quella gioia. Quante volte aveva visto sua sorella rispondere con un sorriso a chi la insultava. Quante volte aveva provato a imitarla. Quante volte aveva fallito risultando solo una marionetta ridicola.
Si sedette per fare colazione. Sua mamma, Lisa, stava canticchiando mentre preparava la colazione. Sua mamma, una donna formidabile. Sempre pronta a fare qualcosa per il prossimo. Sempre pronta ad essere altruista. Sempre pronta a dare la vita per le sue figlie. Emma venne riportata alla realtà dalla voce di Lisa: "Vuoi mangiare qualcosa prima di andare a scuola o preferisci morire di fame?" Disse in modo scherzoso. "Si sì, anche se non ho molta fame" rispose Emma sforzandosi di fare un sorriso.
"Se non ti sbrighi farai tardi a scuola" disse Lisa. Questa volta, oltre al suo solito sorriso materno, c'era anche un velo di apprensione. Emma si voltò preoccupata verso la sorella. Non le piaceva quello sguardo. Perché era come se togliesse ogni barriera che lei aveva faticosamente costruito in tanti anni per andare bene al mondo. Era come se sua madre la mettesse a nudo e scoprisse tutti i bozzi e le ammaccature che aveva coperto con tanta fatica. Ma se lo sguardo di sua madre l'aveva fatta sentire stupida e in imbarazzo, l'altro sguardo, quello di Sara, le diede sicurezza e tranquillità. La stava guardando ancora con quel sorriso, ma più intenso. Più intenso di quello che le aveva fatto quando era entrata in cucina. Più intenso da toglierle il respiro. Più intenso da credere che tutte le cose brutte al mondo fossero state spazzate via e non c'era più bisogno di preoccuparsi.
Emma si ricordò che doveva respirare, prese un biscotto da una grossa scatola di latta, e lo inzuppò nel latte senza dire una parola. Ed eccola ricadere nei suoi pensieri. Molto spesso le capitava di staccarsi da terra e di andare in un mondo tutto suo. Un mondo dove nessuno poteva vederla. Un mondo dove poteva gridare agli altri quello che provava senza essere giudicata. Un mondo dove si sentiva se stessa al 100%. Si stava già abituando a quella sensazione di puro benessere e pace interiore, quando Lisa disse che era ora di partire per andare a scuola.
Emma, dopo aver indossato il cappotto, si mise la cartella in spalla e aprì la porta di casa per uscire. Il tempo era scaduto. Non aveva più scusanti. Avrebbe dovuto affrontare anche quella giornata.

Arrivò a scuola verso le 7:50. Le lezioni sarebbero dovute iniziare alle 8:10. Quindi aveva ancora un po' di tempo. Un po' di tempo per parlare e scherzare con i suoi amici, avrebbero detto gli altri. Un po' di tempo per farsi guardare da un'infinità di occhi, diceva lei. Non voleva stare nei corridoi di quel posto, perché più si sforzava di non attirare l'attenzione, più tutti la notavano e la continuavano a guardare per un lasso di tempo che a lei sembrava interminabile. Non voleva farsi notare. Perché sapeva che qualunque cosa avesse detto o fatto, sarebbe stata usata contro di lei. Ed era l'ultima cosa che voleva. Ed ecco che, vista da fuori, sembrava una ragazzina normale, con il sorriso stampato in faccia, a testa bassa, che si muoveva timida tra le persone. Quanto avrebbe voluto che Sara fosse stata lì con lei. Quanto avrebbe dato per rivedere quel sorriso che riempiva tutte le sue ferite. Ma lei non c'era. Perché i suoi genitori, in accordo con i medici, avevano deciso che avrebbe frequentato una scuola privata, fornita di tutte le attrezzature per persone che avevano "problemi" di quel genere. Che le avrebbero semplificato la vita. E Sara era felice di frequentare quella scuola. Aveva perfino degli amici. Ogni volta che parlava di loro, Emma sentiva una coltellata nello stomaco. Non sopportava l'idea che sua sorella potesse avere degli amici. Degli amici veri. Perché lei, nella sua scuola, non li aveva affatto. Era un continuo fingere, ma era l'unico modo per sopravvivere.
La campanella suonò ad annunciare l'inizio delle lezioni, e gli studenti incominciarono ad entrare nelle loro aule. Emma avrebbe avuto matematica alle prime due ore. Una materia che le piaceva perché teneva impegnata la mente e non le permetteva di pensare.
Si stava dirigendo nella sua aula, quando, in fondo nel corridoio, vide sua mamma Lisa. Strano che sua mamma fosse li. Perché di solito, sua mamma non l'accompagnava nemmeno dentro la scuola. Di solito se ne stava in macchina e, mentre lei stava scendendo, le diceva un: "Buona giornata tesoro, ci vediamo dopo" e poi se ne andava. Ma adesso era lì, e la sua faccia non esprimeva certo allegria. Anzi, era come spaventata. Non aveva mai avuto una faccia così sconvolta, o per lo meno, non lo aveva mai mostrato alle sue figlie. Si avvicinò a grandi passi in direzione di Emma. Più si avvicinava più era come se la tensione crescesse, finché non le fu accanto. Cercò di ricomporsi, senza riuscirci del tutto, e disse: "Emma, dobbiamo andare a casa!".
Emma non fece in tempo a rispondere: "Mamma ti senti bene? Io ho lezione adesso! Mi hai lasciato davanti alla suola un attimo fa. Devo andare a lezione..." che Lisa la strattonò per un braccio e le disse: "Emma, so quello che sto facendo, ma non posso spiegarti niente ora. L'unica cosa che posso dirti e che dobbiamo lasciare questo posto il prima possibile. Siamo in pericolo..."
Poi le passò una mano sulla guancia e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Era sull'orlo della disperazione, ma un sussurro riuscì ad uscire dalle sue labbra: "Figlia mia, lo so che è difficile da credere, ma ti prego di fare come ti dico."
E lei le credette. Non poteva perdere anche sua madre. Non poteva lasciare andare anche lei. Non poteva tagliare fuori dalla sua vita l'unica persona che l'avesse mai amata veramente. E allora fu scossa dallo stato di shock in cui era entrata vedendo le lacrime rigare il volto della madre e si ricordò come si faceva a camminare.
Un passo dopo l'altro, stavano arrivando quasi alla fine del corridoio della scuola, quando in fondo dalla parte opposta, dai bagni, uscì una ragazza che si mise ad urlare. Un grido così forte e così tagliente, che tutti gli studenti e gli insegnanti si girarono a guardarla.
La ragazza guardò tutti con aria terrorizzata e riuscì a dire, con voce strozzata: "C'è un cadavere in bagno! Ha un taglio enorme sulla pancia ed ha un simbolo inciso sul petto!" Lisa si irrigidì, serrò forte la mascella e disse tra se e se: "Proprio come pensavo. Sono riusciti ad arrivare anche qui. Chissà cosa sono disposti..." Si fermo di soprassalto, capendo che non era sola, e si rivolse ad Emma: "Dobbiamo uscire di qui, tesoro, immediatamente! "
La ragazza che aveva urlato era ancora lì, immobile. Poi, come se avesse finito di fare la sua parte, il suo corpo cedette e lei si accasciò per terra svenuta.
Esplose il caos: c'era chi, curioso, andava a vedere il morto, c'era chi usciva dalla scuola terrorizzato e c'era chi andava in presidenza per cominciare l'accaduto.
Lisa e Emma si misero a correre. Ma non fecero due metri che una freccia si conficcò nel petto di Lisa. Una freccia nera, che finiva con delle piume anch'esse nere e lucide. Una freccia mortale. Lei aprí la bocca, si accasciò a terra, paralizzata, e una pozza di sangue si formò ai suoi piedi. Ansimando, tirò a se la figlia e le disse: "Emma, scappa e non farti trovare da loro. Non devono averti...sarebbe la fine! Trova tua sorella, lei saprà cosa fare. Lei ti spiegherà tutto e ti porterà nel luogo dove non possono prenderti. Ti vorrò sempre bene figlia mia...sarò sempre nel tuo cuore!" E con una mano sporca di sangue le toccò il petto e poi le strinse la mano. Dapprima la stretta fu salda, ma con il passare dei secondi, si fece più debole, finché tutto il suo corpo si lasciò andare e giacque per terra immobile.

L'anello mancanteWhere stories live. Discover now