Capitolo 2

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Emma non voleva accettarlo. Non poteva accettarlo. Era troppo, anche per lei. Non poteva accettare l'idea di aver perso per sempre sua madre e, nell'ipotesi peggiore, tutti i membri della sua famiglia.
Cosa voleva dirle Lisa? Perché le aveva tenuto nascoste tutte quelle cose? Perché non gliene aveva parlato? Cosa centrava lei in tutta quella storia? Quella ridda di domande travolse Emma come uno tsunami. Era come se tutto il mondo le fosse crollato addosso. Era come se per 19 anni avesse vissuto in una bolla di vetro che adesso, improvvisamente, si era rotta in mille pezzi. Si sentiva impotente e, forse, se fosse morta con sua madre, sarebbe stata meglio. Non avrebbe più provato dolore. Perché lasciarla li da sola senza nessuna informazione? Perché trovare Sara? Dov'era Sara? Emma si ricordò tutt'a un tratto di sua sorella. Lei, in quella situazione, avrebbe saputo sicuramente cosa fare. Perché sapeva. Sapeva e non le aveva detto niente. Emma, però, non la biasimava, perché era certa che aveva seguito gli ordini di Lisa.
Con gli occhi inondati di lacrime, si mise a cavalcioni sul corpo senza vita di sua madre e cercò di rianimarla. Non poteva essere morta. Non così. Doveva esserci un modo per riportarla indietro. Ma a tutti i suoi tentativi, il corpo rimase immobile. Emma guardò il volto della madre, sperando che da un momento all'altro quell'espressione piatta si trasformasse in un sorriso, ma nulla di tutto questo accadde. E allora, dopo tutti quei tentativi andati a vuoto, scosse quel corpo senza ritegno, solo per non vederlo vuoto e fisso. Alla fine però, con la fronte imperlata di sudore e con la disperazione nel cuore, dovette capitolare.
Ad un tratto, decise di prendere il telefono per chiamare i soccorsi. Sicuramente sarebbero arrivati nel giro di 5/10 minuti ed, essendo ovviamente più esperti di lei, l'avrebbero riportata in vita. Ci sarebbero riusciti. Dovevano riuscirci. Ma, per tutte le quattro volte che chiamò, il telefono suonò a vuoto. Non sapendo più cosa fare, si sedette contro la parete e si coprì il volto con le mani per nascondersi da tutto e da tutti e soffrire in silenzio. Non c'era nessuno, o cosi le sembrava, ma lo fece in automatico. Ed ecco che si ricordò tutte quelle frasi che i ragazzi usavano per punzecchiarla: "hai problemi propio come tua sorella!", "devi andare nella scuola dove va lei"... Si ricordò quando si copriva il volto con le mani per nascondere le lacrime e tenerle solo per se: non voleva che gli altri la vedessero in quello stato, ma in quei momenti non aveva neanche la forza di correre in bagno, perché sarebbe stata giudicata una debole e derisa ancora di più. Si ricordò delle domande che sua madre le rivolgeva quando tornava da scuola e i sorrisi falsi con la quale lei le rispondeva. Si ricordò tutto, e una nuova ondata di acuta afflizione la colpì di nuovo. Cercò di reprimere i singhiozzi. Non voleva lasciarsi andare in quel momento. Non poteva. Finalmente riuscì a ritornare al presente e si accorse che attorno a lei e sua madre si era creata una folla di persone, ognuna con un'espressione diversa: c'era chi, avendo capito la situazione, si era portato una mano alla bocca e aveva gli occhi aperti per il terrore. C'era chi, appena arrivato, curioso, stava cercando di capire cosa fosse successo. Se però qualcuno avesse guardato quella folla accalcata intorno ad Emma e Lisa, il sentimento comune che avrebbe percepito in tutte quelle facce ed espressioni sarebbe stato uno solo: la paura. Perché tutte quelle persone avevano paura. Paura che una cosa del genere si fosse verificata in un luogo che veniva ritenuto "sicuro". Paura che una cosa del genere si fosse verificata con una semplicità disarmante. Paura che una cosa del genere sarebbe potuta capitare a qualcun altro. Emma guardava tutte quelle persone implorante per un aiuto, ma nessuno era interessato a lei. Tutti stavano puntando gli occhi sul cadavere di sua madre e, in particolare, sulla grande freccia nera che le usciva dal petto. Tutti davano più importanza a sua madre morta che a lei viva. Emma, allora, sentì il bisogno di guardare il volto della persona che le aveva donato la vita. Ma, mentre stava abbassando la testa, una voce le giunse da dietro le spalle: "Ehi, serve aiuto?". Emma si voltò di scatto. La voce proveniva da un ragazzo alto, magro, con una folta chioma di capelli rossi e degli occhi di un verde intenso. Portava una camicia azzurro chiaro sotto un golf grigio, dei jeans scuri e delle scarpe da ginnastica bianche. Malgrado la paura, il suo volto esprimeva solidarietà e apprensione, e questo confortò per un istante Emma. Per la prima volta c'era qualcuno che non la guardava con il solito sguardo con cui la guardavano tutti. "Si, forse riuscirai ad essere più d'aiuto tu che io. Poco fa ho provato a chiamare i soccorsi, ma non sono riuscita a telefonare" rispose Emma portandosi indietro i capelli. Il ragazzo provò a parlare, ma non disse nulla perché fu distratto dal crescente brusio di fondo. A quanto pareva tutti gli studenti avevano qualcosa di cui parlare, perché quel brusio, prima lieve, si era trasformato, con il passare dei minuti, in un cicaleccio ben udibile. Un discorso tra due ragazze arrivò alle orecchie di Emma: "La polizia non è ancora arrivata, dannazione! E pensare che la scuola non è lontana! Cosa pensi sia successo?" Disse la ragazza più bassa, con i capelli biondi. "Non lo so! Forse non la ritengono una cosa tanto urgente." Rispose l'altra con aria di superiorità. "Comunque" continuò "in molti hanno già notato, sulla scena del crimine in bagno, una coincidenza alquanto interessate". "Che cosa vuoi dire?" Disse la prima curiosa di sapere. "Voglio dire che il cadavere porta una collana che ha lo stesso simbolo che ha disegnato sul petto". Emma sarebbe voluta andare a vedere cosa stava succedendo, ma prima doveva pensare al corpo di sua madre. Non poteva lasciarla lì a marcire. Non dopo tutto quello che era successo.
A quanto pareva, però, non era stata l'unica a sentire quella notizia, perché tutti gli studenti che erano nel corridoio, compreso il gruppo di curiosi attorno a lei, si mossero e andarono con passo spedito verso il bagno. Tutti avevano una nuova attrazione da ammirare. Tutti erano ritornati ad ignorarla, intenti a parlare di quello che avevano appena saputo. Tutti, tranne il ragazzo dai capelli rossi. Lui rimase fermo e non seguì la massa. "Prima che questo accadesse" e con un braccio indicò il gruppo diretto verso i bagni "stavo dicendo che magari potremmo uscire di qui. Magari fuori riusciremo a chiamare qualcuno che possa aiutarti. Anche il mio cellulare non riesce a chiamare nessuno qui dentro e gli insegnanti non sembrano molto d'aiuto: continuano ad impartire ordini a tutti e corrono avanti e indietro dalla presidenza. Sembrano impazziti!" In effetti non aveva tutti i torti, pensò Emma. Nessun insegnante era ancora arrivato per darle un'aiuto, ma probabilmente, visto che neanche il ragazzo con i capelli rossi riusciva a chiamare, non sarebbero stati molto utili. Mentre Emma stava pensando a tutto questo, il ragazzo le tese la mano e le disse, in maniera un po' impacciata: "I-io mi chiamo Chris, comunque. Tu come ti chiami? E chi è lei?" Disse indicando il cadavere di Lisa. Emma non aveva voglia di spiegare. Era successo tutto troppo velocemente. Non voleva parlare a qualcuno dell'accaduto perché avrebbe confermato quello che doveva essere sicuramente un sogno da cui si sarebbe svegliata trovando tutto come prima. Non poteva sopportare anche questo. Ma, dopo qualche attimo che le sembrò essere interminabile, si convinse che non poteva stare li immobile per sempre. Doveva farsi aiutare da qualcuno. Non poteva affrontare tutto da sola. E allora dovette ricorrere a tutta la sua forza per non abbassare la testa e sprofondare nei singulti, e disse: "B-beh, se proprio vuoi saperlo questa persona era mia madre, è stata uccisa poco fa!" Nuove lacrime a rigarle il volto. Nuovo dolore. Il ragazzo cambiò subito espressione: il suo viso divenne greve e solenne; poi abbassò gli occhi e sussurrò, con un filo di voce: "Mi dispiace...non sapevo niente...in classe ho cercato di telefonare a mio padre per raccontagli quello che era successo nei bagni, ma ci ho messo un bel po' perché, come ti ho già detto, non riuscivo a telefonare. Non sapevo niente del secondo cadavere!"
Emma lo guardò per qualche secondo, e poi finalmente abbasso gli occhi su sua madre. Provò un'altra fitta di disperazione. "Allora è veramente meglio che usciamo da questo posto. Forse non sarà di grande aiuto, ma fuori c'è qualche probabilità in più di chiamare i soccorsi per tua madre!" Disse Chris. Emma si alzò stancamente. Forse aveva ragione lui. Forse, se sarebbero andati fuori poteva trovare qualcuno che avrebbe potuto aiutarla, dopotutto. E stare immobile senza fare nulla non era quello che voleva Lisa. In mezzo a quell'elenco infinito di domande che non trovavano risposta, per lo meno sua madre le aveva detto cosa fare: doveva trovare sua sorella, a qualunque costo. Lei sapeva. Lei poteva spiegarle tutto. Lei poteva chiarire tutti i suoi dubbi. E non avrebbe trovato sua sorella stando li seduta sul pavimento. Le gambe le tremavano ancora, ma si costrinse a non lasciarsi andare. Poi, un passo strascicato dopo l'altro riuscì a camminare. Chris la teneva sottobraccio per aiutarla. Uscirono dal corridoio ed entrarono nella grande hall, dove solitamente tutti gli studenti si incontravano durante l'intervallo. Il pavimento piastrellato era di un blu cobalto e le pareti, che dovevano essere state color avorio, ora erano di un bianco tendente al grigio e con diversi graffi e bozzi, dovuti un po' al tempo e un po' agli studenti. Davanti a lei, sulla parete di fondo, c'era una scrivania di legno chiaro dove di solito sedeva almeno un bidello. Ora però non c'era nessuno. Sulla destra c'era l'entrata. Consisteva in un'unica vetrata intervallata da infissi neri. Emma guardò Chris: "Grazie dell'aiuto che mi stai dando. Che cafona, non mi sono ancora presentata: mi chiamo Emma" Disse. Il ragazzo la guardò con uno sguardo comprensivo e disse: "Non preoccuparti! Ma non è ancora tempo per i ringraziamenti. Dobbiamo fare qualcosa per tua madre."
Emma annuì e riprese a camminare verso l'uscita. Erano proprio al centro della grande hall, quando sopra la loro testa si sentì uno scricchiolio, che non si fermò. Alzarono la testa e videro che il soffitto si stava crepando. Emma guardò Chris. Niente poteva andare peggio di cosi, aveva pensato subito dopo la morte di sua madre. Ma si sbagliava. A quanto pareva, tutto poteva andare peggio perché la scuola si stava letteralmente sgretolando sopra le loro teste. In quell'attimo di panico, riuscì a mantenersi lucida quel tanto da ricordare i noiosissimi corsi sulla sicurezza che aveva dovuto fare in tutti quegli anni di liceo e che riteneva inutili. Le venne in mente che, in quelle lezioni, l'insegnante aveva spiegato che in caso di terremoto, le alternative erano due: o si usciva, o, se non si aveva la possibilità di farlo, ci si doveva posizionare sotto i banchi per proteggersi da un'eventuale crollo del soffitto. Emma decise che doveva uscire, ma proprio quando ebbe quest'idea, la vetrata dell'ingresso di frantumò sotto il peso del soffitto che da quel punto aveva cominciato a cedere. Emma guardò Chris: "Corriamo in classe! Subito!" Ritornarono indietro nel corridoio e si infilarono nella prima aula che trovarono, tra le urla degli studenti impazziti. Tutti correvano verso l'uscita, ignari che ormai quella era un'impresa impossibile. Emma si voltò prima di entrare e vide che il soffitto stava cadendo letteralmente a pezzi e stava schiacciando i malcapitati che in quel momento si trovavano lì sotto. La scena fu disgustosa: corpi che si contorcevano e urlavano prima di restare immobili a terra. Corpi che venivano schiacciati come se fossero di spugna. Corpi che non avevano più scampo. Emma entrò definitivamente nell'aula "Mettiti sotto il primo banco che trovi! Subito!" Chris non ebbe neanche il tempo di replicare che Emma gli spinse la testa sotto il banco. Non poteva aspettare. Sentiva il fracasso che i pezzi di cemento creavano quando si schiantavano sul pavimento e le urla disperate degli studenti. Fece appena in tempo ad andare sotto un altro banco che la distruzione arrivò. Il soffitto cominciò a scricchiolare come aveva fatto nella hall pochi minuti prima. Poi, grandi pezzi cominciarono a cadere e si frantumarono sui banchi.
Emma gemette quando un grosso pezzo del soffitto spaccò in due un banco proprio vicino a lei. Si girò in cerca di Chris per trovare un appiglio di speranza a cui aggrapparsi. Ma appena si voltò, vide la folta chioma ramata scomparire dietro un altro grande pezzo di cemento armato che piombò a terra formando una piccola conca sul pavimento. Allora provò a gridare il suo nome due o tre volte, ma fu tutto inutile perché la sua voce veniva sovrastata dal rumore.
Il frastuono, infatti, non dava segno di voler smettere. Ma, quando Emma guardò in basso, si accorse che non solo il soffitto si stava sgretolando, ma anche il pavimento, già tutto pieno di crepe. Il terrore la inondò per l'ennesima volta: se non fosse morta quella volta, poteva ritenersi immortale. Tutto stava precipitando troppo in fretta e più passava il tempo, più le possibilità di vivere un altro giorno diminuivano.
Il pavimento precario iniziò all'improvviso a scricchiolare. Un rumore acuto, che ricordava un grido straziato. Un rumore da far gelare il sangue. E più passava il tempo, più quel rumore raccapricciante aumentava invece di diminuire, trasformandosi da acuto in un coro più basso, venato ugualmente dello stesso terrore.
Gli scricchiolii aumentarono. Improvvisamente, una lunga crepa si formò al centro della stanza: il pavimento si stava letteralmente spaccando in due. Emma, che stava cercando di metabolizzare tutto quello che stava avvenendo davanti ai suoi occhi, si destò di soprassalto. Doveva trovare una soluzione e in fretta. Non poteva morire proprio in quel momento. Non poteva non conoscere la verità che tutti le avevano tenuto nascosto per tantissimi anni. Non poteva non sapere. Si guardò intorno, ma non vide niente di utile e di facilmente raggiungibile. Improvvisamente, dalla crepa uscì un tubo di metallo seguito da un getto d'acqua violentissimo. Probabilmente proprio in quel punto erano stati messi i tubi idraulici, che adesso la crepa aveva rotto facendone schizzare un pezzo fuori dalla finestra come se fosse una molla.
Emma si girò disperata cercando qualche aiuto nella stanza. Doveva esserci un modo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per avere almeno una possibilità in quella situazione. Ma da ogni parte in cui si voltava non trovava niente che potesse tornarle utile. Niente di niente. Ma, mentre stava perdendo ogni speranza, un timido raggio di sole spuntato tra due nuvole la accecò per pochissimi secondi. La finestra. La via di fuga più semplice da raggiungere non le era venuta in mente per tutto quel tempo. Si morse il labbro sentendosi dannatamente stupida. Come aveva fatto a tralasciare un "dettaglio" così importante?
Sperò con tutta se stessa che il pavimento si assestasse, in modo da poter quantomeno provare a raggiungere quella precaria salvezza. E cosi accadde. Il pavimento, che dal principio ondeggiava molto, rallentò e poi si fermò emettendo altri due suoni acuti. Senza pensarci, chiamò Chris. Dopo pochi secondi, sentì: "Emma, sei tu? Dimmi che non sei morta!" La voce di Chris era forte e chiara, ora. Questo voleva dire che stava bene. Voleva dire che non era morto. E questo rese Emma un po' più leggera. L'unica persona che aveva provato ad aiutarla era ancora lì. E ce l'avrebbero fatta. Tutti e due. "Sto bene, sto bene!" Disse Emma. "Ma dobbiamo raggiungere le finestre, subito. È la via d'uscita più ovvia in questa stanza e ci ho pensato solo ora. Che stupida che sono!"
Chris non si arrabbiò e non la derise. In realtà, non disse niente per una frazione di secondi. Poi parlò: "Allora raggiungiamole prima che questo posto cada a pezzi!" Nello stesso instante Emma vide la chioma ramata apparire da dietro lo stesso masso che li aveva separati per tutto quel tempo. La prima cosa che fece fu sorriderle. Un sorriso caldo, sincero, pieno di fiducia che le cose potessero finalmente andare per il verso giusto. Un sorriso che valeva la pena guardare.
Emma abbassò la testa imbarazzata. Poi cercò di alzarsi. Lentamente alzò le ginocchia, distese le gambe e mise il busto in posizione eretta. Era in piedi, e il pavimento, seppur mezzo crepato, sembrava aver trovato una sua stabilità. Lentamente, ma senza aspettare, fece un passo in avanti, con il cuore che le batteva velocissimo in petto. Non successe nulla. Un altro passo. Ancora niente. Si aspettava che da un momento all'altro il pavimento cedesse, ma ad ogni passo che faceva, non successe nulla. Alzò la testa per guardare Chris. Era davanti a lei e anche lui camminava con cautela. Arrivò alla finestra prima di lei e, invece di scavalcare subito, si mise sul davanzale per aspettarla.
Emma avrebbe voluto correre, ma sapeva che doveva procedere con calma. Un solo passo falso e lei sarebbe caduta di sotto con un'immensa quantità di cemento. Le mancava un ultimo passo e avrebbe potuto toccare la mano di Chris che l'avrebbe tratta in salvo. Quella giornata avrebbe preso un'altra piega e sarebbe potuta migliorare giusto un pochino. Solo al pensiero il cuore cominciò a batterle più forte. Ma, mentre stava compiendo il suo ultimo movimento, il pavimento riniziò a scricchiolare forte. Emma si costrinse a continuare a camminare. Doveva farcela. Doveva riuscire ad arrivare a quella mano. Semplice. Nulla di che. Il pavimento cedette in un angolo e rapidamente crollò. Tutto insieme. Improvvisamente, Emma non aveva più un pavimento su cui appoggiare i piedi, mentre Chris, dal davanzale, capendo la situazione, cominciò ad incitarla per farle forza. E allora Emma saltò. Non fu un gran salto, perché era già ad un livello più basso di quello del suo amico. Lui da una parte, con il braccio teso, pronto ad afferrarla, e lei, nel suo ultimo salto disperato per raggiungere la salvezza. Le due mani si sfiorarono. Si sfiorarono appena. Ma nessuna delle due riuscì ad afferrare l'altra. Emma cadde con il cemento sotto terra, mentre Chris, incredulo, rimase sul davanzale a guardare la polvere che si alzava dalla collinetta di detriti che si era appena formata.

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⏰ Last updated: Aug 26, 2019 ⏰

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L'anello mancanteWhere stories live. Discover now