Liam
Rumore di schiaffi.
Rumore di bicchieri infranti a terra.
Rumore di teste battute contro il legno dei mobili della cucina.
L'unico senso a funzionare era l'udito.
Buio.
Insensibilità.
Il nulla.
Solo quel rumore sordo che mi faceva desiderare di morire.
Ero rannicchiato contro la porta ad occhi chiusi, le mani a tenermi le orecchie, ma tutto era nitido come sempre. Le urla di mia madre erano forti e strazianti, come quelle di mio padre. Zia Ellie mi ripeteva sempre che se pensavo a cose felici tutto passava. E io nella mia testa facevo scorrere immagini di supereroi potentissimi, pompieri che spengono il fuoco e i pomeriggi invernali trascorsi a guardare i miei cartoni animati preferiti. Quelle erano decisamente cose migliori, ma non cambiava nulla. Iniziai a tremare, sentivo caldo e le lacrime scorrevano lungo le guance rosse, lasciandomi un retrogusto salato sulle labbra. Cercai di scacciarle con il dorso della mano e tirai su con il naso. Non dovevo essere codardo. Sapevo che sarebbe arrivato da un momento all'altro, ma dovevo diventare grande e forte, come voleva lui. "Se continui a piangere dovrò punirti ancora, gli ometti non mostrano le loro emozioni. E tu sei il mio ometto coraggioso, vero?" quelle parole risuonavano sempre forti e chiare.
Lo sbattere sulla porta, un altro e un altro ancora. Scattai in piedi. La porta si aprì.
-No, no, no. Non farmi male, papà. No. Ti prego. Io ti voglio bene.- singhiozzai.
Tutta la voglia di crescere e di affrontare quella situazione era scomparsa nel nulla, volatilizzata. C'era solo il desiderio di essere risparmiato, almeno quella volta.
Lui, però, doveva educarmi. Era quello il suo ruolo e io non dovevo piangere.
-Anche io ti voglio bene, Leeyum, per questo sono qui.-
Sorrise beffardo e io caddi sul letto, aspettando di vedere quale fosse la mia triste sorte quella sera.
Mi sveglio, nel buio della notte, con le stesse lacrime, quelle che avevo sognato, secche sulla pelle e il cuore a uscirmi fuori dal petto. L'ennesimo incubo, identico a quello precendente, che era uguale a quello prima ancora. Va avanti così da diciassette anni. Non riesco a levarmelo dalla testa e mi consuma dentro ogni giorno di più, nonostante tutti gli sforzi di quel ragazzo castano e angelico sdraiato al mio fianco.
Si muove lentamente e mi circonda con le sue braccia forti e tatuate.
-Cosa c'è, piccolo Payne?- apre gli occhioni azzurri e io ricado stremato sul materasso. -Un altro dei soliti incubi?-
Lui è l'unico a saperlo. Mi sono sempre vergognato di quella parte di me. Rido, scherzo, ma quando mi chiudo la porta alle spalle, i mostri del passato escono dall'armadio e non mi lasciano respirare.
Ci conosciamo da due anni e ci siamo leccati le ferite l'uno con l'altro fin da subito. Ne avevamo bisogno, lui molto più di me. Sapevamo entrambi di non essere semplici migliori amici, ma questo non rovinò il nostro rapporto.
La prima volta, lì in mezzo alla strada, avevo guardato i suoi occhi azzurri e liquidi, i suoi capelli scomposti, la sua fronte leggermente velata di sudore e percepivo che ci fosse qualcosa di distorto in quel ragazzo pieno di tatuaggi. Come una sorta di dolore, un dolore marcio che cercava di uscire nonostante tutti gli sforzi per tenerlo a bada. Glielo leggevo, lì, in quel mare tondo e profondo circondato da miliardi di ciglia lunghe e chiare, che urlava muto di salvarlo.
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Stay With Me
Fanfiction"Non ha mai perso il sorriso, ma è uno dei ragazzi più insicuri e diffidenti che ci siano a Londra." "Fa del male a sé stesso, per coprire tutto il marcio che ha dentro e che lo sta tirando sempre di più verso il basso." "Non si è mai innamorato ver...