ADELAIDE

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Dieci anni prima Adelaide aveva imparato il significato della parola "indipendente". Il padre, dopo la scomparsa della moglie, aveva cominciato a vivere in un mondo tutto suo e l'aveva come esclusa. Adelaide sapeva che non lo faceva di proposito, o per ferirla. Sicuramente era il suo modo per affrontare la situazione, ma in ogni caso lei si sentiva persa, sola o peggio: dimenticata.

Paul Gerb, avvocato penalista di 47 anni, con i capelli brizzolati e lo sguardo perso, era rimasto single in quegli ultimi dieci anni. Sempre fedele al ricordo della moglie ma poco devoto alle faccende domestiche. Non era un cattivo papà, ma forse si era scordato dei bisogni di una bambina; o forse non aveva mai saputo niente di come ci si occupa di una creatura in tenera età. Prima di sparire nel nulla faceva tutto Margareth, sua moglie, l'amore della sua vita. Lui si occupava al massimo della spesa o di qualche lavatrice. Ma nemmeno queste piccole faccende davano i risultati sperati o per lo meno soddisfacenti secondo gli standard della sua mamma che alloggiava al piano di sotto. Ma per Margareth andava bene così, elogiava sempre il lavoro del marito e non lo faceva mai sentire in imbarazzo, o fuori posto. Invece si screditarlo gli faceva i complimenti per l'impegno e per aver tentato. Era fantastica. I risultati migliori ovviamente Paul li dava sul lavoro. Certo in qualità di capofamiglia si sentiva più responsabile nel dover portare i soldi a casa e non del dover lavare i capi bianchi separati da quelli colorati. Del resto per l'appunto, quasi sempre se ne occupava Margareth delle faccende e delle commissioni, seppur lavorasse anche lei part-time come scienziata.

Anche dopo la scomparsa della sua metà purtroppo le cose non cambiarono mai. Paul continuò a preoccuparsi dei soldi, buttandosi a capofitto nel lavoro che lo teneva fuori casa tutto il giorno, e a volte anche fino a notte fonda. Mentre Adelaide seguiva tutto il resto con l'aiuto sporadico della nonna, anche lei abbastanza assente, professoressa di canto presto un prestigioso collegio.

Spesso la bambina si ritrovava con dispiacere a pensare che il babbo, anche se abitava sotto lo stesso tetto, era più una presenza, un fantasma triste e sciatto, piuttosto che l'adulto che doveva essere. Quello che fa fronte alle situazioni e che si prende cura di ciò che è rimasto della sua famiglia. Quello che continua la sua vita senza rimuginare e a pensare a "come sarebbe stato se.." di continuo. L'adulto che avrebbe dovuto sostenere la sua piccola che aveva perso la sua mamma. Invece no. Adelaide si era rassegnata a far da se tutto quello che era in grado di portare a termine, senza nulla chiedere o pretendere dagli altri. Aveva presto imparato anche a non essere succube dell'umore lunatico del padre, dei suoi orari sempre più strani, delle sue dimenticanze. Prendeva solo ciò che lui le lasciava sul tavolo ogni Lunedi mattina, la paghetta settimanale. Era diventata adulta quando il massimo delle responsabilità richieste dovevano essere fare i compiti e mantenere un'adeguata igiene personale. Aveva imparato a cucinare piatti deliziosi, a separare i panni sporchi per colore e materiale, ad avviare la lavatrice, a fare la spesa, a stirare la sua divisa. Stava attenta a tutte le pieghe della gonna e al colletto della camicetta. Non le riusciva mai di non scottarsi le dita con la teglia della torta o con il ferro da stiro, ma almeno poteva mangiare un buon dolce e avere i vestiti ben stirati con il risultato di un parvente normalità. La torta era alle noci, squisita. La preparava il sabato pomeriggio insieme alla nonna, nel suo giorno libero. La donna cercava di passare il maggior tempo possibile con la nipotina in quella giornata, andando al mercato, passeggiando, visitando un museo, poiché la domenica era dedicata a suo marito, il nonno di Adelaide, ricoverato in una casa di riposo locale. Il sabato era il giorno preferito di entrambe ovviamente, e durante la settimana partiva il conto alla rovescia dei giorni che le dividevano dal fine settimana. Come rito settimanale mentre aspettavano che l'impasto riposasse nel frigo e poi cuocesse in forno studiavano canto insieme perchè Fiona era fermamente convinta che la nipote avesse una grande dote canora. Per fortuna Adelaide non possedeva solo questa dote, e nonostante il prematuro distacco dalla madre e vari ed eventuali pronostici di vicini e parenti non aveva sviluppato un carattere solitario e scontroso; era invece divenuta l'opposto. Molto aperta e allegra e a detta della nonna "quasi fin troppo esuberante". Le piaceva essere al centro dell'attenzione, rideva e scherzava in continuazione. Quando era in compagnia ci teneva a fare buona impressione ma era sempre l'anima della festa, insomma, chi incontrava Adelaide non poteva dimenticarla. Come non poteva dimenticarsi il suo sguardo sfacciato, lo splendido sorriso, il carattere forte e ottimista in contrasto con i suoi movimenti pacati e aggraziati. Coltivava anche molte passioni, in qualunque attività si cimentasse ne usciva sempre in maniera discreta se non ottima. Il lato negativo però c'era. Era uno ma bastava. Adelaide eccelleva si, ma si occupava solo delle cose che interessavano a lei e ciò che non le piaceva faceva l'errore di sottovalutarlo. Come la matematica per esempio. Man mano durante la crescita i suoi interessi si fecero sempre più specifici e particolari. Partecipava ai vari club della scuola, ma solo quelli che riguardavano la botanica, l'arte (in tutte le sue sfumature) e lo sport. Verso gli ultimi anni di liceo, entrata in un'associazione di artisti, scoprì un nuovo mondo; l'archeologia. E di questa ne fece una sua nuova passione. Si buttò a capofitto in questo vasto mondo dedicandogli anima e corpo per qualche anno.

Per essere tutto questo era bastato capire fin dall' adolescenza che apprezzare la totale libertà che gli dava il vivere quasi completamente da sola era meglio che viverla negativamente. Infatti l'autogestione le aveva certamente permesso di organizzarsi le giornate sottostando alle sue stesse condizioni e regole, senza pressioni o impedimenti. Voleva andare al centro botanico e rimanerci fino a chiusura? Nessuno la aspettava per cena, poteva comprarsi un panino sulla via del ritorno e rimanere fino a sera a guardare quante delle piante del centro avevano fatto sbocciare le loro gemme. Voleva dipingere fino a mezzanotte? Nessuno le diceva quando spegnere la luce ed andare a dormire. Si autoregolava insomma, ed era anche abbastanza giudiziosa nel farlo fortunatamente. Poi si sa, tutti sbagliano, ma un altro lato positivo di Adelaide era che imparava dai suoi errori, e raramente gli ripeteva.

La vita di Adelaide non era sempre rose e fiori, c'erano dei momenti di debolezza, solitudine e tristezza in cui sentiva fortemente la mancanza delle cure di una mamma. Sentiva il bisogno di confidarsi e sentirsi amata, apprezzata e protetta solo come una madre può farti sentire. Nessuno poteva sopperire totalmente a questa mancanza, nemmeno la nonna, ma la fortuna o il destino o il fato vollero arrivasse qualcuno ad alleggerire quel peso.

DAL DIARIO DI ADELAIDE

Al rientro di uno dei viaggi di lavoro la mamma cominciò ad intonare spesso una canzone. Quella strofa mi è rimasta in testa, forse perché era una delle ultime cose che le ho sentito cantare. La sera in suo ricordo la ripeto sempre prima di addormentami. La prima volta che l'ho sentita ricordo di essere rimasta stupita. Erano parole che non avevo mai udito, perciò chiesi subito alla mamma che tipo di canzone fosse. Lei mi disse che era una ninna nanna. Un'anziana signora le aveva cantato quella strofa dopo averle offerto un tè nella sua piccola abitazione in America del sud. Le disse inoltre che era in una lingua antica e quasi ormai dimenticata. Recitava così:

- Abech in basna lovte ominu, halite ghana natalio. Portara cavit de mana in nunte lovte maras. Shiben merit chinter ghifa, hute printer manita bara, Abechum falai cure homa poir de maram-

L'anziana l'aveva tradotta per lei. Ma prima di cominciare assunse d'improvviso un'aria molto seria, come se le seguenti parole fossero molto importanti da ricordare. Disse che a grandi linee il significato era questo: "Un giorno un usignolo portò un messaggio alla sua gente - l'eletta sta arrivando -, mancava poco ormai, la guerra sarebbe stata vinta prima che il sole celasse la luna. Tutti sarebbero stati finalmente liberi di richiamare quel posto: casa, ma attenzione al traditore che ha fatto largo nel cuore e nella mente". La parola "Ghana" stava per "eletta" e "manita" per "casa", "Falai" era il traditore. Non sapevo perché mamma l'avesse imparata o perché quella nenia così dolce avesse un significato così pesante, ma da quando è scomparsa non c'è stato giorno in cui io non l'abbia cantata. La mia speranza è che mamma un giorno riesca a trovare la via per tornare a "manita".

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