Capitolo 3.

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***
Un rumorino fastidioso si fece spazio nelle mie orecchie: si ripeteva ininterrottamente, senza smettere mai.

Dopo svariati minuti mi decisi finalmente a spegnere la sveglia, che urlava un 'bi bip, bi bip' e che non aveva minimamente intenzione di fermarsi.

Mi alzai dal letto e aprii l'anta dell'armadio per guardarmi allo specchio, avevo un aspetto davvero orribile. Con i capelli arruffati, che andavano in tutte le direzioni fuorchè dove realmente sarebbero dovuti andare, e con delle occhiaie nere evidentissime. Ma infondo cosa me ne fregava a me dell'aspetto?

Non sono mai stata una di quelle ragazzine costantemente truccate, ordinate e con lo smalto sulle unghie. Forse sarei nata più felice da maschio. Loro non devono fare mai niente: né truccarsi, né dipingersi le unghie, né stirarsi i capelli o robe del genere; a stento si lavano e sono già perfetti. Non so se avrei dovuto chiamarla invidia il voler essere un maschio, ma sono talmente pigra che il sesso di donna non mi si addice proprio.

Alla fine presi un jeans stretto, un maglione nero e largo, e degli stivaletti bassi.
Mi pettinai quell'ammasso arruffato dei miei capelli e scesi per colazione.

Ero sola, i miei erano già spariti chi sa dove, nelle loro selvaggie avventure.

Mi feci del latte col caffè e mentre bevevo il liquido caldo giravo da un canale all'altro in cerca di qualcosa di interessante in tv.

Dopo una mezzo'oretta mi accorsi che era tardi e se non mi fossi sbrigata subito avrei probabilmente perso la metro. Come inizare meglio d'altronde?

Uscita di casa c'era un freschetto meraviglioso. Quella brezza mattutina che ti accarezza leggermente e quel cielo ancora indeciso sullo schiarirsi che ti ispira tranquillità: erano le cose che più amavo.

Mi sentivo un po' dispersa nella nuova città.

Solo ieri i miei genitori mi avevano mostrato la strada per andare verso la metro, ma una volta sola non mi bastava. Sono una di quelle persone che quando una cosa non gli interessa finisce sempre per scordarsela, su di me non c'era proprio da contare.

***
Il viaggio in metro non fu troppo lungo e la strada la trovai subito, per fortuna.

Non sono una ragazza timida quindi non ero per niente intimorita dall'idea di entrare in una scuola con gente completamente nuova.

Difatti appena davanti all'entrata non mi disturbai a lanciare occhiatacce a tutti coloro che mi guardavano con facce e smorfie indefinibili.

Ero arrivata lungo il corridoio pieno zeppo di studenti, ora avrei dovuto solo cercare l'ufficio del preside.

Non chiesi a nessuno indicazioni per evitare di essere notata, ero sicura che me la sarei cavata benissimo anche da sola.

D'altronde non riuscivo a sopportare tutti questi ragazzetti con i loro visini innocenti da studenti modello che poi si sarebbero rivelati per la maggior parte drogati, alcolizzati, depressi, menefreghisti, ma soprattutto, ingenuamente stupidi.

Passando oltre: avevo appena trovato l'ufficio. Bussai e ad un "avanti" mi decisi ad entrare.

Il preside era seduto su una di quelle enormi sedie con lo schienale alto di pelle nera lucida.

Lo fissai per un istante e alla fine parlai: "Buongiorno, sono Andrea Melweir, la ragazza nuova. Ieri per telefono mi hanno detto di venire da lei per" stavo dicendo quando mi interrompe.

"Sìsì lo so, sono io che ho chiamato. Volevo solo dirle qualche regola dell'istituto e consegnarle gli orari per le lezioni che dovrà svolgere giornalmente"

I wanna scream || Harry Styles.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora