Lo specchio

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Ogni notte la stessa storia, lo stesso rumore, le stesse sensazioni.
Ormai sto diventando pazzo: resto ore sdraiato sul letto aspettando che il sonno mi culli, che i sogni mi prendano, ma nulla.
Il tempo passa, minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno.
Il dottore dice che dovrei smetterla di pensare, smetterla di concentrarmi su ciò che sento e ciò che vedo, limitandomi a seguire la terapia, ma come faccio, come posso ignorare il mondo che mi circonda.
Un colpo sonoro distoglie la mia mente dal solito monologo interiore delle quattro di notte.
Eccolo quel suono, lo stesso di sempre, come una pesante palla che cade sul pavimento del piano di sopra e rotola fino a raggiungere un punto indefinito.
Certo, nulla di strano direte voi, se non fosse per il fatto che accade sempre alla stessa ora, con la stessa frequenza, lo stesso tono, ma soprattutto, che nessuno abita sopra di me.
Forse dovrei andare a controllare, anche se non so dove.
L'unica cosa sopra alla mia testa è una piccola porzione di soffitta, ma è mia, nessuno abita là sopra, è semplicemente una parte della casa che nessuno utilizza più da tanto tempo.
Non credo sia molto sensato andare a controllare ora, è tardi, è notte fonda, ed io sono solo, come sempre d'altronde.
Non dico di aver paura, no, è solo che forse non sarebbe una scelta saggia.
Al diavolo, non posso rimanere qui sdraiato tutta la vita, o forse si, non lo so.
Fanculo, prendo le pillole.
La pasticca scende lenta lungo il mio esofago.
Nel giro di qualche minuto gli occhi cominciano a bruciare, le palpebre si fanno sempre più pesanti, come macigni.
Ecco che arriva, l'agognato riposo, il sonno, che fantastica sensazione, mi addormento sorridendo.

Oggi è stata una giornata dura, come sempre d'altronde.
Mi giro e mi rigiro nel letto come una trottola in cerca di una posizione che mi faccia stare a mio agio, ma nulla.
Che strano, sono già le quattro, però la notte questa sera è così silenziosa.
Di solito a quest'ora avrei già dovuto sentire il suono, ma non arriva, non capisco.
Magari sono le pillole, magari il dottore ha ragione, magari sto guarendo.
Impossibile.
Mi sollevo sul letto, prima seduto, poi in piedi, cercando di arrivare più vicino al soffitto, tentando di captare quel suono.
Silenzio.
Che evento singolare, in ventidue anni della mia vita non mi era mai capitato di passare la notte senza sentire quel suono, il mio suono, mi sento quasi preoccupato, è buffo.
Scendo dal letto e indosso le scarpe sotto al pigiama, devo andare assolutamente su a controllare; non mi importa se è notte, non mi importa se sono solo in questa vecchia casa o se nessuno apre quella maledetta soffitta da anni, ho deciso, salirò.
I miei passi cauti rimbombano nel silenzio della sala buia.
Guardo il soffitto.
La botola che porta al sottotetto è ancora lì, bloccata, ferma ad aspettarmi da tanto tempo.
Prendo coraggio e tiro la cordicella impolverata.
Un tetro rumore metallico scuote le mie membra facendole vibrare dal terrore.
La botola si apre a fatica, facendo scivolare la rampa di scalette in ferro, richiuse su loro stesse, fino a raggiungere il pavimento, a qualche centimetro dai miei piedi.
Deglutisco a fatica osservando il buio sopra alla mia testa.
Prendo coraggio ed accendo la torcia del telefono, puntandola verso l'oscurità.
Non vedo nulla se non agglomerati di polvere e ragnatele.
D'accordo, posso farcela, devo farcela.
Salgo le scale, gradino dopo gradino, passo dopo passo, fino a sbucare con la testa accanto al pavimento della soffitta.
Mi guardo attorno facendomi luce.
Quante cianfrusaglie, cosa spero di trovare poi, forse dovrei tornare giù, non è stata una grande idea salire.
Sto per riscendere le scale quando qualcosa attira la mia attenzione.
Il rumore, eccolo.
Deglutisco a fatica per la seconda volta e trattengo un sussulto.
L'ansia mi sta pervadendo come mai prima d'ora.
Prendo coraggio e salgo fino a raggiungere completamente il piano abbandonato.
I miei passi si fanno sempre più lenti mentre il cuore tenta di esplodere nella cassa toracica e la mia mano tremante illumina lo spazio intorno a me.
Guardo attentamente tra le scatole sigillate sparse per tutto il piano.
Non c'è nulla qua sopra, devo smetterla di farmi delle paranoie, è tutto nella mia testa, proprio come dice il dottore.
Il fascio di luce della mia torcia rimbalza d'un tratto contro qualcosa parzialmente nascosto sotto ad un telo rosso.
Sospiro.
Avanzo qualche altro passo verso l'oggetto coperto fino a raggiungerlo.
Allungo la mano tremante verso il drappo, sfilandolo e lasciandolo cadere a terra.
Uno specchio.
Un logoro, e tetro specchio macchiato.
Cosa ci fa qua sopra.
Rimango qualche secondo ipnotizzato dalla mia stessa immagine.
Avrei seriamente bisogno di dormire, penso osservandomi.
Questo posto mi mette i brividi, farei meglio a tornare giù, dimenticarmi di questa storia e finire la terapia.
Forse sarebbe meglio.
Il mio cuore si blocca: sento un rumore alle mie spalle, quel rumore.
Qualcosa rotola tra i miei piedi arrestandocisi davanti.
Abbasso lo sguardo e osservo l'oggetto: una vecchia palla da baseball rovinata.
Mi volto impaurito, dietro di me non c'è nessuno.
Una risata alle mie spalle mi scuote le membra.
Trattengo un grido e torno a voltarmi di scatto verso lo specchio, rimanendo impietrito davanti alla figura immobile che mi fissa negli occhi.
Lo specchio riflette la mia immagine, ma in maniera distorta.
Sul mio volto è dipinto il terrore, su quello del mio simile vi è stampato un sorriso sadico, macabro, talmente accentuato da non risultare nemmeno umano.
Le ombre giocano sul viso del mio riflesso.
I suoi occhi mi fissano, penetrando la mia anima.
Sono immobile.
L'immagine si porta un dito davanti alla bocca, mimando il silenzio.
Sento il rumore, questa volta proviene dalla mia camera da letto.
La botola si richiude sbattendo sonoramente.
La luce della torcia si spegne, ed io con essa.

Quanto è buia questa notte, e quanto è freddo stasera.
Se solo avessi ascoltato il dottore, seguito le terapie.
Cosa importa ormai, è passato tanto tempo da quel giorno; non so nemmeno quanto in realtà.
So solo che non mi è rimasto molto: soltanto i miei pensieri, nella testa e una vecchia palla da baseball rovinata, con la quale giocare, ogni notte nel buio.

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