3. SHADOWPLAY

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Io sono un vampiro.

La mia non vuole essere né un'iperbole, né una provocazione, ma un'affermazione frutto di un ragionamento coerente.

Quali sono le caratteristiche di un vampiro, quali le peculiarità che lo fanno definire tale?

Primo, il vampiro teme la luce: a me la luce provocava reali danni fisici, crisi epilettiche. Neanche la mia vita notturna mi proteggeva da questo malessere.

Secondo, il vampiro si nutre di sangue: sin da piccolo ho vissuto sostentandomi con i pensieri altrui siano stati essi racconti brevi, romanzi o poesie. Cosa sono i pensieri se non il sangue della mente?

Mi nutrivo dei miei simili quindi, se pur non fisicamente, ma metafisicamente...

Terzo, il vampiro è un essere immortale, un non morto la cui esistenza può diventare lunghissima, se non infinita, salvo che qualcuno vi ponga rimedio con un paletto di frassino. Chiedete ai miei fans se mi ritengono totalmente morto o qualcosa di me aleggi tutt'ora sulla brumosa Inghilterra. Quanto al paletto di frassino... beh quello farebbe fuori chiunque, anche se piantarlo nelle mie ceneri non deve essere proprio cosa semplice.

Sono quindi un vampiro che ha perso il suo corpo, ma di propria spontanea volontà; nessun cacciatore di non morti, nessun Van Helsing assetato della mia anima persa, ma la mia cupa determinazione spinta dalla constatazione che il mio mondo ed il mio io erano arrivati ad un punto per me insostenibile.

Ma procediamo con ordine.

Come tutti i vampiri non lo sono stato sin dalla mia nascita; lo sono diventato. Ma a trasmettermi il mio stato è non è stato un altro vampiro ma il mondo che mi circondava.

Dovevo avere una certa predisposizione questo si. Credo mi mancassero quegli anticorpi di cinismo, indifferenza e superficialità che proteggono dal contagio quasi tutti gli individui che passano su questa terra.

Gli anni della mia formazione scolastica sono stati cruciali. Li attraverso le opere degli altri ho sviluppato un certo senso di pena e pietà per il mondo, che mi hanno segnato sino alla fine. Per alcuni tempi ho lavorato in un ufficio per l'impiego. Ho incontrato li decine di persone che mi raccontavano la loro storia di vita carica di aspettative, speranze a volte disperazione e facevo fatica a non entrare nella loro pelle.

La mia pena, il mio disagio non facevano che aumentare.

Ho sempre scritto, poesie, racconti semplici pensieri.

Poi provai a metterli in musica. Fondai il mio primo gruppo i Warsaw, in onore di quel geniaccio di David Bowie e della sua canzone Warszawa. Quella piccola suite sembrava la colonna sonora della mia vita e ne presi il nome come manifesto di intenti.

Poi, per non confonderci con un altro gruppo con un nome simile, proposi ai miei amici Joy Division. L'ispirazione la presi da  Ka-tzetnik 135633 ed il nome era mortalmente ambiguo Sia per il contenuto, sia per il contrasto con la musica cupa e dolente che suonavamo.

Cupa e dolente, proprio come me.

Vedete ho più volte riflettuto su come la mia parabola terrena sia arrivata all'epilogo. E penso che tutto sia partito da lì, da quando, senza neanche sapere come siamo passati da umide cantine e locali fumosi ad essere nei giradischi di migliaia di giovani. Noi cantavamo il disagio, l'assenza di prospettiva e scoprimmo di vivere un mondo di sensazioni condivise da una generazione.

E come spesso accade le cose che vanno troppo di fretta non reggono le sollecitazioni.

E io no ressi. Prendevo medicine per attenuare le mie crisi, per ridurre le fonti che innescavano il manifestarsi della mia condizione e naturalmente ci bevevo sopra. Immaginerete poi che la mia vita non era proprio...regolare; neppure in termini di rapporti interpersonali. Mi trovai molto presto sposato e padre; anche questi fatti non migliorarono il mio equilibrio, anzi...

Di giorno dormivo e sognavo un me stesso notturno ridotto ad un'ombra strisciante, impalpabile, inconsistente. Le relazioni durature e le scelte definitive non mi appartenevano. La cosa più romantica che scrissi per mia moglie fu che il nostro amore ci avrebbe lacerato...ancora.

Ma i miei nervi erano già laceri.

E coì giunsi sino in fondo al mio breve viaggio spinto dalla consapevolezza lucida di non poter continuare.

Avevo appena finito di vedere un film di Herzog, condividendo con i protagonisti le mie ultime angosce esistenziali, quando messo su l'idiota di Iggy appesi ad una cinghia tutte le mie frustrazioni.

A pensarci bene se riassumessi tutta la mia vita in tre strofe, avrei scritto la mia canzone perfetta.

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