La prima verità

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Avevano camminato a lungo affiancando il lato destro della strada asfaltata, finché quella non si era trasformata in una lunga pianura alla base di un colle. Così, avevano proseguito con il terreno sotto i piedi, scrollando dalle scarpe la brina che vi si accumulava e prendendo fiato quando il percorso si faceva più impervio. Infine, avevano raggiunto la base della ripida collina e la stavano osservando con il naso all'insù.

Il dottor Chimenti parve riflettere.

<<Quando quasi quindici anni fa c'è stato il terremoto, ho fermato qualche soccorritore per capire in quale luogo fosse avvenuto il disastro. E tutti mi hanno detto che il paesino si trovava a circa cento chilometri da qui e che bastava seguire la strada che abbiamo percorso per raggiungerlo>> si grattò il mento e proseguì <<ma nessuno mi aveva mai parlato di una collina.>>

Il labbro inferiore di Caterina tremò al pensiero che un tempo, nell'immensa pianura appena attraversata, un paese ricolmo di abitanti avesse condotto la sua esistenza, ignaro di ciò che sarebbe accaduto nel futuro.

Immaginò sua madre che con una mano afferrava quella robusta di suo padre e con l'altra carezzava la pancia già voluminosa. Quell'immagine fu spazzata via da quella del dottor Chimenti che la scuoteva per ottenere la sua attenzione.

<<Caterina? Hai sentito quel che ho detto?>> le disse e, quando si accorse che la ragazza era tornata ad ascoltarlo, proseguì <<sto per andare in cima al colle per dare un'occhiata a ciò che c'è dall'altro lato.>>

Come sempre, il dottor Chimenti non aveva torto. Riusciva a formulare idee geniali, risoluzioni istantanee e infinite possibilità d'azione in breve tempo. Nonostante l'involucro attempato, la sua mente era rigogliosa come quella di un giovane uomo. In quella situazione, però, Caterina non riuscì a trovare un senso alla sua proposta. Se i soccorritori non gli avevano mai parlato di un colle, era giusto pensare che il suo paese si raggiungesse prima di attraversarlo. Ma il medico aveva già preso la sua decisione e, senza chiederle di accompagnarlo, proseguì da solo verso la cima.

Mentre lui si affaticava tra lunghi ciuffi d'erba e sassi dai contorni aguzzi, Caterina si guardò attorno e inspirò. L'aria le era familiare. Qualsiasi cosa il dottor Chimenti avesse scovato al di là della collina, non le avrebbe tolto la certezza che in quel posto lei si sentiva a casa. Si domandò se quella sensazione fosse una naturale conseguenza dei suoi numerosi pensieri a riguardo,allora riprese ad osservare il panorama che la circondava ed ebbe la risposta: le immagini che la sua mente sempre attiva le aveva suggerito, non l'avevano affatto influenzata. Le bastava respirare l'ossigeno di quel posto, toccare la terra umida che le si accumulava ai lati delle scarpe e lasciarsi sussurrare dal vento storie di tempi passati, per capire che quello era esattamente il suo posto.

E pensò che deve capitare a chiunque di chiudere gli occhi e rendersi conto che una banchina sulla riva di un fiume o l'odore di ragù a casa della nonna sia il proprio posto nel mondo.

Intanto il dottor Chimenti si trovava ancora in cima alla collina, immobile, a fissare un punto indefinito davanti a lui. Quando tornò da Caterina, i suoi occhi erano bagnati da lacrime troppo timide per venir fuori.

<<Ci siamo>> le disse, mentre tastava le palpebre con il suo fazzoletto di seta, per poi aggiungere <<non me lo sarei mai aspettato.>>

Si appoggiò al manico d'avorio del suo bastone, fissò la cima della collina sulla quale era salito poco prima e, quando tornò a guardare Caterina, la spinse in avanti per esortarla ad andare da sola. Voleva che metabolizzasse ciò che le si sarebbe mostrato, senza che qualcuno la confortasse per un dolore che non conosceva.

Caterina fece forza sulle ginocchia per arrampicarsi sul pendio del colle e, quando stava per raggiungere il punto in cui poco prima il dottore aveva sostato, si fermò. Si voltò a guardarlo e lui annuì con un triste sorriso sulle labbra. Caterina fece un passo in avanti, a capo chino. Si scrollò dal vestito i fili d'erba che le erano rimasti attaccati e chiuse le mani per formare due pugni serrati, rigidi e sudati.

Ma non riusciva a sollevare lo sguardo. Temeva ogni suo possibile pensiero: se avessero smantellato ogni traccia del suo paese, ne avrebbe sofferto immensamente; se avessero ristrutturato ogni dimora, avrebbe provato rabbia per quel sopruso. Il dottor Chimenti era rimasto molto scosso e questo accresceva lo stato d'ansia di Caterina. Perché il dottore aveva reagito in quel modo?

Decise. Non avrebbe visto nulla, sarebbe tornata in orfanotrofio e non avrebbe voluto sapere più nulla del suo passato. Aveva stabilito che preferiva l'ignoranza ad una triste verità. Si sarebbe scusata con il dottor Chimenti per averlo scomodato, con la direttrice per aver trasgredito alle sue regole e con Anna, per averla lasciata sola. Aveva preso la sua decisione.

Si mosse per tornare indietro, ma una folata di vento le smosse i capelli che le coprivano il viso. Caterina sollevò gli occhi con un moto involontario, mentre la testa era ancora chinata. Tra i fili castani dei suoi capelli vide cumuli di macerie ammucchiati in modo disomogeneo al di là della collina.

Il cuore cominciò a premerle sullo sterno con violenza, sembrava volesse uscire per osservare anche lui quello spettacolo terrificante. Caterina posò una mano sul petto e premette, mentre lacrime dense gareggiavano in velocità sulle sue guance.

Finalmente sollevò anche il viso e accostò i capelli dietro le orecchie. Non vi era altro che polvere, cenere ed edifici sbriciolati come molliche di pane. Qualche parte era ancora intatta, sopravvissuta alla furia del tempo. Riusciva a scorgere il rosone di una chiesa, uno dei pochi tratti inalterati dal terremoto. Sembrava volesse testimoniare la crudeltà di quello che era accaduto; pareva dirle che era stato terribile, ma lui era ancora lì.

Vide un campanile decapitato per metà, frantumato per colpa di nessuno. Quelli che un tempo erano stati mattoni legati dalla calce, si trovavano ai lati della struttura. Moribondi, soli, ammaccati.

Una campana arrugginita era scivolata sul terreno incolto, aveva suonato per anni le morti degli abitanti. Nessuno aveva suonato per lei.

Era tutto come doveva essere stato quindici anni prima.

C'era il silenzio ad abbracciare i resti di un paese rigoglioso senza futuro. Pareva urlare che era l'ultimo abitante rimasto vivo, ma nessuno gli dava ascolto.

Ci sono anch'io, sussurrò Caterina al vento.

In quel momento, come era accaduto quindici anni prima, Caterina si considerò una sopravvissuta.

Aveva lottato contro un terremoto, legata al seno di sua madre; oggi combatteva contro un nemico più grande, la verità. Conoscerla avrebbe significato scuotere le certezze che si era creata fino a quel momento della sua vita, proprio come un terremoto.

Caterina chiuse gli occhi, era a casa. Distrutta, abbandonata, ma era la sua casa.

Si sarebbe accontentata delle sue briciole, come un affamato sul ciglio della strada.

Riaprì gli occhi, diede le spalle a quella visione e incrociò lo sguardo del dottor Chimenti. Sorrisero entrambi, mentre delle gocce di dolore si inserivano ai lati della bocca. Caterina corse verso di lui, provando a non scivolare lungo il pendio terroso, e non badò ai fili d'erba che calpestava, né ai sassi che la facevano inciampare. Corse e si catapultò tra le braccia del dottore, mentre lui abbandonava al suolo il suo bastone per stringerla a sé. Rimasero in quella posizione a lungo. Piansero tanto, ognuno il proprio dolore represso.

Il dottor Chimenti le baciò la fronte imperlata di sudore e, per la prima volta in tutta la sua vita, si accorse che voler bene, talvolta, non è un male.

Mentre l'abbracciava, provò una fitta dolorosa al lato sinistro del petto. Serrò le labbra e contenne il dolore. Non era ancora il momento, doveva resistere ancora un po' per aiutare Caterina. Poi la vita avrebbe fatto il suo corso.

Così inspirò a fondo e sperò che il dolore passasse il più in fretta possibile.

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