2. Le disgrazie arrivano sempre con un bicchiere di plastica rosso in mano

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La casa che mi trovo davanti è bianca, enorme e piena di gente. Mentre la guardo mi sento molto come John Hammond, quando indicava ad Ellie la forma dell'interruttore per riattivare il sistema elettrico del Jurassic Park. È da perdere il fiato, una casa simile. A colpo d'occhio non riesco nemmeno a vederla tutta per intero. Sono costretta a girare la testa, per poi vedere una massa informe di gente già palesemente ubriaca che vaga per il giardino con dei bicchieri di plastica trasparenti fra le mani.
«Mi sono ubriacato solo a guardare sta gente.» borbotta Mattia, sistemandosi i capelli con fare sensuale, risultando più goffo che mai. Seguo il suo sguardo verso un paio di ragazze che ridacchiano per le sue mosse. 
Scuoto la testa, passandomi una mano sul viso. «Io non riesco ad ubriacarmi per connessione wireless o bluetooth,» mi sistemo gli occhiali sul viso, cercando di assumere la sicurezza che mi serve per affrontare questi sconosciuti «voglio bere sul serio. Andiamo.» 
Lo prendo per mano, trascinandolo oltre il mucchio di persone davanti alla porta, iniziando a cercare con gli occhi un possibile angolo bar. Tutto ciò che vedo intorno a me, sono piccoli e minuziosi dettagli, che aiutano a rendere ancora più ampia quella casa. Quadri, mensole, mobili. Tutto nel punto giusto. Mi guardo intorno, vedendo una fila di bicchieri di plastica venire nella mia direzione. Alcool ad ore dodici. Cammino a grandi falcate, spostando con poca grazia le persone che borbottano infastidite e mi lanciano maledizioni continue, trovandomi di fronte il barman che con un ghigno malizioso, mi chiede cosa voglio da bere. Che faccia tosta. Lo guardo, per quanto possibile, dall'alto al basso, intenzionata a non perdere troppo tempo per parlare con lui. 
«Un gin tonic col Tanquerai,» borbotto stizzita «più gin che acqua tonica. Per favore.» 
Stronza si, ma maleducata no. Gli rivolgo una smorfia poco gentile, quasi di sfida, mentre lo vedo unire i liquidi in quegli odiosi bicchieri di plastica rossa tipici dei telefilm americani da due soldi. 
Ridacchia. «Tieni, principessa.» 
Inarco un sopracciglio, guardandolo torva. Ma tutte queste confidenze, chi gli ha dato il permesso di prendersele? 
«Se non avessi bisogno di bere, ti avrei tirato tutto addosso.» sibilo a denti stretti mentre vedo Mattia ridere sotto i baffi, al mio fianco. «Non spreco un gin tonic per un imbecille.» mi giro di scatto, dando la schiena al bancone, camminando fiera e risoluta verso il salotto arrangiato come pista da ballo, decisa a scatenarmi. Quando la musica mi entra dentro, è difficile farla andare via, e "Te Quemas" di Elettra Lamborghini, di certo, non placa la mia vena festaiola. Anzi, getta solo benzina sul fuoco. Sento la testa così libera, leggera, e sono grata a Mattia per aver distrutto la mia routine, per quella settimana. 
«Ho bisogno di bere» urlo nelle orecchie del mio amico per sovrastare il volume della musica. 
«Ma hai preso da bere adesso, Echo!» mi ricorda, non considerando il fatto che io abbia finito il gin tonic nello stesso momento in cui l'ho ordinato. Lo guardo con gli occhi dolci, quelli a cui non è mai riuscito a dire di no, e dopo averlo visto sospirare sento la sua mano che stringe la mia e mi riporta al bancone da quella spocchiosissima brutta copia di Val Kilmer nei gloriosi anni '80 misto a Marcos Llorente. 
«Sei tornata per prendere il mio numero?» domanda beffardo facendomi l'occhiolino. Sento il sangue ribollirmi nelle vene. Un individuo simile mi fa proprio schifo. «Ad una bella ragazza come te non aspetterei due volte a darglielo.» risponde, prendendo una penna, pronto a scrivere. 
Scuoto la testa esasperata, alzando gli occhi. 
«Io non te la darei neanche se ne avessi due, pensa te.» La mia risposta secca lo fa balzare lievemente all'indietro. Evidentemente nessuna gli aveva mai detto di no. «Adesso, fai il tuo lavoro e se puoi, per favore, gradirei un altro gin tonic ed uno anche per il mio amico. Sempre col Tanquerai.» 
Lo lascio ammutolito al suo lavoro, mentre faccio scorrere le mani sul vestito, per sistemarlo.
«Due gin tonic anche a noi.» dice una voce estranea, a quelle che avevo sentito finora, che mi costringe a voltarmi dalla curiosità. Con quella poca luce presente nella stanza, è molto difficile identificare le persone. 
«Avete ottimi gusti, davvero.» 
Il primo paio di occhi, quello che ha ordinato e che ho visto per primo, sorride. «Voi non siete da meno,» dice con tono pacato, prendendo il proprio bicchiere. «io sono Leonardo, piacere di conoscere altri amanti del gin tonic.»
«Piacere mio, io sono Echo.» 
Lo sguardo che mi rivolge sembra quasi spaventato. So di non avere un nome normale, perché non lo sono nemmeno io, ma quella reazione mi sembra esagerata. 
«Nome inusuale, ma semplice e diretto,» commenta l'altro ragazzo, prendendo parte alla conversazione per la prima volta. 
Mi passo le dita ai lati delle labbra, attendendo con impazienza. «Me lo dicono spesso,» cerco di imprigionare la mia vena sarcastica, provando a relazionarmi con persone diverse da Mattia e Bryan, guardando l'altro ragazzo, rimasto in silenzio fino a quel momento. «Tu invece cosa fai, il gioco del silenzio?» 
Mattia scuote la testa ridacchiando, mentre gli altri due ragazzi si scambiano uno sguardo divertito per poi guardare di nuovo me. 
«Io sono Nicolò.» replica il diretto interessato, prendendo un sorso della sua bevuta, una volta pronta. Sarà anche imbecille, quel Val Kilmer fallito, ma il suo gin tonic è buonissimo! 
«Sento odore di erba.» Mattia ed il suo olfatto da cane da tartufo mi riempiono sempre il cuore. Sorrido, quasi beandomi di quelle parole.
«Al piano di sotto c'è il biliardino, e di sicuro è da lì che viene l'odore. Seguiteci.» disse Leonardo con tono esaltato, esortandoci a seguirli. 
Guardo il mio amico, felice come una bambina in un negozio di caramelle. «Alla riscossa!» esclamo, bevendo qualche sorso, mentre uso la  schiena di Mattia come un faro che mi aiuta a trovare la strada giusta. Tentenno ad ogni passo, ma l'alcool mi aiuta a non pensarci. 
«C'è Mattia con me, non mi accadrà nulla» dico fra me e me, stringendo la sua mano, spaventata dall'idea di potermi perdere nella calca di persone presenti in quella casa. 
Scendiamo la scala a chiocciola in ferro battuto, mentre mi siedo sull'ultimo gradino. 
«Mi preparo un drum e vi raggiungo. Io sto in squadra con Mattia.» Scontato. 
Li vedo annuire mentre raggiungono il tavolo poco distante dalla mia posizione. Mi guardo intorno, con il filtro stretto fra le labbra. Studio l'ambiente, come se non fossi sicura di essermi fidata di quei due sconosciuti. Ma due divanetti in pelle e qualche ragazzo che ci fuma una canna sopra, non fanno così paura. Anzi, non ne fanno assolutamente. Mi alzo, leccando la colla della cartina, prima di unire le due parti e cercare l'accendino nel reggiseno. Cammino davanti al divanetto, pronta a raggiungere i ragazzi che mi aspettano quando un: «Guarda un po' chi si vede da queste parti» mi fa fischiare le orecchie. Quella voce odiosa è qui, come una maledizione. Scuoto la testa, tenendo stretto il drum fra le labbra contornate di rossetto, fortunatamente, a lunga tenuta, con gli occhi leggermente socchiusi a causa del fumo che ci entra dentro ad ogni passo che faccio. Ero pronta ad iniziare la partita a biliardino con Mattia e due ragazzi conosciuti nell'angolo bar. Quando i due, dal nome che ho dimenticato, mi hanno detto che c'era un biliardino e sapevano dove poter trovare l'erba, non ho esitato a seguirli. Sbagliando anche, magari. 
«Ciao anche a te, solo Federico.» calco sulle ultime due parole lasciandogli sfuggire una risata. Storgo il naso, avvicinandomi per impugnare le stecche, quando la testa bionda mi guarda con aria di sfida. 
«Dovremmo fare una sfida zuccherino,» dice masticando qualche parola, non so se per colpa della canna d'erba che stringe fra l'indice ed il medio nella mano destra, o per colpa del bicchiere rosso che stringe nell'altra. «Trova il quarto uomo ed iniziamo.» 
Sogghigno, avvicinandomi pericolosamente a lui. Siamo talmente vicini che riesco a sentire il profumo del dentifricio che ha usato, mischiato ad alcol e fumo. Lo guardo negli occhi. «Ho già una partita da fare, zuccherino.» spengo la sigaretta nel posacenere sopra il tavolo, mantenendo il contatto visivo, osservando ogni suo movimento. Si morde le labbra, come se avesse la smania di fare qualcosa, la camicia bianca quasi completamente sbottonata e stropicciata aiuta a rendere la sua persona ancora più idiota del previsto. Gli rubo la canna dalle dita, facendo un tiro abbastanza lungo. I presenti smettono di parlare, come se intorno a noi si fosse creato un cerchio di fuoco. I suoi occhi mi avevano dato un motivo per iniziare a giocare. Gli soffio il fumo sulle labbra, quasi posandoci le mie sopra, passandogliela di nuovo. «Quando avrò tempo e voglia, penserò a farti perdere.» 
Giro i tacchi, tornando vicino a Mattia, già pronto a giocare. Sento gli occhi di quel Federico addosso, come se volessero studiarmi. Glielo lascio fare, cercando di fare i movimenti più sensuali possibili solo per vederlo fremere sulla poltrona di pelle vicino a noi. Sarà l'alcol, la stanchezza, sarà quello che vuoi, ma so che sarà una grande partita. Dentro e fuori dal campo. Prendo un profondo respiro, avvicinandomi alle stecche e con uno sguardo complice, imploro Mattia di dare il meglio di sé, più del solito. 
«Che vinca il migliore.» dice Nicolò, finendo la sua bevuta, posando il bicchiere sul bordo del tavolo. Non sa ancora contro chi si è messo. 
Lancio la pallina nel centro del campo, mentre intorno a noi, la musica dal piano di sopra, riecheggia nitida pure qua sotto. 
«Volete?» 
Ci arrestiamo, girandoci verso la voce femminile poco distante da noi. Storgo la bocca, indecisa. La guardo per quanto permesso dalle luci ed annuisco, allungando la mano verso la sua, la stessa che regge la canna, forse d'erba. La ringrazio con un sorriso gentile, aspirando lentamente. Chiudo gli occhi per godermi l'attimo. Che goduria. «Io sono Veronica ed il tuo vestito mi piace da morire» aggiunge, avvicinandosi a me, barcollando. Ha una voce importante, risoluta, matura. La guardo meglio, studiandone i lineamenti. Avrà una quarantina d'anni, o pochi di meno. Cosa ci fa lì? È la mamma del proprietario di casa? Impossibile. 
«Grazie.» Cos'altro le posso dire? «Io sono Echo.» 
«Amore, lo voglio anche io.» continua con la sua voce stridula, girandosi verso il gruppo di ragazzi seduti sul divano, fra cui Federico. Osservo la scena, vedendolo alzarsi ed affiancarla, mentre con le mani le stringe i fianchi. 
«Cosa vorresti, piccola?» Piccola? Questi due mi prendono in giro, è una farsa. 
Veronica ghigna. «Il vestito di Echo.» 
Federico ed il resto dei presenti in sala mi guardano, come se stessero assistendo ad una seduta degli alcolisti anonimi.
«Adesso avrei una partita da finire,» replico, passando la canna alla legittima proprietaria quasi con ribrezzo «se non vi dispiace.»
Al solo pensiero di avere un briciolo di DNA di quel cretino mi fa accapponare la pelle. 
Stringo le manopole, facendo diventare le nocche sempre più bianche. Accidenti al nervoso ed alla gente insopportabile. 
Mi concentro, lanciando uno sguardo complice a Mattia che, come una furia, inizia a muovere velocemente le pedine e segnare goal come se non ci fosse un domani.
Ad ogni loro attacco, arrivava la nostra risposta. 
«Virgil Van Dijk e Sergio Ramos spostatevi proprio!» dico fra una risata e l'altra mentre respingo ogni tentativo di goal di Nicolò e Leonardo, con la lingua che ogni volta mi si annoda sempre di più. Avere la disponibilità di un gin tonic, gratis ed in ogni punto della casa, è sia meraviglioso che devastante. Il risultato è fermo sul 4-0 per me e Mattia. Partita difficile, ma non impossibile. Per rimanere umili. Già dopo poco l'inizio della partita, la gente ha iniziato ad avvicinarsi a noi, per vedere quella simulazione di scontro fra titani con stecche e pedine. C'è chi fa il tifo, chi commenta le mosse, chi si interessa ma rimane in silenzio e poi c'è lui, che non mi ha tolto gli occhi di dosso neanche per un secondo. 
Forse era per quello che stavo dando il meglio di me, per impressionarlo, magari. Per fargli capire che ci sono anche ragazze che non cadono ai suoi piedi e che anche noi abbiamo gli stessi interessi di un ragazzo, come calcio, motori e musica non esattamente dolce come quella di Ligabue o Tiziano Ferro. 
«I due difensori più forti del mondo riuniti in una sola persona,» biascica Leonardo, ridendo «una combo micidiale, bambina.» 
«Chiamami bambina di nuovo e ti impicco con la tua stessa lingua.» sorrido beffarda, lasciandolo di sasso, riuscendo a far muovere il risultato verso il 5-0.

Dico a Mattia di dover andare in bagno. È ubriaco fradicio e sta delirando sul divano del salotto, con altra gente intorno. Federico e Veronica sono spariti da qualche ora buona. Che schifo. Mi faccio strada, con non poca difficoltà, verso la porta poco lontano dal posto da cui sono partita, aprendo la porta solo dopo esserci scivolata sopra. Ma quanto sono imbranata? Scoppio a ridere, mentre la mia faccia rimane spalmata sul pavimento freddo e dannatamente… piacevole? Quasi mi rilassa stare lì. Sospiro, sentendo stomaco e fegato prendermi a pugni. Devo riprendermi, ed in fretta. Cerco di alzarmi, maledicendo l'architetto di quella casa per non aver messo un interruttore subito dopo la porta. Quale persona mette l'interruttore vicino alla specchiera? Rimango quasi accecata dalla luce forte emanata dai fari a neon. 
"È questo il paradiso?" penso posando le mani sul lavandino, usandole come punto fermo per non cadere di nuovo a terra. Sono proprio uno straccio ed il mio riflesso, bianco pallido e con le occhiaie scure come due pozzi petroliferi, quasi mi spaventa. Ho i capelli che fanno pietà. Da lisci perfetti alla criniera di Mufasa, ma nell'insieme, non sono poi così male. Disordinato chic, ecco come potrei definire il mio stile. Ho bisogno di riprendermi. Prendo profondi respiri, mentre sento la porta aprirsi. 
«Hai scoperto una nuova parte della mia casetta,» chiamarla casetta è alquanto riduttivo. Sembra la residenza estiva della Regina Elisabetta. «spero ti piaccia, visto che quella nuova devi disegnarla tu e farla ancora più bella.» 
Il ghigno comparso sulle labbra di Federico, mi irrita incredibilmente. Come tutto il suo essere, del resto. Sbuffo, roteando gli occhi. Arrogante.
«Magari non sono così brava come credi e verrà una casa disgustosa» provo a replicare, sapendo perfettamente di non riuscire a fallire. Nel mio campo sono una fra i migliori in tutto il territorio italiano. 
«Ho fatto delle ricerche, prima di mettere la mia vita nelle tue mani» Uno più esagerato e tragico di lui, difficilmente lo avevo incontrato. Anzi, quella categoria maschile mi mancava. «Non posso assegnare un compito simile ad un architetto da due soldi.» Non posso dire niente e, purtroppo, mi trovo costretta a dargli ragione. Gli sorrido, grata di aver sentito quelle parole. Un complimento, è sempre ben accetto.
«Comunque complimenti,» esordisce dopo qualche attimo di imbarazzante silenzio, in cui io giocherellavo con le mie dita e lui si guardava la punta delle scarpe «sei veramente brava a biliardino.» 
Lo guardo in attesa. Ho come la sensazione che abbia, di proposito, lasciato delle parole in sospeso nell'aria. Tengo il labbro inferiore fra i denti, consapevole del colore rosso assunto dalle mie guance. Brutta bestia l'imbarazzo. Od i litri di gin tonic che ho usato per trovare qualcosa di bello in questa festa. 
«Frutto di duri allenamenti» replico, con voce piatta, per niente infastidita. Poi un capogiro. Stringo gli occhi e poso le mani sul lavabo, per mantenere l'equilibrio, ormai precario. Mugolo dal dolore, mentre la testa inizia a martellarmi. Il mio tempo qui deve essere finito. 
«Tutto bene?» domanda, troppo vicino al mio viso, facendomi arricciare il naso a causa del suo respiro al gusto alcool e tabacco. Annuisco velocemente, allontanandomi dal suo viso per respirare un po' di aria pulita. Approfitto della distanza per guardarlo meglio. I capelli biondi, palesemente tinti, corti al punto giusto, gli donano un aria dura quanto delicata. E labbra sottili e leggermente screpolate mi costringono a piantarci gli occhi sopra, come se fossero calamite. Mi lecco le labbra, guardando le sue, completamente rapita. Una meraviglia. Sento il mondo intorno a me sparire, come se non esistesse niente al di fuori di me e quella bocca. 
«Echo, sto parlando con te.» una voce, la sua, mi risveglia da quello stato di trance in cui sono caduta. Poi un sorriso che sapeva di smorfia, un bacio sulla bocca al gusto di Gin Tonic, tabacco e Amaro Del Capo, ed un brivido lungo la schiena. 
«Che schifo.» esordisco, non pensandolo sul serio, purtroppo. Sgrano gli occhi, guardando il ragazzo di fronte a me. Ma oltre all'amaro si è bevuto pure il cervello? Ma chi si crede di essere? «Tu sei pazzo!» 
«Proprio come la immaginavo,» dice senza pensare alle mie parole, facendosi schioccare la lingua contro il palato «morbida e dannatamente baciabile.» 
Resto ferma, annaspando. Perché quell'insulso bacetto, mi ha tolto così tante forze? 
Si volta di schiena, si chiude la porta alle spalle, sparendo dalla mia visuale. 
«Ci vediamo presto, Echo.» 
«Spero il più tardi possibile, Federico.»

3D: Dangerous, Drunk & Dirty Game ; // Federico BernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora