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Ricordo che ero nella mia stanza. Stavo giocando con delle macchinette, forse. Questo è un po' confuso. No, erano degli aeroplanini, perché zia Mary me ne aveva regalati ben tre, cinque giorni prima. Diceva sempre che un bravo ometto si merita qualche giocattolo in più. Era agosto, quindi faceva tanto caldo. Non riuscivo a dormire perché Mami urlava, urlava tanto. Aveva la voce squillante come quella fastidiosa di un chihuahua; che "cani" odiosi. Amo gli animali eh, sia chiaro, ma quei piccoli topastri sempre incazzati non riesco a sopportarli. Pensi che nessun cane mi ha mai morso perché anche io piaccio tanto a loro, ma proprio un chihuahua ha avuto la bella idea di farlo; mi ha fatto uscire un bel po' di sangue, sa?
Come? Nulla! Non potrei mai fargli del male. L'ho spinto via e l'ho lasciato perdere; ma stia pur certo che non mi avvicinerò mai più a quelle bestiacce. Meglio i gatti, che sono tanto più tranquilli e si fanno gli affari loro.

Sì, certo, mi scusi.
Allora, stavo dicendo che faceva caldo e che mamma stava urlando. Credo ce l'avesse con papà perché tornava sempre a casa tardi oppure perché non faceva mai nulla in casa. O entrambe. Mammina mi aveva convinto che papà aveva un'altra donna, tante erano le volte che lo ripeteva; piangeva, quindi le credevo. Ma non ho mai saputo se fosse la verità. Mi ricordo che ogni volta che la sentivo urlare in quel modo provavo paura, tanta. Mi spaventa la gente che urla, soprattutto quando me lo fa in faccia. Mi capita che perdo il controllo.
Nono, mai fatto nulla di violento, prima. Piangevo, piangevo tanto. Poi iniziavo anche io ad urlare.
Ero spaventato, però volevo vedere se mamy stava bene, perché non volevo che piangesse. Ho lasciato gli aeroplanini sul tappeto dove stavo giocando... no, forse ero sul letto; sisi, ero già salito sul letto. Così sono sceso e ho aperto la porta. Avevo il cuore a mille, ma non per le urla. Avevo paura che sentissero quella maledetta porta scricchiolare. Faceva un casino assurdo ma quella volta non badarono a me. Probabilmente erano troppo occupati. Comunque, decisi di andare a vedere e mentre camminavo, anche papà ha iniziato ad urlare. Mi ero immobilizzato davanti la porta del bagno, o della mia camera. Non ricordo bene dove fossi però so per certo che loro erano in cucina. Quello lo ricordo bene perché è lì che papà ha preso il coltello.
Non volevo mi scoprissero, e anche se ero spaventato a morte, volevo vedere la mamma. Loro erano di fronte la finestra, vicino al frigo; io stavo sull'altro ingresso. Non mi avevano visto. Mamma gridava e sì, piangeva. Volevo abbracciarla e volevo farmi abbracciare. Papà anche lui urlava ma non c'è mai, non ha tempo da dedicarmi, quindi non avevo bisogno di lui. Ricordo solo quelle poche parole, a cui seguì il silenzio. Papà aveva gridato "Basta! Non ce la faccio più" e poi niente. Finalmente le orecchie potevano riposare. Io non resistivo più e ho approfittato di quel momento di silenzio per abbracciare la mamma. Così le sono corso in contro e anche se mi dava le spalle non mi importava. Ricordo che le ho abbracciato il sedere ma quando ho messo le mani sul suo stomaco, avevo sentito qualcosa di viscido e caldo. Così mi allontanai e mamma si girò per guardarmi; "l'ultima volta" avrà pensato. In quel momento non avevo capito che sarebbe morta di lì a poco, neanche potevo immaginare a otto anni che un coltello piantato sull'addome potesse portarti via. A quei tempi la TV e i giochi non ti abituavano a certe cose, a differenza di oggi. Troppa violenza, troppa. Per questo motivo in America succedono tutti quei disastri: è logico. I bambini si abituano alla violenza e non si spaventano più quando vedono del sangue, anzi, magari suscita loro curiosità. Come suscita loro curiosità l'effetto che fa uccidere.

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