Capitolo 2

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Can Divit

Non sono tornato per restare, né ho un valido motivo per farlo. Non più, almeno. La mia unica ragione eri tu, Sanem. Solo per te sarei rimasto a Istanbul. Solo per te avrei messo radici stabili. Solo con te avrei formato una famiglia.

Il tuo nome scorre ancora nelle mie vene come il più dolce dei piaceri e il tuo profumo è impresso nella mia mente con ricordi incancellabili.

Dicevi di essere mia, mia soltanto, eppure ho dubitato delle tue parole quando Yiğit si è insinuato nelle nostre vite. Ho mandato al diavolo la ragione, la logica, ogni buonsenso e mi sono fatto sopraffare da sentimenti irragionevoli, tanto ero accecato all'idea di perderti.

Sono stato geloso, Sanem. Geloso di te. Geloso del tempo che lui ha rubato a noi due, del suo modo subdolo di sfruttare la tua gentilezza a proprio vantaggio. Poco a poco è penetrato nelle nostre debolezze e ci ha allontanati.

Tu ed io, due anime sintonizzate sulla stessa frequenza, abbiamo permesso a una corrente avversa di trascinarci via, agli antipodi del mondo. Lo avresti mai creduto possibile? Eppure a noi è successo.

Perché le cose non sempre vanno come le abbiamo immaginate, neppure se riversiamo in esse ogni goccia del nostro sangue affinché fluiscano nella giusta direzione.

A volte compare qualcuno sulla nostra strada in grado di sabotare i programmi, di insinuare il tarlo del dubbio, di mascherare falsità spacciandola per buone intenzioni. E se non si è abbastanza forti insieme, quel tarlo penetrerà nel legno e lo farà marcire, quella maschera colmerà di menzogna l'anima onesta e quel qualcuno si farà spazio, distruggendo ogni proposito futuro.

Lo ammetto, Sanem, non sono stato abbastanza audace da mettere da parte il mio orgoglio. Ho creduto di essere roccia, invece non sono stato altro che una semplice pietra, capace di lasciarsi scalfire persino dal vento.

***

«Saprebbe indicarmi un negozio di nautica nei paraggi?», mi chiede un uomo dalla banchina, mentre io indirizzo la barca per l'ormeggio.

«Non può sbagliarsi, ce n'è uno proprio fuori dal porto», rispondo.

«Tra poco dobbiamo salpare e ci servirebbe una nuova ancora con urgenza», continua lui. Mi lancia una fune da terra così che possa assicurarla a bordo.

Lo ringrazio dell'aiuto.

«È meglio se rimandate la partenza. Il tempo sta cambiando», gli consiglio.

Lui aggrotta la fronte.

«Ma non c'è ombra di una nuvola», borbotta scettico.

Dopo aver trascorso un anno in mare, conosco la direzione dei venti meglio di me stesso. Presto arriverà un temporale, ne sono certo. Non voglio offendere l'inesperienza dell'uomo, perciò chino la testa e nascondo il sorriso sicuro che mi è spuntato sulla bocca.

Fuori dal porto imbocco la strada di un quartiere popolare. È colorata, briosa, passionale come le persone che la abitano. I venditori espongono fuori dai locali i propri prodotti, invitando a gran voce le donne ad avvicinarsi e dare un'occhiata.

Vendono di tutto: dal pesce fresco alle spezie, dolci e pane appena sfornati; l'odore fa venire l'acquolina in bocca. Davanti ai portoni le anziane bevono tè e chiacchierano animatamente di ogni cosa, mentre i nipoti giocano a rincorrersi lì attorno.

Finché il sole lascia il posto alle nuvole. Sollevo il mento: alcune gocce cadono e mi imperlano il viso. Pian piano, una fitta pioggia primaverile imperversa nelle strade. In lontananza qualche tuono squarcia il cielo, mentre il garrito dei gabbiani si sente nitido e vicino, quando sorvolano la città per allontanarsi dal mare.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 07, 2019 ⏰

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Quando al mare sussurravo il tuo nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora