Phair

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Fu nel giorno più difficile che l'elfa ebbe l'occasione di farsi esecutrice diretta dei princìpi del suo patrono e del suo dio: il momento dell'eruzione era ormai giunto, e il bosco era stato protetto per quanto possibile, anche se i tremiti del terreno e i lapilli di magma rendevano la zona tutt'altro che sicura; in quel momento lo scorse. Svenuto, seminascosto da una pianta bruciata, vi era un esserino minuscolo, un cucciolo, dalla pelle scura e dalle piccole corna ricurve. Giaceva inerte sulla roccia rovente, sul margine di una frattura profonda, la coda glabra che penzolava da una sporgenza.


Lei corse a perdifiato, sapendo che nessuno avrebbe dovuto trovarsi lì in un momento tanto pericoloso, nel disperato tentativo di salvarlo da una fine impietosa quanto vana.
Raggiunse il cucciolo, e con le poche forze rimaste lo avvolse nei lembi del suo abito e lo portò con sé all'interno della casa, protetta dai pericoli che sovrastava in cima all'altura.


Era una creatura insolita, di quelle che avevano cominciato a popolare la montagna dopo l'arrivo del caldo feroce, ne aveva solo sentito parlare dai racconti di qualche avventore o del proprio patrono, alcune delle tante sere nelle quali si trattenevano in lunghe conversazioni. La sua pelle era rossa, ora che poteva vederlo più da vicino, e le piccole corna arricciate ricordavano quelle di una giovane capra. La sua coda, sottile e dalla punta triangolare, si muoveva ora leggermente, dei piccoli gesti involontari del sonno. Era piccolo, indifeso, e di una strana bellezza inquietante, che rapisce lo sguardo. Si svegliò poco dopo, in uno sbadiglio scoprì canini lunghi ed affilati, ed occhi completamente neri come la pece, lucidi e pieni di vita. Si avvicinò ad osservare l'elfa, seduta su una sedia vicina, e dopo averla studiata qualche secondo le salì in grembo e si riaddormentò.


Discusse a lungo con Relkath quella notte, con toni accesi e appassionati: il piccolo sarebbe restato.


Phair cresceva sano e curioso nella dimora di Verisel, sviluppando un grande interesse per tutto ciò che vi era contenuto: passava ore e ore nella biblioteca, piena di tomi trascritti a mano dall'elfa stessa, a leggere di qualsiasi cosa, e altrettanto tempo nel Manto, forte della sua innaturale vista nel buio, a scoprire ogni segreto di quel luogo. L'elfa, ormai come una madre per lui, lo aveva fin dall'infanzia iniziato ai precetti del culto di Jergal, e l'aveva educato ad un occhio critico e imparziale su ogni aspetto della vita e della morte, e del mondo in cui vivevano. Gli aveva inoltre infuso un grande rispetto per la parola data, e per le regole dell'esistenza. Non gli aveva però mai parlato del legame che condivideva con l'essere fatato, e le conversazioni con chiunque raggiungesse quel luogo venivano circoscritte ad una stanza che Verisel teneva sempre chiusa, ospiti o meno, e nella quale al giovane tiefling era proibito entrare.


Phair era intento nella lettura di un grosso tomo all'ombra di uno degli alberi che costeggiavano il lago, un pomeriggio come molti altri, quando improvvisamente un'immagine intrusa si insinuò nei suoi pensieri, con prepotenza: come un flash vide un albero, maestoso e incredibile. Sussultò di sorpresa, ma l'immagine era già svanita. Qualche secondo dopo, un'altra: sempre la stessa immagine, ma nell'albero gli sembrava di riconoscere Verisel, per quanto impossibile trattandosi di una pianta e non di un elfo. Anche quest'immagine scomparve bruscamente com'era arrivata, e solo un eco di un sussurro sospirò nelle orecchie e nella mente del tiefling: "vieni".


Chiuse l'ingombrante libro e si diresse verso casa, entrò affannato e la vide: la porta era aperta. Quello studiolo, denso di mistero nell'immaginazione del giovane, era ora accessibile. Vi si affacciò titubante, timoroso di star infrangendo un limite invalicabile, e vide l'elfa, ormai dall'aspetto maturo, seduta dall'altro lato di un delicato tavolo rettangolare finemente intarsiato e decorato. Era lei, ma non sembrava lei: era come se l'essenza di Verisel se ne fosse andata, per lasciare il posto a qualcos'altro. Gli occhi parlavano una lingua diversa, più profondi e antichi di quanto quelli di un elfo potrebbero mai essere.


Phair si sedette sulla piccola sedia di legno di fronte a lei, rapito da quello sguardo, e una voce che non era quella di lei parlò dalle sue


labbra: "cos'è che desidera il tuo animo, giovane Phair?"
Il tiefling si irrigidì, cercando di valutare la situazione prima di proferire parola, come gli aveva insegnato Verisel. Dopo qualche minuto di riflessione, l'unica cosa che rispose all'essere fu "E voi?"
Una risata rauca gorgogliò, non era crudele, ma bonaria. Relkath si complimentò per il lavoro svolto dall'elfa nella sua educazione, e gli raccontò tutto quello che lei gli aveva tenuto segreto. Sapeva che ormai la lealtà del giovane era stata forgiata e che lui si era dimostrato acuto d'ingegno e portato all'apprendimento di ogni insegnamento che gli era stato sottoposto, mantenendo un approccio razionale e distaccato anche nelle situazioni più controverse. Sembrava essere perfetto per il compito che voleva assegnargli: desiderava che lasciasse quel bosco, e quella montagna, per viaggiare e attraverso le sue azioni lottare per mantenere l'equilibrio e la giustizia fra tutti gli esseri viventi. Avrebbe dovuto macchiarsi le mani in prima persona, consegnando coloro che cercavano di ingannare la morte, e allo stesso modo impedendo che chiunque le si presentasse prima del tempo. Gli avrebbe in cambio donato poteri incredibili, un'energia mistica avrebbe percorso il suo corpo e la sua intera essenza, che avrebbe dovuto mettere al servizio di lui, Relkath, il patrono fatato, e di Jergal e dei suoi precetti.


Phair comprese subito l'entità di una tale richiesta e di ciò che gli sarebbe stato affidato in cambio, e rendendosi conto di poter finalmente fornire un contributo di valore per il rispetto della vita e della morte e di poter ripagare Verisel di tutto ciò che aveva fatto per lui nel corso di quegli ultimi 28 anni accettò, e forse fu l'unico che strinse un patto con Relkath consapevole di ciò che significasse. Il treant non gli concesse neppure di salutare la donna che l'aveva allevato, e in un vortice di tenebre che lo sopraffece Phair Thamnon si trovò solo, con i suoi averi in uno zaino di pelle, in lontananza sull'orizzonte il vulcano di Kurdal, e in mano un piccolo libro traslucente nel quale erano appuntate alcune frasi dal significato occulto. Leggendole provò una sensazione violenta crescere dentro di lui, e prima che potesse rendersene contro un getto di energia pura scaturì dalla sua mano, scaturendo in una deflagrazione di natura arcana che sconvolse il nuovo warlock profondamente.

Imparò rapidamente a controllare i tumulti del suo nuovo potere, e viaggiò a lungo per valli, città, deserti, porti di mare, avventurandosi raramente sulle montagne soffrendo ancora per il brusco distacco da Verisel. Non poté però evitarlo una volta giunto a Dempasar e una volta scoperto ciò che stava avvenendo.

Si vociava di scorribande e razzie da parte di gruppi organizzati, e non appena seppe che non si facevano scrupoli a terminare le vite di chiunque si interponesse fra loro e l'oggetto dei loro desideri capì che doveva intervenire. Riuscì, seguendo le tracce di un gruppo di eroi partiti poco prima, a ricostruire un percorso che portava ad una montagna; aveva sentito dire che loro volevano scoprire di più sulla questione, ed anche lui, perciò i loro passi avrebbero battuto lo stesso cammino.

Phair ThamnonWhere stories live. Discover now