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Se vuoi provarci fallo fino in fondo, altrimenti non iniziare.
-Charles Bukowski

Espirai e il fumo uscì dalla mie narici e della mia bocca. Picchiettai con l'indice sul tronchetto e cadde della cenere nella tazza del bagno della scuola.
Era l'ultima ora e la storia mi annoiava a livelli sovraumani. Poggiai la testa sul muro alle mie spalle e feci un altro tiro. I miei occhi si posarono sulla parete divisoria di plastica che mi divideva dall'altra cabina.
Era imbrattata da scritte sensa senso, dediche e ricordi di alunne passate.
Io e Nina non avevamo mai lasciato un nostro segno, né in tutta la scuola, né nei posti dove eravamo state. Lei voleva rispettare le regole per lei fondamentali per la civiltà, ma incoerentemente poteva ricoprire il vialetto del vicino con il suo vomito post sbornia o anche violare la regola di atti osceni in pubblico.
Alla luce del mattino Nina Milani era una baby doll. Quando la notte copriva il sole con il suo manto scuro, era come se anche il suo Virgilio venisse rapito ed essa ritornava vogliosa di peccati nell'inferno.
Io ero semplicemente Rea, ogni giorno. I miei peccati mi seguivano interrottamente.
L'aria puzzava di tabacco; sapevo che i miei vestiti si sarebbero impregnati di nicotina e che la prof Zaccaria mi avrebbe fatto rapporto, ma io avevo bisogno di una pausa, anche se questo avrebbe significato infrangere le regole.
Esse sono strane, sembrano sempre così ridondanti. Ne impongono di nuove, ma in conclusione tutte fanno la stessa fine. Vengono ignorate, violate e schiacciate. Alcune volte infrangerle è servito, molto spesso a discapito di qualcuno.
Dipende sempre da chi è il vincitore e da chi è il vinto.
Quale sarebbe stato il mio ruolo nella battaglia della mia vita?
Io mi proiettavo già nei perdenti, nell'angolo delle persone trascurate, troppo silenziose e pensatrici, per atti eroici e di rilievo.
Avevo questo difetto di osservare e riflettere più del dovuto. Tenevo tutti i miei pensieri dentro, nella speranza che qualcuno li tirasse fuori.
Ma il mio vaso non era pieno di fiori, era di Pandora e chi lo avrebbe aperto sarebbe stato travolto da troppi scheletri.
Buttai la sigaretta nel water e tirai lo sciacquone.
Spinsi fuori l'ultima nuvola di fumo e sistemando i pantaloni uscii dalla cabina dalle pareti rosse.
Nello stesso istante, entrò quella che sarebbe stata la mia Fosca, però dalla bellezza disarmante.
La guardai curiosa di ciò che avrebbe potuto fare e lei fece lo stesso.
La frenesia delle settimane passate si stava convogliando in quel momento e l'agitazione della mattinata sembrava poca cosa rispetto a quell'istante.
Lei si avviò verso il lavandino, senza dire niente. Aveva solo un sorriso sornione sulle labbra.
Rimasi ferma ancora.
Non aveva idea di quanta voglia avessi di parlarle e al tempo neanche io.
Perché avevo passato tutti quei giorni a pensare quanto lei fosse stata brava a riuscire ad aprirmi in un solo pomeriggio e io non ci sia mai riuscita con gli individui che condividevano con me il DNA.
La invidiavo, ma l'ammiravo.
Volevo chiaccherare come in libreria, ma avevo paura allo stesso tempo.
La odiavo, ma desideravo conoscerla e posizionarla in un' etichetta.
E prima che la mia mente, mandasse la scarica elettrica al recettore muscolare io parlai:
-Ciao-
Lei mi fece un cenno, ma non rispose.
Mi avvicinai titubante al lavello al suo fianco.
Analizzai la sua figura dal riflesso dello specchio. Aveva i capelli spettinati, le gote rosee e sulle labbra era steso un color rosso carminio.
Presi un gran respiro e riprovai.
-Come va? - chiesi, mordendomi il labbro, nervosamente.
Ayla alzò finalmente lo sguardo e sul suo viso fece capolino un espressione dubbiosa.
-Bene- disse semplicemente, ritornando a strofinare le mani sotto l'acqua corrente.
Strinsi le falangi sul bordo del lavandino e sorrisi amaramente.
Cosa volevo dimostrare?
Che potevo essere come lei?
La odiai perché mi aveva attirato, ma non voleva trattenermi e odiavo me stessa per averlo saputo fin dall'inizio.
Avevo imparato con gli anni che era inutile parlare, con chi non prova ciò che hai provato tu.
Era tutto un equivoco.
Alzai la manovella e misi i polsi sotto il getto per calmarmi.
Lei riportò lo sguardo su di me e le sue iridi vispe sembrarono vogliose, come le mie.
-Come va a te, piuttosto? - mi domandò ironica.
Interdetta risposi che andava tutto bene. Lei sgranò gli occhi e sorrise.
-Sembra che non ti vada tutto bene- palesò, avvicinandosi pericolosamente.
Io mi spostati di scatto e le si stampò un ghigno sulle labbra carnose.
Premette sul getto del sapone e si riavvicinò al lavello.
-Cosa te lo fa pensare? - la sollecitai, per poi compiere lo stesso gesto fatto da lei un minuto prima.
Lei si fermò e mi scrutò attraverso la quintessenza.
-Potevi risparmiarti il teatrino all'intervallo- affermò seria.
Dentro di me sentii una strana felicità, forse consapevole di aver attirato le sue attenzioni, ma poi essa fu travolta da rabbia.
Pensai che non aveva il diritto di dirmi cosa io non avessi dovuto fare, e che avrei trovato di nuovo tra i piedi una stupida moralista. Non mi sarei scusata con Pietro o Paolo, come si chiamava; perché in cuor mio mi era servito come valvola di sfogo.
Il mondo purtroppo era ingiusto, lo avevo imparato spesso a mie spese, e nessuno poteva sottrarsi alle ingiustizie, anche se ingiustamente volute.
La guardai sprezzante e mi voltai per azionare l'asciugamani.
Sentii il suo sguardo addosso.
-È successo qualcosa quel ferragosto con quel ragazzo? - mi chiese con un tono pacato.
-No- mentii, ancora.
-Rea, puoi dirmi tutto. Non ti giudico- dichiarò avvicinandosi.
-Non ti conosco, non ti dirò niente- asserii distogliendo lo sguardo.
Volevo le sue attenzioni, ma non volevo che sapesse troppo. Volevo imparare a capirla, ma lei non doveva farlo con me.
Ero incoerente.
Io e il mio mondo dovevamo restare intatti.
Lei mi si posizionò di fronte e appoggio le mani sotto le mie per asciugarle.
Sentii un profumo di muschio
speziato, con un pizzico dolce di frutti di bosco.
Odorava di natura e libertà.
Seguirono minuti di silenzio, riempiti dal rumore elettrico dell'asciugamani Sul suo volto si stanziò un espressione corrucciata.
Mi chiesi se l'avessi ferita, e se dovessi chiederle scusa. Ma il mio orgoglio era troppo per passi così lunghi.
-Quel ragazzo non mi piace- precisai, per rompere il silenzio.
Indossava una maglietta bianca, che metteva in evidenza il colore particolare della chioma. Al di sotto invece le sue gambe erano fasciate da dei jeans scuri, ai piedi portava delle vans sporche di vernice.
-Allora perché lo hai baciato? - mi domandò.
Le nostre dita si sfioravano sotto il getto e io cercavo in tutti i modi di evitare quel contatto.
-Non lo baciai, quella sera ero ubriaca- Ripetei schietta.
-Anche io conobbi la mia ex ragazza così- confessò, sorridendomi.
Non capii il nesso.
-Io non mi fidanzerò con lui- alzai un sopracciglio.
-Okay, era per fare conversazione- spiegò, alzando gli occhi al cielo.
Le sorrisi timidamente.
-Quale materia hai? - domandò,
-Storia- risposi, afferrando un fazzoletto dal distributore, per allontanarmi da quella vicinanza.
-Tu? - rigirai, la frittata per non farla andare via. Mi aspettai che sarebbe venuto a diluviare quel pomeriggio di settembre.
-Sono uscita un'ora prima, ma sono rimasta. Oggi devo stare in biblioteca- Spiegò, indicando lo zaino vicino alla porta.
Era un zaino nero della vans, sporco intenzionalmente di macchie di colore, e sulla parte frontale si alternavano spille da baila a quelle multicolor e di band a me sconosciute.
Mi avvicinai ad esso, con piccoli passi, seguita dai suoi occhi attenti.
Mi abbassai e iniziai a leggere le sigle sui cerchietti di metallo. Appoggiai l'indice su uno di essi, dove vi era una scritta: "Do you know who you are?"
Mi girai verso di lei, e la incitai muta a spiegarmi cosa significasse. Non l'avrei spinta a dirmi niente, se lei non avesse voluto. Le persone mentono troppo spesso, se si sentono costretti a dover confessare qualcosa di personale. Io l'avrei solo lasciata parlare. Mi piaceva sentirla.
-Mi ricorda che ogni giorno non siamo quello che eravamo ieri. Che neanche io so chi io sia fino in fondo e che per questo io non devo giudicare gli altri. - mi sorrise malinconica.
La sua voce non era più nasale, era calma e accogliente.
Venne verso di me, accompagnata dall'eco dei suoi passi, per poi stazionarsi al mio fianco.
Si chinò verso il mio viso e alcune sue ciocche mi fecero solletico a quest'ultimo.
Avvampai.
-Rea, tu sai chi sei veramente? - domandò, puntando i suoi occhi nei miei.
La guardai stupita e in quell'istante lo chiesi veramente a me stessa.
Chi ero io?
Venni sommersa da una varietà di risposte e nessuna sembrò quella giusta e tutte in contrasto tra di loro. Perché io ero diversa con tutti quelli che avevo davanti. Con i miei genitori, con Nina, con i professori e con Ayla.
Avevo una cassettiera di maschere, ma chi era la vera Rea? Io ero Rea Paleotti, avevo diciassette anni, ero benestante, ero magra, bassa, cristiana,studentessa, figlia di Stefano Paleotti e Filomena Torre, migliore amica di Nina Milani, ed abitavo a Bologna. Ma tolto tutto cosa mi restava?
Provai un senso di sparrimento che mi lasciò senza parole. Ed ebbi paura.
Non le risposi e so per certo che lei lesse il turbamento nelle mie iridi.
-Rea- mi chiamò, tastando tra le sue labbra il mio nome.
-Esattamente, sono Rea- presi la palla al balzo. Vi era una strana corrente nell'aria ed entrambe avremmo potuto scagliarci fulmini per farci del male. Mi passò per la testa di ferirla perché provavo orrore per la sua mente e di come avrebbe potuto incatenarmi a lei.
-Ognuno di noi ha una maschera Rea, il problema sta se si dimentica di posarla sul comodino e far prendere aria al nostro vero io- mi riferì, non distogliendo lo sguardo.
Da quella vicinanza potevo asservare la mescolanza della sua iride destra. Sembrava che il mare in burrasca, si scontrasse con scogli ferrigni. Il suo piglio esprimeva apprensione e il colore di essi rendevano tutto più inusuale, e proprio per questo magnetico.
-Ayla, io... - Iniziai, cercando di capire dove volesse andare a parare.
-Le persone amano le proprie catene, e se cerchi di ricordarglielo loro ti odiano- citò un cantautore che io conoscevo, fin troppo bene.
-Jim Morrison-sussurrai e lei mi sorrise.
-Esattamente- disse, le sue lentiggini si dispiegarono per il movimento delle sue gote, verso l'in su.
-Ayla, cosa vuoi intendere? - chiesi di impulso e tanto velocemente lei mi rispose.
-Non voglio che tu mi odi- dichiarò, ritornando seria.
E mi sentii in colpa, perché io l'avevo odiata e la odiai. Sul macigno della delusione si iniziò a posare un granello di incomprensione, che mi portò ad allontanarmi.
Repentinamente feci leva sulla coscie e mi alzai, per poi fare qualche passo all'indietro.
-Cosa vuoi da me? - domandai, con un tono pieno di esasperazione.
-Niente- affermò, alzando un sopracciglio.
-Perché mi dici queste cose?- insistetti, indicandola con fare accusatorio.
-Si chiama conversare. Tu chiedi, io rispondo, io faccio considerazioni e tu mi dici cosa ne pensi- palesò tranquilla. E la sua calma mi fece innervosire ancora di più.
Stavo per perdere le staffe.
-Tu volevi intendere qualcosa, non sono scema- comunicai schietta.
Lei si alzò, afferrando lo zaino e mettendo un fascia di esso sulla spalla destra.
-Non sempre ciò che le persone intendono corrisponde con quello che gli atri capiscono- sostenne e non seppi cosa rispondere, lasciando che il silenzio riempisse di nuovo la stanza.
Lei sbuffò e uscì dal bagno.
D'istinto la seguii e le afferrai il polso per fermarla.
Lei si girò e mi lanciò uno sguardo irresoluto. Io lasciai la presa, come se mi fossi ripresa da uno stato di trans.
-Ayla- pronunciai il suo nome, ma le scuse non sarebbero uscite con quest'ultimo. Non avrei mai avuto il coraggio.
-Come si chiama lei?- mi chiese.
Io alzai un sopracciglio, interdetta.
Il mio pensiero balenò alla mia ragazza dolcestilnovista, ma lo ignorai.
-Chi? - contrabbattei.
-Io volevo sapere solo il nome della ragazza bionda che sta sempre con te, il mondo non ti gira attorno-
Sogghignò amaramente, per poi girare i tacchi e incamminarsi verso il corridoio opposto.
Rimasi lì immobilizzata dalla trepidazione. Sentii formicolare le punte delle dita e un groppo sulla bocca della trachea, che non aveva intenzione di andarsene.
Deglutii a forza e il granello di  incomprensione divenne un pugno.
Quel cazzotto lo sferrò con precisione e se Ayla quel giorno avesse avuto l'intenzione di destabilizzarmi, aveva centrato appieno l'obiettivo.

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Ehi, bellezze e bellozzi!
Cosa avrà mai intenzione di fare Ayla? Boh, chi lo sa. Ahahahha
Spero che vi stia interessando la piega della storia. Se tornate al capitolo dei personaggi, potrete vedere i personaggi del padre e della madre di Rea.
Se volete lasciate commenti, per farmi sapere cosa ne pensiate.
Alla prossima settimana.

Chiara<3

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