5 │ La Danza Macabra

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Tornarono in città che era quasi ora di pranzo. Le strade erano gremite di gente che si spostava da un edificio all'altro per il pasto imminente. Quando i passanti li incrociavano, li guardavano male. Caesar intuì che era per la sua presenza, che certo non passava inosservata: era un volto mai visto, oltretutto straniero, repubblicano, insomma proveniente da quella nazione che aveva soggiogato tutte le province circostanti. Caesar non godeva mai di una buona fama, anche se paradossalmente per le ragioni sbagliate.

"Ho fame." Constatò Morrigan, che ora camminava un pochino più sicura. Forse era perché si stava sforzando di non avere paura, o forse perché con vicino qualcuno che facesse strada acquistava confidenza. Non si staccava un attimo, infatti: non teneva Caesar per mano, forse più per principio che per mancanza di necessità; ma stava a pochissima distanza da lui, al suo fianco, e ogni tanto lo sfiorava con le dita per identificare dove fosse. Lui fece finta di non essersene accorto.

"Vai al nido, mangia e riposa, piccolo corvo. Caesar starà qui intorno."

Erano arrivati davanti alla casa malmessa, infine. Si erano fermati fuori dalla porta per parlare.

"Vuoi qualcosa da mangiare?" chiese lei, in un moto di carità divina che non le avrebbe mai portato nulla di buono.

"Ricapitoliamo: prima cerchi di corrompere Caesar proponendogli di diventare la sua schiava, forse sessuale, Caesar non l'ha capito bene. Poi ci riprovi con le chiacchiere simpatiche. E adesso ci riprovi con il cibo? Non hai capito che Caesar è incorruttibile?"

Lei inasprì gli angoli della bocca in un'espressione di stizza, resa inquietante dagli occhi inespressivi. Era come se avesse due voragini al posto delle orbite. Il resto della faccia si muoveva, rideva, si arrabbiava, si spaventava. Ma gli occhi erano sempre uguali, sembravano non essere suoi.

"Forse dipende da che cibo ti offro." Accennò, scherzosa.

"E adesso ci provi con l'umorismo? Non attacca. No, no. Tuttavia..."

"Sì?" lo incalzò lei, impaziente.

Caesar decise di approfittarne.

"Tuttavia, Caesar apprezzerebbe una carota, se proprio ci tieni a corromperlo. La detrarremo dalla tua permanenza nel Vuoto, che dici, uhm? Quanta vita vale una carota?"

"Oh, i banchieri la quotano circa vent'anni."

"Vent'anni? No. Quelli li vale qualcosa di meglio. Un pasto intero, o almeno un dolce."

Lei, cercando di non ridere, rimase al gioco.

"Non ho dolci, temo."

"E allora vada per la carota. Fa... una settimana, va bene?"

"Allora potrei darti molte carote."

"Spiacente, non sono cumulabili."

Lei a quel punto lasciò andare la risata sommessa che teneva imbrigliata tra le labbra. Caesar la seguì a ruota, poi iniziò a complimentarsi, picchiandole delicatamente la spalla in un gesto fiero.

"Visto? Visto? Anche i corvi sanno sostenere un'intera conversazione con un pazzo!"

Lei divenne rossa in viso, Caesar non seppe bene perché. Si vergognava di tutto. Anche della pazzia?

"Però ora forza, vorrei la carota."

Lei rimase stupita. Si grattò il mento, con fare imbarazzato.

"Ah... dicevi sul serio?"

"Caesar è sempre ser... cioè... no, suona piuttosto falso. Diciamo che Caesar è ironico, ma parla sempre di cose serie."

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