Capitolo quattordici

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Non esistono giornate troppo lunghe o troppo corte, un giorno è composto da ventiquattro ore, ed è il tempo che ci è concesso per poter cambiare le cose. Non sono poche ventiquattro ore, si potrebbe perfino cambiare il mondo se soltanto lo volessimo, ma non lo facciamo, ragion per cui ho compreso che non è la mancanza di tempo che ci fa perdere le persone che amiamo, allontanandoci da loro, ma la mancanza di coraggio, quella che ci serve per inviare un messaggio, comporre un numero di telefono o, ancora meglio, per correre incontro a quella che potrebbe essere la propria felicità.

Un giorno è composto da ventiquattro ore, ed io non lascio scorrere neanche un secondo in cui non penso al mio ex professore. E' trascorso quasi un mese dalle nozze di mia sorella Jane, da allora le nostre vite hanno preso due strade completamente diverse; non ho più sue notizie, ogni tanto Harry lo nomina ma non parla mai della vita che conduce in Virginia.

Ho sperato che Jarod potesse essere diverso e che mi amasse davvero e con sincera premura, come sosteneva, tuttavia, il suo lungo silenzio mi ha riportata alla realtà dei fatti e, se mi avesse amata, come diceva, sarebbe corso da me e avrebbe rimediato al suo errore.

La mia vita però non ha smesso di proseguire, sto dedicando anima e corpo allo studio ed ho deciso di raccontare ai miei genitori la verità, ovvero che non ho mai frequentato medicina. E' giunto il momento che mi prenda le mie responsabilità, di crescere e di trovare la mia strada, ragion per cui oltre a dire la verità ai miei genitori, ho deciso di accettare lo stage all'interno della polizia federale di Los Angels.

In fondo non siamo tutti uguali, c'è chi è in grado di amare, chi no. Jarod non sa amare, forse non sa neanche stare al mondo, poiché le emozioni lo spaventano e, per sua sfortuna, sono proprio esse a far gravitare la nostra esistenza.

Adesso, tuttavia, anch'io temo di innamorarmi di nuovo, di farmi ancora male. Sono divenuta un po' come colui che mi distrutta, capita un po' a tutti di diventare come la persona che ci ha feriti, quella di cui tuttavia, ci fidavamo ciecamente, è come se quando va via, la sua assenza la respirassimo fino a mischiarla con una parte di noi stessi, la più intima. Io mi sento come lui; fredda, diffidente, impaurita e piena di dubbi.

«Malia!»

All'udire la voce del mio migliore amico sobbalzo, tornando alla realtà, dalla quale, ogni tanto mi piace sfuggire.

«Dimmi» Rispondo accennando un sorriso storto.

«Sembri assente, in un mondo tutto tuo» Mi fa notare con aria preoccupata mentre apparecchia la tavola per la cena, alla quale parteciperanno i miei genitori, mia sorella e suo marito.

«Sono solo ansiosa» Replico scrollando le spalle.

«Quindi non pensavi a lui?» Domanda scrutandomi sottecchi, riuscendo a mettermi palesemente a disagio.

«Jeamy, è trascorso un mese. Non voglio più parlare di lui» Lo ammonisco adirata, sbattendo con furia le posate che stavo poggiando sulla tavola.

«Ti fa male non parlarne! E ti fa male negare che ti manca» Ribatte non curandosi della mia rabbia alquanto evidente e funesta.

«Jarod è solo uno dei tanti che è entrato nella mia vita soltanto per ferirmi e andarsene» Puntualizzo con un tono di voce freddo e sprezzante.

«Voglio solo dimenticarlo e andare avanti»

Ora il mio tono è divenuto supplichevole, e Jeamy saggiamente annuisce, continuando ad apparecchiare la tavola in perfetto silenzio.

Tuttavia, la partenza di Jarod è servita a mettere a tacere i messaggi minacciosi da parte del mio ex, ovviamente, non sono sicura che il silenzio di Fred sia definitivo, però non voglio crogiolarmi sulle mie paure, voglio tornare a vivere, sono stanca di sopravvivere.

J&M- Insegnami ad amareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora