# - Il tempo per dormire (2/3)

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"Sai, Caterina?" riprese il Dio, la voce bassa come se stesse per fare una proposta indecente, "Ho un rimedio molto efficace per combattere il caldo. Posso aiutarti?"

Caterina scosse di nuovo il capo, rimase immobile a qualche passo da lui, senza concedergli nulla.

"Quello che hai in mente ho l'impressione mi scalderebbe ancora di più."

Lo sciacallo digrignò un poco le fauci. Non rabbioso. Stuzzicato, piuttosto.

"Gattina, calmati. Se vorrai, sarò ben felice di accontentarti anche in quel senso. Ma intendevo un rimedio vero."

Caterina aprì la bocca per replicare a tono, ma non ne ebbe il tempo: Anubi aveva estratto qualcosa da una tasca nella tunica che teneva arrotolata sugli addominali, mal indossata giusto per nascondere dalla vita in giù. Quel qualcosa si rivelò essere una boccetta di vetro blu, con un tappino in sughero. Il Dio se la rigirò tra le mani artigliate e gliela mostrò.

"Come ho detto, un rimedio."

"Scommetto che è droga."

"È una pomata. Che brutta immagine che ti sei fatta di me. E io che ti ho anche anticipato la leggerezza dell'anima, una cosa che non si dovrebbe mai fare" a quel punto, finalmente, si staccò dal muro e si sporse verso di lei, come a parlare all'orecchio, "siete sempre così ingrati, voi atei?"

Caterina indietreggiò di un passo, atterrita. Anubi non la stava minacciando: aveva lo stesso tono giocoso di poco prima. Ma era alto in suo confronto, massiccio e scuro: averlo così vicino era come venire coperti dalla notte stessa, la luce spariva in sua presenza. I suoi denti aguzzi ancora erano un problema, non era facile ritrovarseli vicino e far finta di nulla.

Ma Cate conosceva un solo modo di allentare la tensione e l'imbarazzo, ed era continuando col sarcasmo. Anche a costo di provocare ulteriori tensione e imbarazzo.

"Scommetto che è vaselina."

Anubi, come suo solito, stette al gioco: sghignazzò e aprì la boccetta con fare truffaldino. Subito dopo, gliela avvicinò al volto e le fece annusare il contenuto. Subito, Caterina dovette allontanarsi, con le lacrime agli occhi: era forte, qualsiasi cosa fosse.

"Se vuoi usarla come lubrificante, non ho niente in contrario. Ma dubito ti divertiresti, è parecchio mentolata."

Caterina arretrò col capo, strofinandosi il naso irritato. Stava per starnutire. Non aveva mai sentito nulla di così intenso.

"Ma che è?"

"Ingredienti segreti, spiacente. Dovrai morire prima che te li riveli."

Caterina disapprovò e allo stesso tempo apprezzò il suo humor nero. Invece che rilanciare, però, decise di porre una domanda vera.

"Non ti dà fastidio? Devi avere un bell'olfatto, suppongo. Sull'udito ho già avuto conferma alla conferenza."

Anubi ridacchiò in un modo che lo fece suonare come una specie di iena. A dire il vero, era difficile identificare la sua natura, e non solo perché fosse antropomorfo: anche quel che di animale aveva non corrispondeva a un solo canide. Pareva una specie di cane dobermann dal pelo raso, ma le orecchie erano più grandi, da sciacallo, e il muso era quello di un lupo.

"Ci sono abituato" spiegò, iniziando a versarsi un po' di unguento sulle mani, "viene dalle imbalsamazioni, sai, per coprire l'odore di morte. Non fare quella faccia, non l'ho mica spremuto da una mummia. Ho solo scoperto che fa bene anche ai vivi."

Richiuse la boccetta e la rintascò. Infine, si strofinò le mani grandi e scure e le aprì in direzione della ragazza, chiaramente offrendole di massaggiarla.

Caterina storse il naso, indecisa. Si guardò indietro, quasi sperando di veder qualcuno arrivare, magari Persefone che la veniva a salvare. Da cosa, poi? Non è che l'idea di cedere alle avances le facesse così schifo...

Tornò a guardare davanti a sé e il Dio, che lei non considerava tale, era ancora nella stessa posizione, attendendola. Sorridente, accomodante. Caterina decise di cedere.

Si avvicinò ed eliminò l'ultimo passo che li separava. Anubi sorrise. O meglio, tirò le guance, sembrò soddisfatto e per nulla stupito che la ragazza si fosse lasciata andare.

Da lì in poi, emerse chiaro il suo modo di essere seducente intenzionalmente. Lui tendeva ad esserlo per predisposizione propria, a mettere un'eleganza naturale nei movimenti e negli sguardi, così da alludere quasi sempre a qualcosa di erotico. Ma quando ci si metteva sul serio, oh, sapeva essere molto chiaro sulle sue intenzioni. Infatti, dal momento in cui la toccò con la punta delle dita, percorrendole il collo in una carezza tanto leggera da scivolare come seta, Caterina capì di essere spacciata.

Chiuse gli occhi, lasciandosi andare, consapevole di non aver poi lottato molto. Non andava bene. Non andava affatto bene.

Anubi le massaggiò il collo teso e poi, facendosi un po' più pesante nel tocco, ma mai troppo rapido o impaziente, scese dietro le spalle, infilandosi di qualche centimetro di troppo nello scollo della maglietta. Le sue mani lisce le scorrevano addosso come la carezza di un tessuto e, intanto, l'unguento gelido le rinfrescava la pelle a tal punto da diventare come ghiaccio.

Non ebbe il coraggio di aprire gli occhi, ben conscia che ad attenderla ci sarebbe stato lo sguardo languido e compiaciuto di lui. Un Dio che si diverte della facilità con cui si manipolano i mortali.

Le sue mani, i cui artigli le solleticavano la pelle, iniziarono ad andare più a fondo oltre lo scollo della maglietta. Le sue braccia muscolose la tirarono più verso di sé. Il freddo dell'unguento iniziò a contrastare troppo con l'imbarazzo incandescente.

Caterina espirò, sentendosi persa, come non fosse veramente in sé. Si chiese se Anubi avesse qualche potere di cui non era a conoscenza, solo per non ammettere che si stava facendo sedurre senza opporre il minimo ostacolo.

Deglutì. Si fece coraggio a riaprire gli occhi, e allora si ritrovò davanti il suo petto, del tutto nero. Da lì, poteva contare i minuscoli peli del vello raso, accarezzati da sfumature lucenti. E, proprio in centro, di fronte al viso, l'ansa dell'ankh d'oro tatuato sul torace. O, per meglio dire, impresso. Anche i peli erano di colore differente, sembrava parte di lui.

Caterina si perse a guardare il simbolo, che gli incorniciava lo sterno, all'altezza del cuore. Si chiese, curiosa, se in realtà un cuore ci fosse lì sotto. Se battesse davvero, se pompasse sangue e se... beh, se potesse fermarsi, prima o poi. Come il suo.

"Non dovresti pensare a queste cose" d'improvviso, lasua voce profonda, come se le avesse letto nella mente, "hai ancora moltibattiti, Caterina."


Come la Luna e le StelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora