analisi

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Ora, per tagliarmi come ho già detto, uso la lametta del temperino.

I primi tagli erano molto superficiali.

Avevo scelto un'area sulla parte alta dell'avambraccio, sia perché mi piaceva di più farli li, sia per era più difficile da vedere a lavoro, perché l'uniforme che uso copre quella parte li.
Poi in generale vado in giro sempre coperto, ed è difficile che si noti.

Ho subito cominciato ad andare più a fondo.
Facevo il primo taglio, faceva male ma non usciva del sangue, così facevo il secondo più profondo. Anche se con quella lametta così piccola c'era un limite che non potevo superare.

Ma andava bene così, vedevo il sangue, s ho capito che quella era una delle cose che mi piacevano del tagliarmi.

Mi piaceva vedere il sangue che usciva, mi piaceva leccarmi la ferita per assaporarne il sapore.

Mi piaceva il dolore provocato dalla lama che incideva la pelle, che non era tanto, neanche poco ma sopportabile. Non so bene come descriverlo.

Avevo trovato poi soddisfazione nel guardare il braccio e ammirare l'opera da me compiuta. Era un marchio, il segno del mio dolore, un segno che avrei sempre portato con me nascosto sotto le maniche.

Credo siano queste le cose che mi spingono sempre a farlo.

E perché funziona? Credo sia solo una distruzione, non allevia davvero il dolore sentimentale, ma proietta la mente verso altre sensazioni.

Non è come mangiare o guardare un film, sono sensazioni nuove, particolari, che coinvolgono tutti i sensi e ti svuotano la mente.

Dopo essermi tagliato osservavo il sangue che piano piano usciva, non davo più peso ai pensieri negativi e ai ricordi.

Mi addormentavo pensando a quando il giorno dopo la ferita si sarebbe rimarginata lasciando un segno ben visibile sul braccio.

Psicologia del dolore autoinflittoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora