Thiago

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Daniel si guardò attorno. La stanza era posseduta dal regno dell'assordante silenzio del sonno e della notte. Prese in mano il suo smartphone e il display urtò fortemente la sua debole vista abituata al buio e alle tenui luci provenienti dai lampioni circostanti le strade che affiancavano la sua casa. Tenne gli occhi quasi completamente serrati per una ventina di secondi, poi riuscì a rendere l'immagine davanti a sé più nitida. Il suo iPhone annunciava freddamente le tre e tre quarti del mattino. Ora le tre e quarantasei, ora quarantasette, ora quarantotto. Rimase a fissare il dispositivo fino alle tre e cinquanta. Era completamente sudato, le coperte sembrava avessero ospitato un'anguilla scivolosa, anziché un ragazzo di diciotto anni. La mattina avrebbe dovuto affrontare una verifica di matematica, lo studio di funzioni fu il motivo che lo portò a recarsi a dormire rinunciando alla possibilità di prendere almeno una lieve sufficienza. Si passò una mano fra i capelli. La estrasse. Era umida, era come se avesse fatto una doccia e si fosse recato a letto saltando la parte dove si sarebbe dovuto asciugare. Osservò sé stesso allo specchio, di fronte al suo letto. Per essere ottobre la temperatura non era così bassa. Si alzò e si diresse verso il bagno. Accese la luce e la prima cosa che notò fu che una piccola mosca tentava di raggiungere nella piena illusione quel bellissimo bagliore che era la lampada a led sovrastante lo specchio, posto a sua volta al di sopra del lavandino. Aprì il rubinetto e si sciacquò la faccia, cercando di rinfrescarsi, ma anche di eliminare quella strana, stranissima esperienza notturna. Fu in un secondo momento, quando posò l'asciugamano nell'apposito braccio metallico affisso alla parete piastrellata color indaco, che notò una peculiarità abbastanza rilevante. Uno dei due occhi, quello destro, aveva mutato colore. Generalmente, Daniel aveva gli occhi associabili a livello cromatico al muschio, erano di un verde leggermente scuro. Quella notte, però, l'occhio destro si era colorato di un marrone color nocciola. Continuò ad osservare l'incredibile anomalia e già temette il peggio. Sarà stata una malattia? Un sintomo pericoloso? Avrebbe contratto la cecità? Giusto il tempo per terminare quelle ipotesi allarmanti, e l'occhio tornò al suo colore naturale: verde muschio. Cos'era successo? Com'era possibile un evento del genere? Intanto la mosca terminò il suo crudele viaggio verso la luce, forse cosciente del fatto che non sarebbe stato possibile raggiungere quello stato di nirvana luminoso che l'insetto tanto agognava. Atterrò sul lavandino, succhiando i residui di dentifricio depositati sul suo bordo e risalenti a qualche ora prima. Daniel scosse la testa, osservando come quell'insignificante creaturina andasse ghiotta dello xilitolo e della menta, ripensando nel mentre al sogno che aveva fatto prima di potersi svegliare in una pozza infinita e fredda di sudore. Decise di rimediare a quella strana esperienza con una buona doccia calda. Entrò all'interno della cabina e chiuse gli occhi, mentre un iniziale getto ghiacciato esordì il concerto monotono d'acqua che avrebbe accompagnato Daniel per tutto il rito di pulizia. Una carezza di calore avvolse il suo corpo nudo e debole, era molto stanco. Mentre si passava la spugna impregnata di sapone, ripensò ancora al sogno che aveva fatto.

Era in un luogo caldo, insolito, nuovo. Era circondato di persone mai incontrate prima, dalla insolita colorazione mulatta, il che era una vera particolarità, dato che, secondo molti, sarebbe impossibile sognare un volto mai visto, eppure Daniel lo aveva fatto, ed erano tanti volti sconosciuti. Molti avevano fretta, altri necessitavano di aiuto, altri ancora erano tranquilli... e lui era completamente spaesato. Aveva cercato per qualche minuto di comprendere la dinamica e di orientarsi, ma tutti fu vano. Iniziò a piangere, era spaventato, sembrava un bambino, sì, quello non era un comportamento che potesse essere addetto ad un ragazzo della sua età. Ma poi eccola, l'aria calda. Quel senso di sicurezza. Una persona, un donna? No, era un uomo? No, nemmeno, era un bambino, anch'esso dalla carnagione più scura del ragazzo. Gli chiese cosa fosse andato storto per farlo piangere così tanto. Daniel gli raccontò i fatti e il bambino gli sorrise, con il sorriso più bello e forte che il ragazzo avesse mai potuto vedere in vita sua. E il sorriso era anche introdotto dai suoi occhi color nocciola, dai suoi dentini perfetti, bianchi come le nubi sopra le loro due teste, dal suo piccolo nasino che trasmetteva tanta tenerezza e dai suoi capelli ricci, spensierati, liberi, colorati di un castano brillante.
"Qui va tutto bene, Daniel. Qui sei a casa", esordì il pargoletto. Sarà stato alto circa un un metro e venti, dall'aspetto sembrava avesse tra gli otto ed i nove anni. Vestiva una canotta gialla malandata, colma di strappi, buchi, sarà stato così anche il suo povero e fragile animo? No, anche perché continuava a sorridere, a uccidere ogni cosa brutta presente su questo mondo. Infatti, come detto precedentemente, fu la cosa più bella che Daniel avesse mai visto. I pantaloncini erano rossi, all'apparenza più recentemente acquistati, ed indossava delle scarpe da ginnastica ricoperte da un velo di patina polverosa. La terra sulla quale Daniel ed il bimbo poggiavano i piedi era farinosa, ma compatta, un misto tra la sabbia ed il fango. Daniel, guardando quegli occhietti, si sentii davvero a casa. Ma quella era non solo una dimora, era un ritorno. Fu come se Daniel avesse vissuto in Italia, lontano da quella meta sconosciuta - e per l'aspetto assolutamente non riconducibile ad una località italiana - per un motivo che ancora non sapeva. Il sogno si concluse con quella immagine di unione fra lui ed il bambino, mano nella mano, camminando nell'infinito possibile, emanando speranza.

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