Lettera a me stesso, 21 dicembre 2006.

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ciao, diego.
mi presento: sono te, ma più grande.
come stai?
mi auguro vada tutto bene, anche se a dire il vero so perfettamente che sarà così.
vorrei poterti spiegare perché io sia qui, ma non capiresti, o meglio, non ancora.
e francamente va bene comunque.
sei molto grazioso, non ti ricordavo più bene, a quanto pare.
è che in realtà, quando avevo la tua età, non mi consideravo né bello, né brutto.
non era molto importante, allora.
siamo nella vecchia casa...
me la ricordo abbastanza bene, credo.
ti dirò una cosa che ti sorprenderà di certo:
ci trasferiremo.
sempre a borgaro, sempre in questa città, ma la casa nuova è bella, credimi.
c'è un calendario, appeso nella parete vicino alla finestra della cucina.
21 dicembre 2006.
ecco perché percepisco un po' di freddo.
questa casa ha sempre gestito
male le temperature.
in estate fronti imperlate e in inverno denti a nacchere.
o forse sono io, abituato ormai a temperature più calde.
farà tanto caldo, diego.
e la colpa è di chi è nato molto prima di te.
ha inquinato tanto non rendendosene conto o, più evidente, non importandosene.
tra poco è natale!
sei felice?
ti piace tanto il natale.
specie in questi tuoi primi anni di vita.
ci sono la zia, gli amici dei nonni, i nonni felici, mamma e papà.
e ci sei tu, il "piccolo miracolo di natale".
sei una peste, diego, ma alla fine so che sei un pargolo di sereno e nobile animo.
certo che 'bertina la maltratti ogni tanto, sei scortese, ci bisticci e non è molto carino da parte tua.
dovresti riflettere ogni tanto sulle tue azioni.
ma del resto, ripeto, so che sei un bambino bravo.
sai, a volte ti penso, anzi... spesso.
mi manchi, diego.
mi manchi tanto.
mi manca la tua casa vecchia.
sì, ho detto che la nuova è una bomba, okay, ma mi manca questa perché la mia infanzia l'ho trascorsa qui.
c'è ancora il divano vecchio.
che schifo, quel divano con quel rivestimento rosso mattone, non so che problemi abbiano avuto i miei quando hanno deciso di prenderla.
c'è ancora la poltrona bianca.
con ricordo che fine abbia fatto, tu lo sai?
c'è anche quel televisore enorme della telefunken.
davanti all'ingresso c'è l'alberello.
quelle luci ti fanno luccicare gli occhi ogni volta che le vedi.
e le palline.
ci sono tutte quante!
sai, col passare del tempo ne abbiamo perse o rotte parecchie.
però goditelo, ora che è molto bello e luminoso.
sembri felice di stare con me.
anche i miei occhi s'illuminano guardando quell'albero.
ci sono tanti pacchi lì sotto, molti indirizzati a te!
sono anche abbastanza grandi, chissà cosa conterranno...
lo scoprirai fra qualche giorno, gustandoti un po' di vol-au-vent, dei toast al salmone e gli agnolotti fatti dalla nonna, che avanzerai di certo, dato che hai gli occhi più grandi dello stomaco.
mi ricordo che durante questo periodo arrivavano dei cesti pieni di cose buone da mangiare, che papà riceveva a lavoro.
è arrivato anche quest'anno?
ho tante domande da farti, e ho paura di stancarti.
mi sto accorgendo che mamma e papà non sono in casa.
è buio fuori, ma che ore sono?
ho tirato fuori il telefono dalla tasca per saperlo, ne sei rimasto affascinato.
non voglio lasciarti abbindolare da quell'apparecchio.
tu che hai un'infanzia ancora genuina e priva di influenze tecnologiche, devi godertela al massimo.
mi ricordo che non hai giocato mai ai videogiochi.
li detesti, come anche le carte di yugi-oh, quelle dei pokemon o di dragonball, che vanno tanto di moda fra i tuoi amichetti.
sei un bambino particolare, diego.
ho sempre pensato di esserlo.
non mi ricordo cos'abbia letto sul display del mio iphone.
perdonami, devo guardare di nuovo.
ah sì, si chiama iphone questo coso, comunque.
tra qualche anno diventeranno famosi.
le tre e ventidue del mattino.
ora capisco, mamma e papà non ci sono perché staranno dormendo profondamente.
è tardi diego... solitamente non te ne stai in giro per casa a quest'ora.
se capita di svegliarti vai dai tuoi e chiedi di dormire insieme a loro, ma non scorrazzi per la casa.
non è da te.
per caso mi aspettavi?
sapevi che sarei venuto?
scusa se mi preoccupo, è che solitamente rimani a letto, imbambolato, con l'abat-jour accesa perché hai paura del buio.
poi prendi un po' di coraggio, spegni la luce, affronti le orribili tenebre della tua cameretta e vai verso quella di mamma e papà.
vedo che c'è il calendario dell'avvento con i cioccolatini, sempre in cucina in questo periodo.
ci sono ancora i mobili vecchi in cucina, anch'essi a dir poco orrendi.
non me li ricordavo.
stai prendendo una sedia, perché?
oh, il calendario, tutto chiaro.
beh, sono le tre del mattino, immagino sia giusto aprire la casellina di carta col 21 scritto sopra.
non prendere la sedia, ci penso io.
un cioccolatino alla fragola.
ecco, tieni!
diego, vorrei chiederti una cosa....
posso vedere la tua vecchia camera?
mi manca un po'.
aspetta, prima di andare spengo le luci del salotto e della cucina.
non ricordavo quanto fosse stretto l'ingresso, ormai mi sono abituato da un po' ai più ampi spazi della nuova casa.
abbiamo conservato qualche mobile nella nuova casa, insieme ad altri che abbiamo cambiato quand'eravamo ancora qui.
ci sono ancora le lettere componenti il mio nome sulla porta.
dai, aprila.
incredibile...
è tutto così diverso da com'è la mia attuale stanza.
santo cielo, è tutto così diverso ora.
c'è tutto il vecchio arredamento.
erano mobili della vecchia stanza di mamma, che ha deciso di riciclare qui.
sono mobili molto buoni, quando li facevano ancora in legno massello.
ci sono il vecchio letto, gli scaffali, il mobiletto che faceva anche da comodino, la scrivania, l'armadio, il mobile vicino alla porta con tutti i giocattoli...
sul letto c'è il pupazzo di winnie the pooh.
è grande quanto te, mi fa ridere questa cosa.
ho una foto, nella nuova casa, di te con winnie sul vecchio divano rosso.
c'è la lavagnetta che ti hanno regalato due anni fa i tuoi nonni paterni.
ricordo che ci scrivevo molte cose alla tua età.
nel mobile dei giocattoli c'è tutto.
ci sono le macchinine, che ricordi.
so che ti piace tanto creare dei traffici per tutta la casa.
quante volte ho fatto arrabbiare mamma e papà.
ci sono i puzzle, quello di biancaneve.
i geomag.
i lego.
il puzzle-planisfero per imparare la geografia.
dei piccoli gadget delle olimpiadi invernali di torino, tenutesi il febbraio scorso.
ritraggono aster, neve e gliz, le mascotte di quell'evento.
mi sale la nostalgia.
il vecchio telefono a conchiglia che papà non usa più e che fingi sia tuo.
i camion ed il trattore della bruder.
ci sono tanti altri giochi, ma la mia attenzione è principalmente su quelli che ho appena citato.
ti chiederei di giocare un po', ma vedo che hai abbastanza sonno.
questo sulla scrivania è il tuo primo computer, che non ho quasi mai usato.
un preistorico computer con monitor a tubo catodico della fujitu-siemens computers.
quanto era ingombrante...
c'è anche il computer di papà, un acer del 2004.
so che ogni tanto ti fa divertire facendoti vedere i primi video caricati su un posto molto strano, bianco grigio e rosso: youtube.
sarò sincero, era bello quando internet non mi aveva ancora dominato così tanto.
ora siamo tutti più dipendenti, molto di più.
lo sai che quando avrai la mia età girerai con un computer in tasca?
certo, non sarà come quel fujitsu-siemens.
sarà come una piccola piastrella.
e lo avranno tutti quanti, oltre a te.
ti creerai un posto tutto tuo lì sopra, dove parlerai con tante persone.
stringerai anche delle amicizie.
pensi sia bello, lo so.
pensi sia davvero fico.
ma in realtà non lo è.
mi ha distrutto quella maledetta piastrella, e non so per quanto continuerà a farlo.
vorrei tanto restare con te, mamma e papà, ma non posso, sarebbe innaturale.
capirai tante cose, diego.
ora no, ora sicuramente no, ma più avanti comprenderai perché la notte del 21 dicembre 2006 io sia arrivato alle tre del mattino a scrivere e a parlare con te.
capirai cosa sarà il vero dolore, il rimpianto, la consapevolezza di tante cose.
ma ora ti prego, sorridimi.
sei davvero bello quando sorridi, te lo dicono spesso in famiglia...
e lo pensano davvero.
anche io.
quella scrivania ha ospitato anche il primo compito commissionatoti dalla maestra nadia, terminata la prima settimana del primo anno scolastico delle elementari.
erano due riquadri ritraenti un pesce ed un alberello, dovevi colorarli e consegnarli.
mamma e papà erano felici.
è successo qualche mese fa.
neanche quattro mesi fa non sapevi nemmeno leggere e scrivere, mentre ora riesci a farlo.
ci hai messo poco tempo, sei un bambino in gamba.
qualcuno nella tua classe ha ancora un po' di lacune, ma tu no.
ricordo il tuo primo giorno di scuola.
tutti i tuoi coetanei erano terrorizzati.
forse anche tu, ma dimostravi anche molta tranquillità.
mamma e papà pronti a martoriarti di fotografie, mentre per te l'inizio del declino della libertà creativa prendeva vita.
11 settembre 2006.
a scuola la maestra ti ha ripreso tante volte, lo so.
non mentirmi, so che cosa facevo tredici anni fa.
hai preso già qualche nota.
la mamma ti ha spaventato ogni tanto, quando ti ha sgridato proprio per quelle odiose note disciplinari, vero?
lo fa ancora adesso, ovviamente di meno, ma continua a farlo.
ricordi quanto ha urlato eduard, il tuo compagno di classe il primo giorno?
tu e tutti gli altri siete rimasti inermi ad osservare quel bambino strillante portato in classe forzatamente dai suoi genitori.
poi si è calmato.
tutti si calmano, una volta che il peggio è passato.
ogni tanto vai dai nonni a mangiare per pranzo, quando si esce all'una o alle due.
il nonno guarda la tv, mentre la nonna ti esorta ogni volta a finire quel che hai nel piatto, perché finisci per rimanere imbambolato davanti all'enorme philips che hanno.
vedo che stai iniziando un po' a barcollare.
hai tanto sonno, è meglio che tu vada a dormire.
ti accompagno a lavarti i denti, so che vuoi sempre che ci sia o la mamma o il papà con te.
ti prometto che prima o poi inizierai a smetterla di avere paura delle tenebre.
ci vorrà del tempo, ma credimi, ce la farai.
andiamo in bagno.
non mi ricordavo neanche più bene di lui.
è molto strano, perché non è molto tempo che ho lasciato questa casa.
prendi lo sgabello.
mi ricordo del fatto che non riuscissi ad arrivare al lavandino a sei anni.
prima o poi anche questo disagio svanirà, non ti preoccupare.
lavateli bene, mi raccomando.
che strano che è questo lavandino.
non ho mai capito il motivo per cui sia azzurro, con l'arredamento del bagno non c'entra proprio nulla.
questa casa è come un costume di arlecchino, non c'è regolarità.
forse è per questo che qui tu ti sia trovato bene sin da subito.
perché i colori ed i loro molteplici accostamenti ti stimolano molto.
hai finito con quello spazzolino?
bene, sciacqualo allora.
asciugati le mani ed il viso, io metto a posto lo sgabello.
nell'ingresso che collega il bagno alla tua camera da letto e a quella dei tuoi genitori c'è l'appendiabiti.
c'è un tuo cappottino.
non ricordavo nemmeno di averlo.
una cosa che non ricordo mai della mia infanzia sono i vestiti che ho indossato.
mi sfuggono di mente perché sono sempre stati qualcosa che tendevo a trascurare.
mettiti il pigiama.
ricordo che ce n'era uno che ti aveva fatto venire le bolle alle ginocchia.
ancora adesso non capisco il perché.
mettiti sotto le coperte.
questo piumone con gli orsetti l'ho ancora avuto fino a pochi anni fa.
era infantile, me ne rendo conto, ma scaldava molto.
e a quanto vedo, osservando come stai sorridendo, suppongo stia facendo bene il suo lavoro, quel piumone.
prima che tu possa addormentarti, posso chiederti una cosa?
ti prego di ascoltarmi.
vorrei solo dirti di divertirti.
divertiti.
fai bene le cose che ti vengono chieste di fare, impegnati, cerca di fare il bravo bambino, ma ti prego... cerca di divertirti.
sfrutta questo tempo al massimo e sii sereno, gioca con i tuoi amici, crea, disegna, scrivi se ogni tanto vorrai farlo.
perché fidati, ne avrai voglia, tanta.
stai tanto con la tua famiglia, abbraccia spesso tutti.
fallo prima che questa rosa giovane e freschissima possa iniziare ad appassire.
fallo per te, ma soprattutto...
fallo per me.
ti voglio tanto bene, diego.
te ne voglio davvero tanto.
ormai sei partito per il tuo viaggio morfeico.
spengo l'abat-jour che non spegneresti mai da solo, ma ora stai dormendo, quindi ti lascerò concentrare meglio sulle tue avventure nel regno dei sogni dalle possibilità infinite.
non ricorderai nulla quando ti sveglierai.
non apparirà mai nella tua giovanissima mente la mia immagine, o meglio, quella di un te quasi ventenne.
ed è meglio così, sarebbe anormale e non sano il contrario.
ti do un bacio sulla testa.
esco dalla stanza.
chiudo la porta.
è tutto buio, ma con un poco di forza le lucine dell'albero davanti alla porta principale mi accompagnano fino a loro, singhiozzando del rosso, del verde, del giallo e del blu in perpetua sequenza.
sorrido, sfiorando la punta dell'albero, toccando palline e ghirlande che oggi non ho più, perché si sono rovinate col tempo, si sono rotte o sono andate perse per chissà quale ignota causa.
stacco la spina delle lucine dalla presa.
non ricordo più per quanto tempo i miei siano andati avanti col discorso del "potrebbe essere pericoloso lasciarle accese".
beh, ho imparato.
guardatemi, mamma e papà, l'ho fatto, ho spento le lucine evitando una tragedia domestica.
giusto, non potete vedermi, state dormendo.
sospiro.
fuori ci sarà il grado sotto lo zero.
ho solo una felpa, non posso uscire così.
prendo un cappotto di mio padre.
domattina, cioè tra qualche ora, sarà un po' confuso per la sua temporanea scomparsa, ma capirà.
probabilmente saprà che sono stato io.
lo ritroverà sul mio letto, mentre sarò ancora immerso nei miei sereni ed infantili sogni.
mi assicuro che tutto sia spento.
è tutto spento, perfetto.
digito su quel maledetto antifurto il pin per disattivare il suo stato di allarme.
lo odiavo e l'ho sempre odiato quel coso.
quando ero piccolo mi terrorizzava da quanto baccano fosse in grado di fare.
bastava veramente poco.
bastava dimenticarsi di averlo attivato mentre si alzava una persiana in piena notte per una boccata d'aria e la sirena iniziava a strillare all'impazzata.
bastava sbagliare il pin, tentare di reinserirlo e, in caso di secondo fallimento, ecco che anche i morti si svegliavano.
ma stavolta tutto è andato bene.
ho disattivato l'allarme, ho aperto la porta e l'ho riattivato, chiudendola.
mi ritrovo nelle scale.
marmo freddo e ringhiere nere mi circondano, mi osservano.
sento una strana sensazione, come se non fossi gradito lì.
pare che quelle scale bianche e marmoree e quelle ringhiere percepiscano la mia presenza, in quel contesto, come sbagliata.
ed hanno ragione.
ma ora le percorro, quelle scale, ed esco.
spingo il portone, e il mio viso viene pugnalato da miliardi di piccole lame ghiacciate.
tiro fuori il telefono, elemento che ha inquinato tutta quell'autenticità di tredici anni fa.
il display conferma il grado sottozero.
apro il cancello, richiudendolo alle mie spalle.
non so dove andare.
di certo non posso recarmi verso la mia nuova casa.
siamo quasi nel 2007, non posso andare lì, ci vivono ancora i precedenti proprietari.
decido di fare un giro per la cittadina.
mentre contrastano il grigiore del cielo, una miriade di piccole lucine ubicate sui balconi di tante case mi salutano ed introducono il mio passo per le vie.
non c'è nessuno in giro.
ripenso al diego che ora sta dormendo, a quanto gli piacciano le lucine non solo dell'alberello di natale, ma anche quelle a forma sferica appese su alcuni fra i balconi che vedo.
inizia a nevicare.
piccoli baci ghiacciati sfiorano il mio naso, le mie labbra, le mie gote.
non so dove andare.
l'ho già detto, ma non importa.
le strade in pochissimo tempo cominciano ad imbiancarsi, mentre i fiocchi si ispessiscono ed aumentano.
decido di ascoltare un po' di musica nel mentre.
inserisco gli auricolari e faccio avviare una canzone a caso.
"experience" di ludovico einaudi.
chiudo gli occhi.
penso al caldo e al freddo.
il caldo lo associo all'estate, periodo in cui io e la mia famiglia andavamo in montagna, immersi nel nulla più assoluto.
baciati dal sole del giorno e dalle stelle delle notti di san lorenzo.
il freddo lo riconduco ad ora, a questo preciso momento.
riapro gli occhi ed ecco: il bianco più assoluto.
sono solo, non capisco più dove io sia.
fa freddo, tanto freddo.
sembra essere giorno.
sì, il cielo si sta schiarendo.
non capisco, saranno state al massimo le cinque meno venti.
in inverno alle cinque meno venti il sole non c'è ancora.
perché c'è il sole?
perché non vedo più nulla?
temo di andare a scontrarmi con qualcosa o qualcuno.
le lucine non ci sono più.
inizio a gridare.
una voce mi risponde.
"salva il tuo futuro."
chi è?
la voce è irriconoscibile.
penso, mentre la neve divora e aggredisce il cappotto di mio padre, a chi possa appartenere quella voce.
niente da fare, non riesco a ricondurla a nessuno.
poi l'illuminazione, quelle lucine, quel cielo così bianco.
sono io.
è il diego del futuro.
sei tu.
chiudo gli occhi di nuovo.
mi abbandono a quel velo bianco.
ti prometto che cercherò di fare del mio meglio, diego.
mi dispiace per quello che ho fatto e che sto facendo ora.
spero di non causarti o di averti causato alcun disagio.
voglio tanto bene anche a te.
delle mani iniziano a trasportare il mio corpo.
diventano sempre più calde.
mi sento sempre meglio.
apro gli occhi.
sono nel mio letto, nella casa nuova, quella dove abito tutt'ora.
la stanza è rischiarata fortemente dalla luce esterna.
mi getto sul telefono per capire che ora sia, che giorno sia.
24 aprile 2020.
ennesimo giorno di quarantena.
e mi ero dimenticato di abbassare le persiane.
sono le 6 e mezzo del mattino.
cerco di far abituare i miei occhi a quella luce così forte.
guardo il cielo dalla finestra.
è nuvoloso, è perlaceo.
mi alzo sperando che ci possa essere della neve sul suolo o che stia nevicando.
giusto, è il 24 aprile.
non può nevicare a fine aprile.
vado a lavarmi i denti ed il viso.
stavolta senza sgabello.
mi manca la neve,
mi manco io.

scriverò qualcosa, per stare meglio.

- diego

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