Capitolo 1. Margaret Effect

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Sabato, ore 17.03

‘Nella vita ci sono poche ore più piacevoli dell’ora dedicata alla cerimonia del tè pomeridiano.’ Henry James era un uomo saggio, concluse George sorseggiando il suo tè. Aveva qualche dubbio sul fatto che lo scrittore avrebbe gradito consumare il venerato infuso ambrato da un bicchiere di plastica su cui era stampata la sirenetta Ariel, ma esisteva qualcosa di più piacevole al mondo che bearsi della compagnia della propria figlia? No, fu sicuro George. Non esisteva nulla.

Chissà come avrebbe commentato la piccola, pensò osservandola colorare un album di quadri di Frida Khalo. Non l’aveva vista per nove mesi, tempo che sebbene non fosse stato sufficiente per farla crescere in altezza aveva comunque contribuito a maturarle i lineamenti del viso e a correggere la sporgenza degli incisivi superiori ancora imbrigliati in un apparecchio ortodontico.

Quel pomeriggio seduta a tavola annoiata dalla prospettiva dei compiti di matematica, la bambina stava facendo ciò che preferiva, ossia oziare circondata dai suoi gatti procrastinando gli impegni scolastici. Il libro degli esercizi era stato discretamente allontanato e ora fungeva da trono per un gatto.

“Le frazioni sono difficili”, sbottò imbronciata girando il suo bicchiere di aranciata finchè non ebbe di fronte il sorriso sdentato del granchio Sebastian. “I granchi non studiano i numeri e sono allegri lo stesso.”

“Il segreto per semplificare la matematica è renderla avvincente.” George sfilò da sotto le terga del felino il libro degli esercizi e le tradusse il quesito in un linguaggio comprensibile. “Domani esci in giardino e vedi centoventi topolini che saltano sul tappeto elastico. La metà del totale ha la coda blu, due quinti ce l’ha verde e un ottavo rossa. Se papà dovesse chiederti quanti sono i topi senza coda, che cosa gli risponderesti?”

“Che non è importante visto che siamo invasi dai topi.” La bambina si toccò la medicazione bianca che le copriva parte della guancia destra. “Mi dimentico sempre.”

“Ti fa male?”

“I punti tirano un pochino.”

D’un tratto sulla faccia della figlia comparve un’espressione di sorpresa seguita da una smorfia che la lasciò a bocca aperta. La piccola si portò una mano al petto mandando nel panico il padre.

“Alex, che cosa succede? Stai male?”

“Mi è scappato un ruttino dal naso”, gli spiegò la bambina imbarazzata facendo rientrare l’allarme. “A volte succede quando bevo l’aranciata con le bollicine.” “Due settimane fa io, papà e Diego siamo andati a Chicago per vedere la mostra di Frida, la pittrice con i baffi.” “È nel negozio del museo che abbiamo comprato questo album da colorare.”

“Chi è Diego?”

“Uno dei miei babysitter.” “C’è Dallas che viene di giorno e c’è Diego che viene la sera.” “Fa il pittore.”

“L’autoritratto di Frida Khalo appeso all’ingresso lo ha dipinto lui?”

“Sì.” “Ma allora tu conosci la pittrice con i baffi, Diego credeva che fossi troppo snob per sapere chi fosse. Ha tolto il tuo quadro con la zucca per sostituirlo con il suo che è bruttissimo ma papà dice che dobbiamo fingere che ci piaccia per non ferirlo.”

George estrasse un foglio dal libro di matematica su cui era abbozzato uno striminzito albero genealogico. “Cos’è?”

“La scuola ha indetto un concorso. Chi disegnerà la genealogia familiare più originale riceverà in premio un sacchetto di marshmellow.”

“La tua creazione è misera.”

“Tanto non mi piacciono i marshmellow.”

“Io invece li adoro.”

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