33. Miami Beach

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[20.07.2020 ~ capitolo revisionato ✔]

«Che cos'hanno questi cosi?» sentii Clarisse esclamare

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«Che cos'hanno questi cosi?» sentii Clarisse esclamare.

Aprii gli occhi e mi guardai in giro, strofinandomeli. In lontananza, il sole tramontava dietro il profilo di una città. Scorsi un'autostrada costeggiata di palme che correva lungo una spiaggia, negozi con le vetrine illuminate da luci rosse e blu, un porto pieno di barche a vela e navi da crociera. «Che succede?» domandai, la voce impastata di sonno.

«Gli ippocampi si comportano in modo strano» mi rispose Annabeth «guarda»

Era vero: i nostri amici marini avevano rallentato, e nitrivano e nuotavano in cerchio, annusando l'acqua. Uno di loro starnutì. Scrollai Percy per una spalla. Lui grugnì e aprì gli occhi. «Ehi» lo salutai «che cos'hanno gli ippocampi?»

Percy si guardò in giro come avevo fatto io. Poi guardò le creature. «Non possono portarci più in là di così» spiegò «troppi essere umani. Troppo inquinamento. Dovremo raggiungere la costa a nuoto da soli»

Nessuno di noi moriva dalla voglia di farlo, ma ringraziammo Arcobaleno e i suoi amici per il passaggio. Tyson pianse un po'. Slegò la bisaccia che si era fabbricato, con dentro il suo kit di attrezzi e un paio di altre cose che aveva recuperato dal naufragio della CSS Birmingham. Abbracciò Arcobaleno, gli regalò un mango zuppo d'acqua che aveva raccolto sull'isola e lo salutò. Quando le criniere bianche degli ippocampi scomparvero nel mare, nuotammo in direzione della costa.

Con il favore delle onde nel giro di pochissimo tempo eravamo tornati nel mondo mortale. Vagabondammo lungo il molo, mescolandoci tra la folla di turisti in arrivo. I facchini correvano avanti e indietro con i carrelli pieni di bagagli. I tassisti litigavano in spagnolo per accaparrarsi i clienti senza rispettare il turno. Se qualcuno fece caso a noi (sei ragazzini bagnati fradici con l'aria di avere appena combattuto contro un mostro) nessuno lo diede a vedere. 

Ora che eravamo di nuovo fra i mortali, l'occhio di Tyson era coperto dalla Foschia. Grover si era infilato il berretto e le scarpe da tennis. Anche il Vello si era trasformato in un giubbotto del liceo nei colori rosso e oro, con una grande e scintillante lettera Omega sul taschino. Annabeth corse alla prima edicola e controllò la data sul "Miami Herald". Imprecò. «Il 18 giugno! Sono diciotto giorni che manchiamo dal Campo!»

«Impossibile!» esclamò Clarisse.

Ma io sapevo che non era affatto impossibile. Il tempo scorreva in modo diverso nel mondo dei mostri. «L'albero di Talia sarà quasi morto» gemette Grover «dobbiamo consegnare il Vello entro stasera!»

L'angoscia si impossessò di me. Mi scompigliai i capelli con una mano e cercai di non dare di matto. E se per caso fossimo arrivati troppo tardi? Mi sentii morire. Probabilmente ero sull'orlo di una crisi di nervi.

Clarisse crollò sul marciapiede. «E come?». Le tremava la voce. «Siamo a centinaia di chilometri di distanza. Senza soldi. Senza mezzi di trasporto. Proprio come ha detto l'Oracolo. È colpa tua, Jackson! Se tu non avessi interferito-»

[2] 𝙇𝙤𝙨𝙩 » Percy Jackson [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora