Sei

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"Oh, ciao, Mon."
"È Monica?" chiede la ragazza vicino a Riccardo. Lui non le risponde. Sento il rumore di alcuni passi e di una porta che si chiude.
"Non volevo disturbare," dico.
Mi poggio sulla parete e chiudo gli occhi. Perché ho chiamato? Devo averlo fatto per un motivo.
Possibile che me ne sia scordata?
"Non disturbi. Ti avevo chiamato io per primo."
Segue qualche istante di silenzio.
"Mi dispiace, Monica. Davvero. Per tutto," sospira. "So che non sei stupida. E probabilmente nemmeno il tuo strano gruppo di amici lo è."
Mi spunta un timido sorriso sulle labbra.
"E mi sento un idiota per averti sminuito così spesso, perché... Perché tu in un qualche modo mi piacevi realmente. Nonostante tutti i difetti che vedessi in te, nonostante le altre ragazze che mi andavano dietro. Mi dispiace aver deluso le tue aspettative. Vorrei essere più simile a come mi dipingevi tu."
Lo sento respirare nervosamente, come se stesse trattenendo un pianto. Ma è probabile che mi sbagli, perché Riccardo non è un ragazzo che piange. Non è un ragazzo che prova emozioni.
Io, invece, mi lascio trasportare da una malinconia soffocante. Mi siedo sul pavimento e chiudo gli occhi.
"L'altra sera ti ho visto per come sei realmente, Mon. E forse sono io che non riesco ad andare avanti."
Vorrei fosse più semplice.
Vorrei non essere innamorata dell'idea di Riccardo.
Vorrei non essere innamorata dell'idea dell'amore.
Vorrei essere più forte di come sono.
Sto per dire qualcosa, non so nemmeno io cosa, quando compare nuovamente la voce di quella ragazza.
"Alice, mi lasci parlare in pace?! Che cazzo," sbotta Riccardo.
Ha un tono di voce così duro. Così respingente.
Perché in sua compagnia ci si sente sempre di troppo? Perché ferisce così facilmente i sentimenti altrui?
Non riesco a fare a meno di immedesimarmi nella ragazza che sta con lui.
L'ha chiamata Alice.
La stessa Alice che aveva nominato Federica in manifestazione.
La stessa Alice con cui, cinque giorni fa, Riccardo mi aveva tradito.
La stessa Alice che ci aveva fatto litigare al Porto di Cagliari e al telefono; la stessa Alice che ci aveva fatto lasciare definitivamente.
Pochi istanti prima che incontrassi Giovanni, che conoscessi Martino, Luca ed Elia.
Trattengo le lacrime al pensiero che quella Alice è reale e che in questo momento è assieme a Riccardo - mente lui mi dice di provare ancora qualcosa per me.
Ma che cosa? È davvero capace di voler bene a qualcuno? Di amare qualcuno?
Mi dispiace per lui, e per lei, e per me.
"Ric," mormoro, "forse è meglio se non mi cerchi davvero più. Abbiamo finito."
Sto piangendo. È un pianto isterico, ma liberatorio.
È la fine di una relazione tossica.
Sento qualcuno percorrere velocemente le scale.
"Mon, tua cugina ha chiesto se le puoi riportare il telefono, perché le serve Pleco, un'app per vedere l'ordine dei caratteri..."
Elia si affaccia nella stanza.
Quando mi vede, si siede vicino a me.
"Scusa, ultimamente sono proprio una rottura di coglioni," rido. Ho gli occhi lucidi. "Giuro che generalmente non sono così piagnona."
"Peccato," sorride. Mi arruffa i capelli. "Racconta tutto a zio Santini."
~
'Scusami per ieri sera come ti abbracciavo
Sì lo so, non è più il caso
Ho esagerato un po'
Sorridevo ma pensavo che se il mondo fosse esploso
Non ti avrei visto più'
Io ed Elia siamo sdraiati sul letto della camera d'albergo del T Hotel. Abbiamo un'auricolare a testa e ci diamo le spalle.
È quasi un quarto d'ora che non parliamo. Abbiamo ascoltato i Grapetooth, i Blur, i Frights e i Fidlar.
"Vorrei ascoltare qualcosa che piace anche a te," mormoro.
"Mi piace quello che ascolti tu."
Mi siedo a gambe incrociate e con una mano prendo il mento di Elia. Lo costringo a girarsi.
"C'è qualcosa che non va?"
Scuote la testa e mi tira verso di sé. Metto la testa sul suo petto.
"Ti ho mentito riguardo ad una cosa," sospira. "Anzi, non ho mentito, ho solo omesso una parte del discorso."
Lo guardo diventare serio.
"Quando tu mi hai chiesto se avessi mai deciso di rimanere solo, io ti ho detto di no. Ti ho detto che preferisco stare in gruppo, che ho bisogno dei miei amici, che mi piace avere felicità intorno."
Annuisco.
"Però non è sempre stato così. Non voglio essere sempre il simpatico del gruppo -quello che fa ridere, quello che non ha nulla da dire. Per quello c'è Luchino," sorride.
Gli do un pugno sul braccio.
"So di non intendermene di cinema indipendente, di musica, di arte. E nemmeno a scuola sono una cima, lo ammetto. Però anche io posso essere sensibile, anche io posso avere pensieri profondi."
"Elia, nessuno ha mai detto il contrario," dico. Metto in pausa la musica de I Cani.
"A scuola tutti dicono il contrario. A scuola tutti i miei amici e tutte le mie amiche mi reputano un idiota."
"Sono sicura che tu ti stia sbagliando. Sei in gamba. Io l'ho capito in pochi giorni, i tuoi amici ne saranno certi da anni."
"Non è vero, Mon," sospira. "Tu non li conosci. O almeno, conosci Gio, Luchino e Marti, ma non conosci Nicco, Eva, Ele, Federicona e Silvia. Ma soprattutto non conosci Sana. Qualunque cosa io dica sembra un'idiozia appena parla Sana."
"Ti piace?"
Elia aggrotta la fronte e accenna una risata.
"Assolutamente no. Il problema non è Sana. Il problema sono io. L'idea che tutti hanno di me. È vero che a volte sono strafottente o idiota. Ma credo di essere anche più di così. O almeno lo spero, mi capisci?"
"Sei più di così."
"Forse solo con te," sospira. "Posso raccontarti una cosa?" Con una mano mi accarezza i capelli. "Alle medie il mio compagno di banco era morto in un incidente stradale. Erano i primi mesi della prima media e lui era l'unica persona con cui ero riuscito a stringere amicizia - non ero introverso, solo molto goffo... e un po' sfigato. La sua morte era stata totalmente improvvisa, ovviamente. Mi aveva spiazzato. Non ero andato a scuola per un paio di giorni e, una volta rientrato, tutti mi chiedevano come stessi. Tutti. Cosa dovevo rispondere? Era troppo grande per me. Un giorno prima quel ragazzino, Pietro, stava seduto a fianco a me e mi chiedeva gli appunti di storia, e quello dopo..."
Elia stringe le labbra e guarda il soffitto.
"Per l'intero anno mi ero comportato in modo strano: rimanevo sempre in classe, da solo, ed evitavo i miei compagni. Mamma e papà avevano capito che in quella scuola non sarei mai riuscito a riprendermi e l'anno successivo sono finito nella classe di Gio, in un altro quartiere. Da quel momento in poi mi sono forzato di essere più socievole, più simpatico, più alla mano. Ho tenuto dentro i sentimenti e ho messo in piazza il cinismo. È una corazza. Mi fa stare bene."
"È una tua scelta. Ma la debolezza può anche essere affascinante, sai?"
Elia sorride e si stropiccia gli occhi.
"Lo so. L'ho scoperto da poco."
Segue qualche attimo di silenzio. Incrocio le braccia sotto la testa e accendo una paglia.
"Perché hai deciso di raccontarmi questa cosa?"
Sta per rispondere, quando Martino, Giovanni e Luca entrano nella stanza. Tengono i cartoni di pizza in una mano e le ichnusa nell'altra.
"Ho anche un po' d'erba," dice con orgoglio Martino.
Rivolgo un timido sguardo ad Elia, ma lui va incontro a Gio.
Luca mi porge una bottiglia di birra e si siede vicino a me.
"Mi mancheranno queste giornate," dice, con un sorriso.
"Quando partite?"
"Tra quattro giorni."
"Sarà strano non avervi qui intorno."
"Sarà strano avere un solo Garau nel gruppo."
Martino mette le braccia sulle nostre spalle e ci stringe.
"Non è ancora il momento degli addii, ragazzi. Per ora cerchiamo solo di divertirci."

Elia Santini || FacileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora