Capitolo 4

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Mi è sempre stato difficile usare le parole giuste al momento giusto. Mi preoccupa pensare di poter essere frainteso, comunicare un messaggio sbagliato o persino opposto a quello che intendevo, e credimi, questo può causare più problemi tra le persone che qualche innocente pezzo di ananas sulla pizza. Oppure si potrebbe stare zitti: questa sarebbe una soluzione. Onestamente non so quale sia peggio: diventare una persona noiosa che dice cose senza senso se non per sé stessi o tacere e continuare a vivere nel proprio mondo?

Ma quando finalmente si trova la persona che sembra capirci, in ogni nostro errore grammaticale, in ogni nostra espressione, in ogni nostro pensiero, cresce in te la speranza che là fuori forse c'è davvero qualcuno che ti apprezza in "tutte le tue curve e le tue forme". Così inizi ad impegnarti, ed a lottare per farti apprezzare da chiunque, appoggiandoti su frasi come "non cambiare per gli altri" o "sii sempre te stesso", anche se il "te stesso" è accettabile solo se per gli altri è accettabile. Ma in fondo è in questo modo che funziona la vita, un via vai di pensieri e modelli da seguire, pentimenti e cambiamenti per trovare "il vero te".

«Ti ho mai detto che sei proprio noioso quando fai così? Praticamente abbiamo un giorno libero ogni decennio e tu non vuoi uscire?».

«No».

Ogni volta la stessa storia. Tutti gli anni l'università faceva "una giornata di ferie" poiché veniva allestito un evento, chiamato "The Deep Lake", dove i nuovi studenti, arrivati da ogni parte del mondo (più o meno), avevano la possibilità di raccontare la propria storia. Ovviamente tutte le lezioni erano sospese a causa dell'ampia organizzazione e visto che ci sono un numero limitato di posti (anche perché l'evento non suscitava tanto interesse...), buona parte degli studenti ne approfittava per mettersi avanti con gli studi. O in questo caso uscire e sprecare tempo. Io odio sprecare tempo.

«Ti ho già detto che ho molto da fare. Sono molto indietro con il mio programma».

«Ma il tuo programma è due argomenti avanti rispetto al normale!».

La mia risposta era decisiva. Evitai di rispondere anche se entrambi sapevamo che aveva ragione: non c'era nessun apparente motivo di restare chiusi in quella stanza in un'occasione come quella che non capitava spesso, ma d'altra parte non ero nemmeno una persona da "uscite di gruppo". Alla fine Alì si arrese, alzando gli occhi al cielo e tirando un lungo sospiro, lasciandomi dietro con un leggero senso di colpa, in quella camera silenziosa e disordinata, come sempre era stata.

Non sapevo quanti giorni fossero passati di preciso dalla quella serata. Da quando sono entrato all'università ho iniziato a perdere la concezione del tempo, forse per il costante flusso di pensieri che mi tormentavano o forse il contrario; ogni giorno si ripeteva come quello precedente e sembrava non esserci una fine a quel ciclo continuo. Spesso facevo le cose in automatico, scordandomi l'istante successivo cosa avessi fatto esattamente.

Era mattina ed ero ancora sotto le coperte. Sul pavimento si poteva trovare di tutto: cartacce, vestiti, calzini, penne e chi ne ha più ne metta. Se proprio volevo fare qualcosa e mettere a posto quella stanza, mi sarei dovuto vestire e prepararmi ma le braccia mi sembravano pesare come il piombo appena avevo la minima volontà di alzarmi dal letto. Dopo quasi due ore e mezza ero già tornato dalla mensa, dopo aver fatto colazione, ed ero pronto alla lunga giornata che mi attendeva. Tirai fuori il violino dall'armadio, perché penso che nessuno abbia la forza mentale necessaria per studiare alle nove di mattina, e dopo essermi lasciato trasportare dalla musica non mi preoccupai più dello scorrere del tempo...

Toc! Toc!

«Chi è?», chiesi incuriosito e, preso un po' alla sprovvista, posi subito lo strumento nella sua custodia, ma con delicatezza, dirigendomi poi ad aprire la porta.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 30, 2020 ⏰

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