LOKEREN PARTE IV

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Agatha insisteva con lo shaboo. Ormai se la faceva in casa.
Mescolava la sostanza base, efedrina con acetato di piombo,
paracetamolo, formaldeide, e otteneva una versione, grezza
ma efficace, del cosiddetto nazi crank. Partiva per un paio d'ore,
 poi ripiombava nel gloom più totale. A volte sentiva insetti
camminarle sulla pelle. Come era successo a me, prima
di piantarla con quella merda.

io andavo di fenciclidina, e potevo astrarmi dai suoi comedown
isterici e violentissimi anche per ore. Eravamo flippati.
Tutto a causa delle fobie da polìs; non ci fossero state avremmo
condotto una vita regolare con bambini e una casetta dignitosa,
non infilati nello scarico di spazzatura, dentro cui stavamo incastrati.
O forse no: forse eravamo condannati in partenza, e questa era
una versione, magari un poco edulcorata, dell'inferno.
Venni convocato un bel giorno. Non poteva esserci niente contro
di me però contavano sullo stato confusionale. Infatti cominciai
a traballare, eppure non collassai. Non indietreggiai di un
millimetro. Tornai a casa e feci la spola con il mio avvocato
per alcuni giorni. Alla fine non dovetti  testimoniare, ma
il breakdown, pur dissimulato, era completo.
Trovai Agatha a delirare in bagno, mentre scriveva oscenità
sulla tazza del cesso con un rossetto rosa.
Venne rapidamente ospitalizzata. Aveva perso 15 chili in tre mesi.

Ormai vivevo solo e braccato. Mi spostai vicino Marche-En-Famenne,
in una casa abbandonata da alcuni congolesi, e ristrutturabile con
un fido del governo centrale belga. Avevo ancora un sussidio minimo
di sopravvivenza, causa punti guadagnati come soggetto problematico,
 e socialmente a rischio. Sorta di invalidità psichica, o che cazzo...
Nulla di quello che avevo messo da parte potevo toccarlo: sentivo
di poter essere fottuto in qualsiasi istante, e quindi osservavo il mio
patrimonio senza allungarci un dito.
Le scatole cinesi messe in piedi da mio fratello erano talmente
complesse da avere smarrito la chiave. Poi dovevo assolutamente
mantenere un infimo livello dignitoso di vita: era il minimo
per evitare intrusioni, e interessamenti non auspicabili.

Era di nuovo maggio e da sette mesi Moss January era irreperibile.
Agatha era morta per complicazioni polmonari. Monika aveva trovato
una vecchia foto che mi ritraeva con una delle ragazze coinvolte
nello scandalo, ma era un'altra amica generica di Agatha, e la cosa
non provava nulla. Comunque, ad ogni buon conto, l'aveva portata
alla polìs insieme al suo compagno polacco.
Voleva farmela pagare, e non si lasciava mancare nulla.
Ripiombai nella clandestinità, e tornai a sentirmi osservato ovunque,
persino nella desolazione.


"Toh, chi si rivede

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"Toh, chi si rivede."
Stavo passeggiando nel Bois de Ban.
Aveva i capelli unti e gli occhi luminosi,
era coperto da un maglione a scacchi,
nonostante la temperatura insolitamente
elevata.
Portava all-stars logore, ma sempiterne.
Sorrisi.
"è un pezzo che ti cercano, mi sa che si stanno
preoccupando."
"Oh non c'è problema, ogni giorno ho una faccia diversa.
Poi c'è un banchiere che mi copre. Ricordi Phelange?"
"Come no, fai da babysitter per i suoi piccoli?"
Sorrise.
"No. Ho ancora qualche aggancio e un database che gli serve."
"Incredibile come si riesca a nascondersi in una nazione tascabile
come il Belgio."
"Quando ti esplodono bombe tutt'intorno ti dicono di appiattirti
al terreno, mica di metterti in cima a un albero."

MOSS JANUARY (Parte II della disturbante trilogia belga)Where stories live. Discover now