Prologo.

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Camminava per le strette vie del suo paesino sfregando le mani tra di loro. L’inverno era ormai alle porte e il cappotto leggero che indossava non bastava a tenerla calda. L’insegna della locanda illuminava quel vicolo donandogli un’aria meno spaventosa e due ragazze uscirono dal suo interno, chiacchierando tra di loro. Anche Sarah desiderava tanto avere un’amica con cui uscire al pomeriggio, ma sapeva che sarebbe stato impossibile a causa del suo carattere. Era sempre stata sola da piccola, non aveva imparato come comportarsi con gli altri dal momento che sua madre la teneva segregata in casa. Era la sua unica figlia ed era molto protettiva nei suoi confronti. Ora che la ragazza era cresciuta, aveva la possibilità di andare alle feste e divertirsi con gli amici, ma non riusciva ad avvicinarsi ai suoi coetanei o a farli restare per più di una settimana. Aveva sempre il terrore di sbagliare qualcosa e non le veniva nulla naturale quando era in compagnia. Un giorno si mostrava dolce e disponibile, l’altro più fredda e distaccata. Ormai aveva imparato a convivere con questo suo problema e si era rifugiata in cose che non l’avrebbero mai giudicata per quello che era. La musica, ad esempio. Quando cantava riusciva ad esprimere tutto ciò che pensava e spesso si ritrovava a scrivere quella grande quantità ti parole che le frullavano nella mente. Ma questa era solo una delle cose che Sarah faceva per stare meglio. Entrò nella locanda e chiuse la porta di vetro cercando di fare meno rumore possibile. Rivolse un sorriso a Mariah, la proprietaria, la quale non dovette neanche chiedere alla ragazza cosa desiderasse ordinare. Si voltò e preparò una cioccolata calda, aggiungendo dei pezzi solidi di cioccolato al suo interno, proprio come piaceva a Sarah. La mora, intanto, si sedette in uno degli sgabelli posti davanti al bancone e la sua attenzione fu attirata dal ragazzo che le sedeva al suo fianco. Non l’aveva mai visto prima e non aveva l’aria di quei tipici inglesini diciottenni. Girò il viso solo quando si rese conto di averlo osservato troppo e strofino la punta del suo naso arrossato per il freddo con la manica del cappotto nero, guardando di tanto in tanto il ragazzo al suo fianco.

«Grazie.» Sorrise gentilmente a Mariah quando quest’ultima le porse la tazza di cioccolata fumante. La prese con entrambe le mani provando sollievo nel sentire il calore della bevanda contro le proprie mani di ghiaccio. Dal suo canto, anche il ragazzo prese a guardarla di sottecchi, meravigliandosi di quanto fossero dolci i suoi occhi, nonostante sembrasse avere la sua età. Sembrava una bambina la notte di Natale, quando scarta i suoi regali; manteneva la tazza come se fosse qualcosa di tanto prezioso e passava la lingua sul labbro inferiore per pulirlo dal cioccolato. Si ritrovò a sorridere quando la mora si voltò verso di lui, forse sentendosi osservata, e la vide arrossire lievemente sulle gote. Distolsero entrambi lo sguardo, imbarazzati, e dopo poco Sarah finì la sua cioccolata. Estrasse delle monetine dalla tasca del cappotto e le porse alla signora dietro il bancone, rivolgendole un ultimo sorriso prima di uscire dalla locanda. Una volta all’aperto, si fermò ad osservare per un’ultima volta il ragazzo dalla vetrina tappezzata da locandine. Uno striscia libera le permetteva di guardarlo e si sentì stupida quando si rese conto di ciò che stava facendo. Ma c’era qualcosa in quei occhi blu che la spingevano a voler sapere qualcosa in più di quello strano tizio.

Hot chocolate. || Luke HemmingsWhere stories live. Discover now