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Restai ferma, quasi pietrificata, nel vedere il volto dell'uomo che in tutti questi anni avevo provato ad immaginare.
La mamma mi aveva spiegato che era un persona riservata, timida e poco disponibile, di conseguenza si era sempre rifiutato di essere fotografato.
Piú volte chiesi spiegazioni ai miei nonni materni e la loro risposta fu simile a quella di mia madre, se non ancora piú vaga.
Tutti mi dicevano che ero ancora piccola, che non avrei capito e che quando sarebbe arrivato il momento giusto sarebbero stati loro stessi, di propria iniziativa, a raccontarmi i motivi per cui mi sono ritrovata senza un padre.
Io ero convinta di essere pronta, di essere abbastanza matura per conoscere la verità, infondo il lato positivo di aver avuto un'infanzia complicata, secondo me, era proprio questo: l'aver imparato a cavarmela da sola in molte situazioni e l'essere diventata, per forza di cose, responsabile e diligente molto in fretta rispetto ai miei coetanei.
L'avevo immaginato in tutti i modi possibili, mi chiedevo se assomigliasse a me e a mio fratello, se il mio lato riflessivo e pacato l'avessi ereditato da lui o se avessimo qualche segno particolare in comune, qualcosa che alla prima vista mi avrebbe fatto pensare "quello é proprio il mio papá".
Come si é potuto capire non riservavo alcun rancore nei confronti di mio padre, senza un motivo ben preciso sapevo, o meglio mi sentivo, che dietro alla sua scomparsa c'era sicuramente una spiegazione plausibile.
Al contrario Caleb era convinto della sua posizione: diceva che io ero troppo piccola quando quell'uomo, come lo chiama lui, ci aveva abbandonati e di conseguenza non potevo ricordarmi del dolore e della sofferenza nascosta dentro agli occhi di mia madre.
Dopo anni finalmente mia madre aveva deciso di andare avanti, di voltare pagina, piena di cicatrici ma con una forza immensa dentro di sé.
Quando tutto sembrava iniziare ad andare per il verso giusto arrivó una lettera ed inaspettatamente era  proprio da parte di lui.
Implorava di vederci per parlarci e darci le spiegazioni che avevamo il diritto di sentire, diceva che eravamo troppo per lui, che non ci meritava e che se non avessimo accettato le sue scuse lo avrebbe capito e compreso.
La mia reazione fu un misto tra felicitá e stupore, al contrario, quella di mia madre e mio fratello fu  soprattutto di disappunto e sdegno.
Ora che lo avevo davanti ai miei occhi non sapevo proprio come comportarmi.
Era un uomo alto, scarno e asciutto, il volto era di un bianco cadaverico, sembrava tanto fragile ed esile, l'opposto di come lo avevo immaginato.
I lineamenti del viso, peró, erano molto eleganti, gli occhi leggermente a mandorla di un castano tendente al giallo, una bocca molto fine, forse perché nascosta in mezzo alla folta barba crespa e un cespuglio di capelli ricci castani scuri gli ricopriva la nuca.
Stava parlando, o meglio discutendo, con mia madre, che mi sembrava scioccata e allibita quasi quanto me. Appena si accorsero che li stavo fissando, o meglio letteralmente mangiando con gli occhi, interruppero la conversazione e si girarono entrambi verso di me.
Il quel momento riuscivo solo a pensare alle parole di Caleb, a quanto forse io mi stessi sbagliando, infondo quell'uomo era un estraneo per me, di lui conoscevo solamente il nome: Axel Owen.
Proprio lui, mentre io ero impegnata a farmi mille domande, si avvicinò bruscamente a me e con gli occhi lucidi e un sorriso timoroso sul viso mi prese una mano e la portò verso la sua bocca.
La baciò dolcemente e, nello stesso momento, una serie di lacrime iniziarono a rigargli le guance.
Io non dissi una parola, ma i miei occhi rossi e gonfi, pieni di emozione, dicevano tutto al posto mio.
Il silenzio si interruppe nel momento in cui lui, singhiozzando, pronunciò il mio nome.

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