Parquet

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Dove Carl riflette sull'errore commesso.

Forse non avrei dovuto accettare. Forse avrei dovuto ascoltare la mia psichiatra e continuare con quelle larghe compresse. È stato buono per 2 anni.
Gli eventi recenti mi hanno stimolato troppo il preconscio, o come lo chiama la "strizzacervelli".

Ora le mie scelte torneranno a dipendere da "qualcosa": non posso definire "qualcuno" un entità che mi appartiene e che "è" me.

Mi trovo spaccato in due, come in quei cartoni animati che guardavo da bambino: un angioletto dalla parte e un diavoletto dall'altra. Io da che parte sono? E "lui"?

"Ok allora, prendi quel coltello"
Come reagirebbe una persona normale? Come reagirebbe uno sano di mente?
Avrebbe la capacità di riflettere, senza il timore che qualcosa lo costringa e lo obblighi.

Picchia, sta picchiando. Lo sento forte. Devo obbedirgli.

Mi alzo dal divano in sala. Devo esserci rimasto molto; ho aderito con la pelle alla superficie ruvida e ho smarrito la cognizione del tempo. Sono passate 5 ore dal suo risveglio.
Ho una forte emicrania e i farmaci sono finiti. Non mi resta che soffrire.
Non posso chiamare nessuno, sono da solo. O almeno, ero.

Sto pensando troppo.
Senza rendermene conto sono arrivato agli sportelli della cucina.
Mi aveva mosso le gambe a mia insaputa. O forse lo sapevo e ho lasciato perdere.

I coltelli sono molti, dai più piccoli ai più larghi. Potrei prendere quello con la presa nera, oppure quello con la punta grigia.
O ancora, quello con la presa nera e il bordo grigio.
Oppure, potrei prendere uno a caso. Vedo i colori allo stesso modo, che differenza fa.
Prendo il quinto sulla destra, con un leggero spacco sul manico.

La lama argentea rispecchia la luce della cucina. Forse è l'ultima che vedrò.

Ho il coltello in mano. Anni fa non sarebbe mai successo
Sulle carte che mi consegnava la dottoressa Poppen, citava ovunque una certa "tripanofobia". Non ho mai chiesto informazioni a riguardo, mi sono limitato a subire.
Ora che c'è lui però, le mie fobie non valgono più.
Mi vedo riflesso. Mi sposto i ciuffi neri che ricadono sulla fronte, scoprendo così i miei occhi grigiastri e stanchi, gonfi dal peso della vita.
Noto uno strano bagliore. Lo osservo per un po'. Incominciano a tremarmi le gambe, la testa è sul punto di esplodere. Sento una forte pressione sulla nuca, un calore acuto mi avvolge il collo.
Sta arrivando, lo sento.
Il mio padrone è qui.

Ecco, come mi avevi chiesto.

Ci hai messo molto. Bisogna lavorare sulla tua velocità nei gesti.
Ma poco importa adesso: ho bisogno di un aiuto per uscire da queste mura.

Cercherò di aiutarti.

Come siamo ragionevoli Carl! Mi piaci sempre di più. Questi 2 anni ti hanno sviluppato.
Non serve che ti sforzi, sarà facile. Non te le accorgerai neanche.
Impugna il coltello e fatti un taglio...
Dove vuoi, non importa la zona.
Lascio a te la scelta.
Fai così e potremo divertirci.

Forse non avrei dovuto accettare, forse avrei dovuto ascoltare la mia psichiatra.
Le pillole sono in camera. Dista 10 metri da me.
Potrei prenderle e interrompere tutto. Tornerebbe a dormire. Io cercherei nuovi modi per divertirmi, per guidare le mie scelte.
Oppu

Silenzio. Tutto si ferma. Un ticchettio interrompe questo momento di pace.
Per terra scende un liquido denso e nero, che macchia il parquet già rovinato da tempo.
Sento delle fitte alla spalla. Il bruciore aumenta.
Lascio cadere il coltello e insieme a lui, cado anche io.
Il dolore alla nuca è passato. Mi sento il collo libero.
Ma non ho la forza di urlare.

Non provarci, Carl. Ti sentirei solo io.

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