[Canzone del capitolo: "Take me to church" - Hozier. Buona lettura🌹]
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Übel discendeva così velocemente le scale che Elizabeth faticava a stargli dietro.
Si ritrovò di fronte a una sala completamente al contrario: la musica non suonava più, la folla non gremiva. La gente era spaventata: si teneva sottobraccio, accalcata, e non fiatava.
Le iridi attente di Elizabeth guizzarono da una parte all'altra del luogo, il necessario per notare che al lato opposto delle scale dalle quali lei e Übel scendevano si era formato uno spazio semivuoto, attorno al quale si erano riuniti tutti i presenti.
Essi si tenevano a debita distanza, e sembravano seriamente terrorizzati dagli individui al centro del cerchio.
Übel si arrestò di scatto, ed Elizabeth quasi non batté la propria faccia contro la schiena larga del tedesco.
«Übel...»
La corvina si sporse in avanti, nel tentativo di capire cosa ci fosse di tanto eclatante. Scese un paio di scalini e, quando Übel cercò di fermarla, prendendola per un gomito, ella strattonò il braccio. La presa del biondo era salda: le dita le si impigliarono nella pelle come uncini. Ma Elizabeth era accigliata; aveva un presentimento terribile che le arpionava i polmoni in una maniera che le appariva troppo familiare per lasciar stare.
Discese dunque tutte le scale, producendo un ticchettìo fastidioso con le scarpe che battevano spedite e continue sul pavimento lucido. La stoffa dell'abito blu strisciò per terra, fino a quando non si ritrovò calpestata da una suola nera.
«Non avvicinarti un passo di più.»
Di nuovo, quella presa ferrea. Stavolta, però, concedeva di meno. Stavolta non concedeva niente.
Si voltò a guardarlo: i suoi occhi celesti non avrebbero perdonato altro. Ella lo fissò con le sopracciglia appena corrugate, come a chiedergli spiegazioni di una presa affatto esagerata, quantomeno ovvia.
Deglutì un nodo che le si era stanziato alla gola, perché il suo brutto presentimento le appariva temibile ora che il tedesco sembrava curarsi di qualcosa.
«Übel-»
Elizabeth si zittì immeditamente, ma non fu a causa dello sguardo da soldato del servitore dell'Ira. Piuttosto, il silenzio che aveva regnato fino ad allora - se non fosse stato per i due adepti - si ruppe. La voce che esordì proveniva dal cerchio attorno al quale si erano raggruppati tutti, ma era una voce strana. Non era unana, ma la giovane non riuscì a spiegarsi di che natura potesse essere.
Assomigliava a lame di ferro che strisciavano contro una superficie, unghie contro una vecchia lavagna, forchette sul fondo di una pentola. Non era abbastanza armonioso per essere definito "suono"; più che altro pareva rumore, un demoniaco rumore metallico che non aveva niente a che vedere con quel mondo.
La diciassettenne si congelò sul posto; il sangue nelle vene sembrava essersi solidificato. Sembrava polare.
La presa di Übel non si era sciolta di mezzo centimetro. Lui era ancora lì, a trattenerla con un piede piantato sul vestito e una mano a tenerla per il gomito in un modo così saldo da farle male.
La folla si aprì lievemente; la scena le fece tornare alla mente Mosè che spartiva le acque. Ma le acque erano esseri umani e Mosè non sarebbe potuto essere meno santo.
Una figura si mosse tra la gente. Era alta, magra, nera. Oltre ciò, era però allo sguardo indefinibile, come se fosse stato un qualcosa di troppo ultraterreno per poter essere concepito.
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Pactum
ParanormalElizabeth Maleun impiega ogni attimo della sua vita a scappare dalla voce che le aggroviglia i pensieri e si fa spazio tra di loro, malgrado non sappia bene a chi appartengono le parole tanto convincenti che ascolta da sempre. La corvina si risvegli...