tre: i poemi dei giorni che furono

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nei media - suffocate [hayd]

Io ti conosco e ti ammiro in silenzio

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Io ti conosco e ti ammiro in silenzio.

Rimbaud


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Erano passati tre mesi e quell'amore estivo persisteva ad annientarlo, a sconvolgerlo e ad annidarglisi dentro senza che Dazai potesse far niente per estirparlo. Si era trasferito a Tōkyō alla fine dell'estate, scriveva un romanzo d'amore, solo che al posto degli amanti c'erano corpi disintegrati e le parole crollavano sulla carta in uno sfacelo di labbra dischiuse. Capì che non era portato per le storie d'amore, e quel libro, una volta finito, l'avrebbe sicuramente bruciato. Eppure sentiva la necessità di capire quello che per tutta l'estate aveva solamente vissuto, ma come capire qualcosa se persino i ricordi sembravano non appartenergli, se al solo pensiero di Chuuya la sua identità si spezzava e si ricomponeva costantemente nel ricordo? Come, come amare se non sapeva neanche come essere?
«C'è qualcosa che non va?»
Oda era seduto accanto a lui nel locale vuoto. Non c'era nessuno, persino il barista era stato inglobato in uno spiraglio di tenebra dietro il bancone. Dazai immaginò di essere al Lupin, a Yokohama, ma l'odore dell'aria era troppo trasparente. Non c'era corruzione, a Tōkyō, per questo Dazai si sentiva morire. «No, tutto va come deve andare. È questo il problema».
Dazai si accasciò sul bancone. Chiuse gli occhi. Poteva cercare un significato all'amore ma questo non voleva dire che lui l'avesse mai provato. In verità, era certo di non aver provato niente, ed era questa la cosa che più lo spaventava: il fatto di essersi innamorato senza aver mai provato un briciolo di affetto. «Pensi ancora a lui?» Oda bevve un sorso, trattenendo in bocca la bevanda per qualche secondo prima di ingoiare. Come un bambino, aveva bisogno di sentire la dolcezza dell'umeshu sulla lingua, perché il sapore dello zucchero restasse il più a lungo possibile. Era un'abitudine che non perdeva mai, come quella di psicoanalizzare Dazai a tempo perso. «Penso sempre a lui... e ho la nausea.» Si erano conosciuti nel griglio traslucido di Yokohama, tra il vizio dell'alcol e la droga, in un marciume letterario che si andava sempre più disperdendosi. Dazai aveva diciassette anni, allora, e non era cambiato per niente. Beveva in continuazione, si faceva di morfina nelle giornate in cui non succedeva niente e si metteva a ridere anche quando non c'era nessun motivo per farlo. Dazai non cambiava: si rompeva, si spezzava in mille pezzi, mille schegge che andavano alla deriva, lasciandosi alle spalle il corpo vuoto di un giovane completamente assuefatto alla noia.
Se avesse troncato quel suo lento processo di autodistruzione avrebbe perso la capacità di scrivere. Oda ne era convinto. «Non volevo dirtelo, ma ho sentito che Nakahara è qui a Tōkyō.»
«Avresti fatto meglio a non dirmelo, infatti.»

Quella mattina di tre mesi fa si era svegliato con un senso di vuoto annidato in gola, mentre l'idea di essere stato nuovamente spinto fuori dal mondo umano gli riduceva il respiro. Chuuya se n'era andato. Lo aveva rigettato anche lui, e come biasimarlo? Come biasimarlo se al solo tocco delle dita lo sentiva rompersi? Lo aveva rovinato, e Dazai non poteva proprio biasimarlo per quell'improvviso abbandono, consapevole che a farlo andar via erano stati i suoi perversi giochi da manipolatore. Non aveva mai sopportato le persone che sentivano troppo, e ogni volta che ne incontrava una lo assaliva il bisogno irrefrenabile di distruggerla. L'amore era un sentimento del passato, era già vecchio, rancido e arido prima dei suoi diciassett'anni, prima della scrittura. La mancanza non avrebbe intensificato il dolore, l'avrebbe solo reso più irritabile. Era difficile accettare che una persona così fragile lo avesse rifiutato, rendeva l'abbandono quasi spiacevole, quasi faceva male sapere che effettivamente qualcuno lo avesse amato tanto da esserne rimasto turbato. E la cosa più spaventosa, che Dazai faceva fatica a concretizzare in pensiero, era la percezione sinistra che qualcosa in lui fosse cambiato per sempre. E ogni volta che pensava a Chuuya, gli veniva voglia di vomitare.

Bicchieri di whiskey e fiori selvaticiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora