liberamente ispirato a noi

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A settembre l'odore d'orchidee si era già disperso nelle menti delle persone. E anche in quella di lui sembrava assentarsi un pizzico di spensieratezza. Mentre le persone continuavano a scrivere storie nel tempo, settembre sembrava rimanere a guardare ammaliato gli ultimi fiori che resistevano. Lui scriveva poesie, poesie che venivano raccontate attraverso mille lacrime lasciate andare stancamente verso le cinque del mattino. Scriveva poesie mentre nascondeva le sue mani e il suo cuore sotto a grandi e deboli felpe. Scriveva poesie nel silenzio della notte, mentre gli tremavano le mani e i respiri gli mancavano. Avrebbe voluto andare al mare, toccare la sabbia con i suoi leggeri piedi, sfiorare l'acqua con le sue timide dita e guardare il cielo con i suoi occhi stanchi. Si sentiva abbandonato ed inerme, davanti ad un mondo morente che andava avanti senza di lui. Un grande vuoto, pieno di insicurezze e dolore, gli rubava il respiro ogniqualvolta la felicità bussava alla sua porta. 

Anche l'altro scriveva poesie, ma lui lo faceva guardando le nuvole, con lo stomaco dolorante e le scarpe rotte. Anche a lui tremavano le mani, anche i suoi occhi erano stanchi, ma il suo sorriso era come una margherita. Lui nascondeva i suoi pensieri tra parole scritte in macchine fotografiche ingiallite e vecchie. Aveva una cartina geografica, in camera sua. Molti sogni erano appesi al suo soffitto dove sbattevano chiazze di tristezza, accompagnate da maschere. Voleva girare il mondo e voleva recitare. Voleva trovare se stesso in un altro luogo e voleva poter essere qualcun altro. Eppure, a lui, le nuvole piacevano tanto. Tendeva a sorridere davvero molto, comprimendo i suoi occhi in due fessure da cui trapelavano delle verità che non avrebbe voluto rivelare. Aveva sempre uno zaino verde in spalla, in cui conteneva migliaia di parole non dette, nascoste in dizionari dai toni spaziali. 

Erano due persone così diverse a prima vista, che nessuno avrebbe mai pensato sarebbero stati felici insieme, cosa che effettivamente non pensavano nemmeno loro.  

Al primo la notte tremavano le mani e un enorme nodo gli bloccava la gola. Non dormiva, semplicemente piangeva mentre brividi inventati da paranoie inutili, si insediavano nel suo cuore, diventando una delle sue paure più grandi. Strisciava i piedi per la casa, apriva il frigorifero cercando dei cerotti da mettere sulle braccia. Poi cercava una coperta e si distendeva sul freddo pavimento ed accendeva la televisione. Ma guardava le stelle e la luna, oppure le nuvole e si sentiva così piccolo e maltrattato. Poi si lavava il viso, cercando di non pensare alla sensazione di rigetto che provava e tornava a letto. E poi piangeva, di nuovo, piangeva lacrime d'altre persone continuando a tremare. 

Il secondo la notte invece, accarezzava le sue insicurezze e leggeva libri, mentre sognava Saturno. Avrebbe voluto stringere la mano di qualcuno invece parlava con sua madre che ormai non c'era più. Poi si lavava il viso, sperando di far fluire anche i suoi pensieri con l'acqua. Ed invece il sole sorgeva e lui riprendeva a scrivere poesie sulle stelle, come se nulla fosse successo. 

Alla fine non erano altro che pezzi d'arte che non erano riusciti a trovarsi. 

fine

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