Quasi estranei- By @_LouFire_

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Un sospiro caldo, il dolce profumo dei tuoi capelli dorati, la carezza sul fianco scoperto e il mio petto ad accoglierti.

Scostavo le coperte di proposito, desideravo osservarti e farti avvicinare per non patire il freddo della notte irlandese trascorsa in quella camera d'albergo. Teli opprimenti, inenarrabile vergogna di occultare l'armonia di giovani fattezze ammirate a lume di candela.

Ero sedotto dalla complicità tacita, partecipazione espressa dal silenzio delle bocche che si assaporavano e dal chiarore luccicante che faceva splendere i tuoi occhi azzurri nella penombra. Non riuscivo a scostare lo sguardo da cotanta profondità, immerso in acque cristalline in cui annegare sarebbe stato piacevole abbandono e onirica leggerezza.

Forse me ne capacitai dal primo momento in cui ti vidi sostare all'esterno della friggitoria, mentre ti stringevi nel cappotto rosso e aspettavi che un gentile offerente ti facesse dono di una sigaretta con me fumata. Era buio, il vento imperversava; ti preoccupasti per me, perché uscii in maglietta per ripulire il marciapiede dalla sporcizia dei clienti ubriachi.

Odoravo di fritto, necessitavo di lavarmi, eppure non ti disgustasti e, anzi, facesti il gesto di privarti della giacca affinché non mi prendessi un malanno.

Di persone altruiste, in vita, ne ho incontrate, ma mai mi è capitato di assistere a tanta premura nei riguardi di un perfetto sconosciuto. Tu fosti la prima, allora capii che dietro il faccino arrossato da qualche birra di troppo si nascondesse uno spirito dissimile dal mio.

Non cercavo compagnia, avevo rotto con la mia ex e credevo fermamente di essere edotto su cosa fosse la delusione. Mi occorsero anni di viaggi per comprendere quanto mi sbagliassi, accecato da un risentimento che mi portò a commettere lo sbaglio peggiore della mia esistenza da straniero in terre straniere.

Mi convinsi a rientrare, comprasti una bevanda e ti presentasti, nonostante faticassi a reggerti sulla gambe sfibrate da danze scatenate in locali colmi di baldanzosi ubriachi celebranti il weekend.

Rebecca, questo era il nome.

T'intrattenesti fino alla chiusura, quando aspettammo insieme che la tua amica giungesse a recuperarti a bordo del taxi. Un pezzo di carta rubato al bancone, il numero di cellulare da te richiesto e la mia sfiducia nei riguardi di una fanciulla alla quale imputai lo smodato consumo di alcolici, dissuaso da molteplici insoddisfazioni per considerare che l'ultima tua intenzione fosse quella di ferirmi.

Rincasai poco più tardi, percorsi chilometri nella bufera accompagnato da musica assordante emessa dagli auricolari, mi preoccupai a mia volta.

Brandii il telefono, ti scrissi per sapere se fossi al riparo dalle intemperie, allora inoltrasti la fotografia della stanza e augurasti la buonanotte.

Fu possibilità di quietarsi, di socchiudere le palpebre e addormentarsi tranquillo, inconsapevole che sarebbero bastate appena venti ore per ritrovarsi nel medesimo luogo, stavolta senza aver bevuto e col bene placido di un titolare comprensivo che mi fece un regalo, ossia concedermi la libertà di slacciare il grembiule e allontanarmi dai miasmi di carne abbrustolita sulle griglie.

Penso che capì entrambi, evidentemente leggeva sui nostri volti quel che noi, l'uno dell'altra, non sapevamo.

L'avremmo scoperto in serata, mentre passeggiavamo per le strade colorate di Kilkenny e raccontavamo chi fossimo. Io, viaggiatore disilluso che cercava la fortuna sull'isola verde; tu, studentessa del Trinity College nata oltreoceano e bisognosa di crescere in solitaria, lontana da una famiglia che nutriva immense aspettative dall'unica figlia.

Due mondi agli antipodi, due realtà distanti quanto poli opposti nell'universo, eppure apparentemente correlati da qualcosa che nemmeno oggi ho inteso.

Saint Vals 2020 AnthologyWhere stories live. Discover now