Capitolo 1: "L'inizio"

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Southfield; Michigan, 2070.

Intorno a me non vedevo altro che il nulla, mi sentivo solo, disperso. Avevamo ormai perso le speranze quando vidi in lontananza un forte bagliore che mi accecò...

Mi svegliai di soprassalto, ricordando a me stesso che gli incubi sono solo frutto dell'immaginazione. La mia camera sembrava rimpicciolirsi sempre di più e le pareti sembravano crollarmi addosso; "respira" pensavo tra me e me. Mi alzai dal letto per andare a farmi la doccia, ma ecco che la suoneria del mio telefono mi ricordò di avere anche una vita sociale: era Ethan, il mio caro amico d'infanzia. Lui è tutto quello che mi resta, l'unica persona su cui posso contare sempre. Risposi immediatamente al telefono: "Hey Joen, vieni a lezione oggi?" "Sinceramente non vorrei, ma i miei sai come sono fatti. Ci vediamo alle 8 al solito posto, ok?" "Ok, a tra poco". Poggiai il telefono sul comodino e mi buttai sotto l'acqua ormai diventata gelida. Ripensai al sogno di sta notte: "cosa significa tutto questo?", smisi di pensare, avevo bisogno di parlarne con qualcuno.

Dopo essermi vestito, scesi a fare colazione in sala, dove i miei genitori erano pronti a fare i finti affettuosi. "Amore mio, hai domito bene?" mi chiese mia madre, mentre nel frattempo muoveva velocemente i suoi pollici sullo schermo del suo telefono. "Si mamma, alla grande. Papà?" "Penso sia uscito presto per andare in ufficio. Vai a scuola oggi, vero? Sai che ci tengo molto ai tuoi voti e alla tua reputazione scolastica." "Ovviamente", risposi in modo sarcastico.

Uscii di casa e, con le cuffie al massimo, mi incamminai verso il parco dove io e Ethan ci incontravamo fin da quando eravamo piccoli. In quel parco sono successe moltissime cose, ricordi indelebili della nostra infanzia. Vidi Ethan sventolare la mano in aria per salutarmi, feci un cenno per farmi riconoscere e mi diressi verso di lui. "Finalmente ti sei deciso ad uscire da quel buco che chiami camera e hai deciso anche di tornare ad essere il mio compagno di banco!" disse ridendo mentre facevamo il nostro saluto. Effettivamente non sono uscito dalla mia camera per un po' dopo quello che era successo, quel giorno in cui ho scoperto che a mia nonna mancavano pochi giorni prima di passare a vita migliore. Avevo deciso di rimanere a casa, non volevo vedere nessuno, tanto meno i miei prof. "Ti devo raccontare una cosa strana che ho sognato sta notte" dissi a Ethan, che subito drizzò le orecchie.

Mentre raccontavo il mio sogno, Ethan ed io arrivammo a scuola, dove un gruppo di persone era pronto a farmi domande sul perché non fossi venuto più a scuola negli ultimi giorni; non ero pronto a tutto questo. Suonata la campanella, entrammo in classe e aspettammo il prof di storia, un uomo sicuro di se e sempre ben curato, nonché uno dei miei prof preferiti che non appena varcò la porta della classe, mi salutò calorosamente iniziando poi la lezione. Mentre le parole del prof volavano nell'aula, io mi trovavo altrove con la mente; non ho mai capito come fanno molte persone a rimanere concentrate per tutta l'ora, prendendo appunti e partecipando alla lezione. Una domanda mi viaggiava nella mente, mi tormentava: "perché quel sogno? Aveva un significato?".
"Joen!!! Joen torna sulla terra!!!" Mi richiamò Ethan all'attenzione, scuotendomi leggermente. "Si scusami... ho bisogno di andare in bagno." "Tutto ok?"-Chiese con tono affettuoso-"devo portarti dell'acqua?" "No, grazie. Sto bene" e così dicendo alzai la mano per chiedere il permesso per uscire.
Non appena fuori dalla classe, a passo veloce andai fino al bagno, sperando di non vedere nessuno lungo il corridoio. Entrai nel bagno di corsa e mi sciacquai il viso con dell'acqua fredda, provando così a calmarmi. Ma proprio mentre sentivo le mie preoccupazioni scivolare via insieme all'acqua, l'allarme della scuola iniziò a suonare più forte del previsto. Uscii dal bagno per recarmi nell'aula magna, dove ci si raduna quando suona quel tipo di allarme, assordante e monotono. Ero arrivato per ultimo, la sala era piena e l'eco delle voci mi urtò il sistema nervoso, provocandomi una forte emicrania; per fortuna Ethan, come al solito, mi aveva tenuto un posto libero vicino a lui. Non appena fui seduto, poggiai la testa sullo schienale della sedia, e feci un respiro profondo; l'aula era immensa, circondata da pareti insonorizzate. Da dietro le quinte uscii il preside O'Neil, un uomo insoddisfatto della sua vita: da poco aveva scoperto che sua moglie, la signora O'Neil, lo aveva tradito con il suo caro amico e non si è mai del tutto ripreso. Quasi quasi mi faceva pena vederlo così, fin quando, con la sua voce intensa, annunciò il motivo per cui tutti ci trovavamo qui. "Salve ragazzi, mi scuso con tutti voi e con il personale docenti per l'interruzione delle lezioni, ma ne vale della vita di tutti. Non vi agitate, presto sarete tutti al sicuro se rispettate alla lettera le mie indicazioni, per ora". Ci guardammo tutti intorno, con gli sguardi persi e spaventati: cosa poteva andare storto? Di nuovo tornò quel boato di voci che mi rimbombò in testa. "Ragazzi, per favore, un minimo di rispetto. Non è uno scherzo, anzi, la situazione è molto seria; prestate bene attenzione alle mie parole e seguite bene le indicazioni che vi sto per dare. Da qualche giorno ormai nel mondo è presente una specie di malattia, della quale non vi so fare un'ampia descrizione non essendo un esperto nel campo; purtroppo la situazione è molto grave in alcuni stati, per questo motivo preferiamo prevenire eventuali casi anche nel nostro. Vi consiglio di recarvi immediatamente a casa, visto che le scuole non sono un luogo sicuro, evitate il contatto con persone affette da ogni tipo di patologia trasmissibile e informatevi il più possibile al riguardo. Ripeto, non è assolutamente uno scherzo! Andrà tutto per il meglio".

Concluse così il suo discorso il nostro preside, con quella frase fatta che sembrava tutto tranne che rassicurante. Ci fu un attimo di confusione, non sapevamo che fare; molti chiamarono i loro genitori, altri festeggiarono perché si poteva uscire prima da scuola, io non sapevo come reagire: tornare a casa mi metteva più paura della fantomatica malattia di cui stava parlando il preside. "Joen, vieni con me e Scarlett al fiume? Scappiamo dai problemi come sempre dai" non vedevo Scarlett da ormai una vita, non mi è mai stata simpatica; così risposi: "Il preside mi sembrava preoccupato, dovremmo andare a casa e fare come ha detto, non voglio fare il rompi scatole ma io non vengo. Il fiume poi sarà pieno di gente ora, non credi?". Ethan non mi degnò neanche di una risposta e, usciti dall'aula, andò via. Provai a fermarlo, ma senza successo, decisi di tornare verso casa.

Durante il mio tragitto verso casa, sentivo una certa tensione nell'aria: stava per succedere qualcosa. Le persone iniziarono a scappare urlando, le macchine sembravano impazzite: il mondo intero lo era. Mancavano pochi metri da casa mia, allora iniziai a correre anche io; ma non appena giunsi davanti all'abitazione, quello che vidi fu straziante. Le finestre erano distrutte, i vetri erano stati frantumati tutti; la macchina dei miei genitori non c'era, la porta era sfondata. Entrai di corsa: "MAMMA! PAPÀ! DOVE SIETE?" urlai invano. Respirare si faceva sempre più complesso, a stenti riuscivo a camminare, ma dovevo restare lucido; camminando verso la sala, sotto i piedi riuscivo a sentire il vetro delle finestre sgretolarsi ancora di più. Notai stranamente che la casa era intatta, mancava solo il cibo: lo avevano preso tutto. Perché? Ma soprattutto, dove sono i miei genitori? Mi hanno abbandonato così, nel pieno della tragedia, senza dire nulla. Dovevo fare qualcosa: uscii di corsa e con il respiro affannato mi diressi verso il fiume per trovare Ethan.

Dopo aver percorso qualche metro, dalla strada già sentivo la voce squillante di Scarlett: vuol dire che stavano bene. Scesi passando per una strada scoscesa e fangosa per raggiungerli: "Ethan...ETHAN!! Devi venire con me, subito." Mi guardò con sguardo confuso ma allo stesso tempo preoccupato: "Ehi, non ti stavamo aspettando; tutto bene? Ti vedo un po' pallido, vieni a bere qualcosa dai" "Si dai, vieni!" aggiunse Scarlett. "Ripeto, dovete venire subito, il mondo sta impazzendo e voi siete qui a fare cosa?! Guardatevi intorno, sono scappati tutti. Non avete sentito le urla?" "Joen, Joen sei sempre il solito. Tante preoccupazioni per niente. Se ti fa stare meglio però verremo con te, dacci solo il tempo di mettere in ordine."

Dopo qualche minuto di attesa, ci incamminammo per arrivare a quella che una volta potevo chiamare casa. Arrivati al muretto davanti all'ingresso, la loro reazione fu identica a quella che avevo avuto io: "Porca troia! Non potevi dircelo subito?" "No, Ethan. Non mi avreste creduto." Detto questo entrammo in silenzio e feci notare loro la completa assenza di cibo: "I miei genitori sono spariti, senza lasciare traccia: dobbiamo trovarli." "Io...Io non vengo, devo subito tornare a casa" disse Scarlett poco prima di scappare via. Ethan da qualche anno vive in una casa con altri studenti, la sua "famiglia" vive nell'Illinois e non lo vengono a trovare da quando sono andati via. "Io resto, non ho nessuno da cui correre: siamo io e te, come da bambini."

Decidemmo di rimanere dentro l'abitazione, saremmo partiti all'alba. "Joen, hai una vaga idea di quello a cui andremo incontro?" "No, ma lo scopriremo presto."

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 13, 2020 ⏰

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