"SUSSURRI IMBEVUTI DI MIELE"

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Il nostro amore era sbagliato, Jimin.
Non potevamo stare assieme. Eppure tu, come un miraggio, eri comparso e mi avevi donato la bellezza del tuo sorriso. Brillava come la pietra più preziosa, adornata da labbra che, come boccioli di rose, danzavano sulle tonalità del rosso. Eri divino.

Io non potevo fare altro che inchinarmi a te, bellezza di altri mondi, e donarti tutto me stesso nella speranza di essere notato da cotanta e smagliante meraviglia. Speravo e mi dimenavo nei miei sogni dove, dopo tanti sospiri chiusi nel cassetto della Speranza, mi facevi dono della tua pelle.

Ero totalmente caduto nella morsa dell'amore.

Dopo mesi in cui lavoravamo insieme in quel piccolo ufficio, stavo cominciando a perdere ogni mia piccolissima sicurezza sul futuro, mentre ti guardavo muoverti sapiente tra gli scaffali, ed aggiustarti gli occhiali che ti scendevano sempre.
E soffrivo silenziosamente, mentre Gelosia mi squarciava il petto, quando quel ragazzo in fondo al corridoio ti rivolgeva tutte le possibili attenzioni. Ma poi vedevo il tuo viso sorridere, e mi convincevo che era meglio così. Stavi meglio così.

E poi, l'inaspettato.

Mi ricordo ancora quando ci baciammo per la prima volta. Tutta colpa di un pò di caffè scivolato sul tappeto dalle mia mani di pastafrolla. Entrambi ci chinammo verso la tazza colpevole, con i visi a pochi centimetri l'uno dall'altro. Dio se eri un'opera d'arte. Ogni tuo dettaglio, che già brillava di per sè, veniva amplificato in tutto il suo splendore visto così da vicino.
Gli occhi marrone chiaro.
Le ciglia delicate.
Le guance morbide e succose.
La pelle levigata.
La bocca carnosa.

Non ho resistito, e neanche tu. E ci siamo improvvisamente ritrovati in un vortice fatto di baci, labbra, schiocchi, lingue, mani che si aggrappavano disperatamente alla giacca dell'altro, in un grossolano tentativo di distruggere la fisicità che ci separava.
E quell'uffico squallido e disordinato, che tanto odiavo, con le tue movenze si era trasformato nella reggia più lussuosa mai esistita.

Questo era il tuo effetto su di me.

I mesi a seguire erano la dimostrazione che il Paradiso, sulla Terra, non era una cosa così impossibile da ottenere.
Eravano cittadini del mondo, ci sentivamo parte di questo vivacità, di questo movimento che guidava la città di notte, mentre correvamo ridendo come matti lungo le strade di Seoul, e non smettavamo un secondo di baciarci e toccarci.
Casa invece, non l'avevo mai sentita così mia finchè non sei entrato tu per la prima volta. Ed improvvisamente era diventata il mio, anzi, nostro porto sicuro. Che con i nostri abbracci rifletteva l'euforia di questo sentimento.

Dio se ti amavo.

Poi, come vetro che cade al suolo, la realtà fa un rumore sinistro, rompe la bolla nella quale ci eravamo rifugiati, ci richiama dal tepore fatto delle nostre mani.
Maledetta chiamata. Quella chiamata con cui improvvisamente non eri più destinato a me, ma ad una sconosciuta che non sapeva nulla della profondità del tuoi occhi, del suono della tua risata che disarmava anche i più maligni, della genuinità del tuo animo.

E lì caddi. Apatico. Invisibile ed insensibile.
Non era giusto. Ma cosa lo era nella vita, in fondo? Si nasce senza avviso, si viene buttati nel destino, si muore non sapendo neanche lo scopo di questo viaggio.
Perciò, davvero potevo aspettarmi tale fortuna?

Tu piansi, io pure, solo che mi nascondevo in me stesso, ed ingoiavo la mia stessa disperazione.

Decidemmo di non vederci più, in modo da non soffrire inutilmente. Ma mai ci dimenticammo, tanto che nel nostro ufficio, ormai casa di silenzi che nascondevano verità trattenute, ci lanciavamo sguardi che valevano più di una vita vissuta insieme.

Poi arrivò il giorno del matrimonio, ormai reincarnazione dei miei più temuti incubi. Eri di una belezza ultraterrena, e nulla poteva fare a gara con te, neanche i fiori che cadevano dall'arco dove stavi, mentre la aspettavi.
Per ma c'eri solo tu. Anche quando arrivò tuo padre ad accarezzarti la schiena, con un sorrivo che impregnava l'aria di falsità, anche quando ti si affianca la sposa che ti infila quell'anello d'oro, che in realtà per me era fatto di spine acuminate.
Anche quando l'hai baciata.
Mentre guardavi me.

E subito, tra il delirio generale mi sono alzato, e sono scappato nei bagni, trattendendo conati.
Tu mi hai raggiunto, mi hai guardato, accarezzando ogni mio dettaglio.
Mi hai baciato.

In quello squallido bagno, invisibili da tutti, facemmo per l'ultima volta l'amore, quasi come per voler sugellare quel nostro addio.
Nessuno ci notò nè tantomeno ci scoprì, con la sposa ubrica di vino, tuo padre di ipocrisia, tua madre di impotenza. Facevamo l'amore piangendo, mentre sussurravamo i nostri nomi, con sospiri inbevuti del miele del tuo amore, ed accarezzavamo le nostre guancie, con le lacrime che scorrevano furiose per un destino ingiusto, mentre racchiudevamo la veridicità del nostro sentimento.

Non ci vedemmo mai più da quel giorno, ma solo di sfuggita, ed ogni volta era come una pugnalata al mio cuore. Vedevo, li notavo i tuoi sorrisi tirati e le tue occhiaie dovute ad una vita che, ormai, si era trasformata più in una prigione che in un dono divino. Eri imprigionato da ciò che ti dicevano fosse giusto o meno, quando le prendevi la mano e mi guardavi mentre aspettavo un taxi, con gli stessi occhi di 3 anni prima.

Ed ora, ormai ottantenne, posso finalmente guardarti senza alcun timore.
Posso amarti come veramente meriti. Posso donarti nuovamente me stesso, con qualche ruga e qualche capello bianco in più, mentre sorridi dietro il vetro della foto della tua lapide.

Ti amavo, ti amo, ti amerò.

Spero che tu in paradiso possa ancora ricordarlo.
Anche perchè sto per raggiungerti di nuovo. Steso al tuo fianco, mentre l'erba solletica le mia fiacche gambe.

Con gli occhi chiusi e finalmente un sorriso a colorarmi le labbra.

"SUSSURRI IMBEVUTI DI MIELE"| jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora