Capitolo 2

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«Si può sapere che ti prende?» mi domandò Olly, fissandomi spazientita. Mi ero persa di nuovo nei miei pensieri e Olly probabilmente mi stava raccontando il finale dell’ultimo romanzo che aveva letto, di cui naturalmente non ricordavo il titolo. Non mi restò che tacere e fare spallucce, fingendomi estremamente interessata a quello che mi stava raccontando. Era lunedì mattina, terza ora, ed io stavo lottando contro la malinconia che mi faceva venire un’insensata gola di croissant alla nutella e più pensavo a placare la fame, più quella si faceva insistente. Sapevo, che la voglia di dolci improvvisa, era sintomo di una sola cosa: la tristezza. Conoscevo benissimo quale fosse la causa di quello sconforto inatteso, ma non volevo ammetterlo a me stessa, perché mi ero sempre imposta di non farmi coinvolgere e, soprattutto, di non farmi aspettative infondate sui ragazzi.

“Gli uomini sono tutti dei porci, anzi peggio: sono le pulci delle pulci che hanno i porci”, questa era la citazione che mia madre amava di più di Grease ed io, continuando a sentirla ripetere, avevo finito per convincermi della sua veridicità. Ora, però eccomi a perdermi nuovamente tra i cassetti del grande armadio, che era la mia mente, troppo occupata a fingere di ascoltare Olly per poterla ascoltare veramente. «Non so che fare, continua a scrivermi, ma non so se voglio avere un rapporto serio con lui» commentò Olly e solo in quel momento mi accorsi, che aveva cambiato argomento di conversazione. «Lui chi?» domandai, cercando di mostrarle l’espressione più innocente possibile. «Come, lui chi?! Marco! Te ne sto parlando da dieci minuti!» disse alzando notevolmente il volume di voce, tanto da sovrastare la voce della prof. di fisica. Quest’ultima si girò verso di noi e senza alcun indugio ci fulminò con lo sguardo. Io cercai di mostrarmi attenta, come se non mi fossi nemmeno accorta, che la mia compagna di banco era tutto, tranne che interessata alla lezione. In classe calò un silenzio agghiacciante, era quasi impossibile credere che un semplice sguardo potesse terrorizzare una ventina di ragazzi. Eppure era così e Olly non era di certo un’eccezione. 

Passarono altri venti minuti e per circa la metà del tempo riuscii a concentrarmi su quello che spiegava la prof., poi finalmente suonò la campanella dell’intervallo. Olly mi prese per il polso e mi trascinò in bagno senza nemmeno darmi il tempo di prendere i cracker dallo zaino. «Ora mi dici che cavolo ti succede, è tutta la mattina che ho uno zombie al posto della mia migliore amica» mi disse Olly con espressione minacciosa. Io ridacchiai, perché mi vergognavo a dirle, che avevo passato gli ultimi due giorni a pensare a quei magici dieci minuti di sabato sera, o meglio, a quello sguardo magnetico e a quelle mani calde e sicure sul mio corpo. Constatai, che probabilmente non mi avrebbe lasciata andare tanto facilmente se non le avessi detto subito cosa mi passava per la testa, perciò glielo dissi. «Sto pensando a sabato sera, quel ragazzo era così… wow» dissi, non riuscendo a evitare di sospirare, mentre inevitabilmente tornavo a pensarci. Lei puntò lo sguardo verso il soffitto, come se ormai fossi un caso perso. E forse aveva ragione. «Oh Ali, forse è perché è il primo ragazzo che hai baciato… beh voglio essere sincera, cerca di dimenticarlo il più presto che puoi. Lui lo ha già fatto» mi rispose con il tono da rimprovero, che usava spesso mia madre. Io la guardai, cercando di non lasciar trasparire la mia delusione dopo la sua risposta, ma perché deve sempre rovinare il mio entusiasmo?!, pensai, mentre la tristezza mi piombò addosso come mai avrei creduto.

La giornata passò relativamente in fretta, rispetto all’insoddisfazione che la sentivo essersi come appiccicata al mio corpo dopo la risposta di Olly. Lei era la mia migliore amica e forse il suo compito era proprio quello di riportarmi con i piedi per terra, quando volevo volare troppo in alto. In realtà pensavo solo, che mi avesse spezzato le ali ancora prima di volare. Sentivo che si sbagliava, che quel ragazzo non si era dimenticato di me, perché non poteva essere rimasto indifferente a ciò che era successo.

EHI! COSA TI SUCCEDE OGGI? :/

OLLY, LO SAI BENISSIMO COSA MI SUCCEDE…

Ero perfino infastidita dai messaggi di Olly, tanto che non riuscii a capire come avessi fatto a sopportare il suo comportamento fino a quel momento. Mi sentivo talmente incompresa, che mi venne voglia di andare a correre per sfogarmi. Colsi la rara occasione al volo e in batter d’occhio uscii di casa, mia madre probabilmente non si sarebbe accorta di nulla dato che probabilmente sarebbe tornata nel cuore della notte.  Anche quella sera. Percorsi il vialetto che mi portava alla strada principale, il cielo era tinto di un blu scuro e le stelle sembravano nascondersi per l’eccessiva luminosità giallognola dei lampioni. Erano circa le otto di sera, eppure la piccola città in cui vivevo sembrava deserta, come se il freddo di quel rigido inverno potesse pietrificare il cuore di ogni abitante. Iniziai a correre prima lentamente, poi quando accessi l’ipod aumentai il ritmo senza nemmeno accorgermene. Avril Lavigne cantava nelle mie orecchie ad un volume pericoloso, io correvo e non sapevo nemmeno dove andassi. Non aveva importanza, nulla sembrava avere più importanza. L’aria gelida colpiva le mie guance e ad un certo punto le sentii inumidirsi, mi fermai sotto a un gigantesco lampione decorato da luci natalizie, alzai lo sguardo sopra di me e vidi piccoli fiocchi di neve precipitare verso di me.  Stava nevicando, la prima nevicata della stagione, questo momento avrebbe portato allegria e gioia in ogni casa illuminata quella sera e fu esattamente quel pensiero a farmi sentire ancora più sola. Le guance cominciarono a inumidirsi in modo più evidente e la causa non era di certo l’improvvisa nevicata. Lacrime, erano solo inutili lacrime di rassegnazione. Mi incamminai verso casa e spensi l’ipod per godermi il silenzio di quella serata, che, di certo, era la perfetta colonna sonora per il mio stato d’animo.

«Ehi bellissima, che ci fai qui tutta sola?»

Alzai lo sguardo e vidi di fronte a me un ragazzo alto almeno trenta centimetri più di me, che mi guardava mostrando un ghigno agghiacciante. Rabbrividii e mi maledetti per essere uscita dimenticando lo spray al peperoncino che mi aveva comprato mia madre. Mi voltai e cominciai a correre nella direzione opposta, ma non andavo a correre praticamente mai e la mia velocità ne pagava le conseguenze. Mi voltai e vidi che il ragazzo mi inseguiva con decisione e, in qualche modo, percepii dal suo sguardo, che non avrebbe rinunciato. Il mio respiro si fece sempre più affannato e cominciai a sentirmi una preda spacciata. Tentai di gridare, ma sembrava che a nessuno importasse di ciò che stava succedendo la fuori. Ero terrorizzata e fu proprio quando pensai di rassegnarmi, che vidi una macchina scura e brillante, affiancare il marciapiede su cui stavo correndo da un tempo che mi sembrava interminabile. Vidi l’auto rallentare e quando notai che il viso del conducente mi era squisitamente familiare, non pensai ad altro se non a fiondarmi in macchina. Si, proprio nella macchina di quello sconosciuto. 

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