~ Capitolo 1 ~

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"Dovremmo uscire a fare un giro e pranzare al Club, che ne dici Nihan?". Mio fratello Ozan quella mattina era di ottimo umore, mi fissava poggiato allo stipite della porta della mia camera, con quei suoi occhioni azzurri imploranti, al punto che avrei accettato solo per renderlo felice. Dovetti a malincuore declinare il suo invito " Ozan, oggi ho altri programmi, ma ti prometto che nel pomeriggio avremo tutto il tempo per prendere un te insieme!". Avevo bisogno di rimanere sola e disegnare. Le mura di casa mi stavano sempre più strette, non riuscivo a trovare la giusta ispirazione per produrre qualcosa di suggestivo. Il mio spirito artistico reclamava libertà. Ed io dovevo soddisfarlo. La presenza di mia madre, era diventata oppressiva, non faceva altro che ricordarmi della cena di quella sera, al punto che dovetti minacciarla di non partecipare, se non l'avesse finita di ripeterlo ogni dieci minuti. Mia madre, Vildan Sezin, era una donna tutta d'un pezzo, noiosamente curata, e sempre impeccabilmente vestita in modo elegante. I lunghi capelli biondi le illuminavano l'incarnato chiaro, e l'azzurro limpido dei suoi occhi le rendevano lo sguardo agghiacciante. Io e Ozan le somigliavamo molto, ma sentivo di avere una personalità completamente diversa. La sua immagine distinta faceva di lei la perfetta padrona di casa, una villa di 400 mq, divisa in tre piani e dispendiosamente arredata.
Mi avvicinai ad Ozan che era ancora lì a fissarmi a braccia conserte, lo baciai,e gli ricordai come facevo ogni singolo giorno, che gli volevo bene. Nonostante fosse il mio gemello, lo vedevo sempre come il mio piccolo fratellino fragile da proteggere.
Sapevo bene che era ormai un uomo adulto, ma non riuscivo ad abbandonare il senso di iper-protezione che avevo nei suoi confronti.
La sua malattia, l'epilessia, lo aveva costretto a vivere una vita diversa da quella che svolge un normale ragazzo di 25 anni. Non aveva la possibilità di guidare, di praticare sport o di fare una qualsiasi bravata con gli amici.
La sua condizione era particolarmente delicata, e dovevamo fare attenzione ai suoi stati di ansia. "Ci conto allora. Non fare tardi!" rispose imbronciato.
Presi la tracolla sulla scrivania della mia camera, diedi un ultima occhiata all'interno per accertarmi che ci fossero tutti i miei strumenti di lavoro, e che non avessi dimenticato nulla. Scesi le scale di corsa e varcai la soglia della mia fortezza. Era da poco arrivata l'estate e c'era un aria meravigliosa, il clima era piacevolmente caldo, le giornate limpide e il cinguettio degli uccelli, insieme al fruscio delicato delle foglie, completavano il quadro perfetto di quella che era la mia stagione preferita.

In pochi minuti arrivai al centro di Istanbul, scesi dal taxi e iniziai a guardarmi intorno, alla ricerca di un posto abbastanza affollato, dove potermi sedere e iniziare a ritrarre. Guardare tutto ciò che si animava intorno a me, era una cosa che trovavo estremamente affascinante, osservare la gente comune che viveva la propria quotidianità e che affrontava il caos della città che amavo, accendeva la mia immaginazione. Loro, quella gente, era la mia più grande ispirazione.
Dopo aver ritratto il volto di una donna dai tratti asiatici, guardai l'ora e mi resi conto che erano passate ormai tre ore. Non avevo per niente intenzione di rientrare a casa, e di affrontare con mia madre il solito argomento: Emir.
La mia sensibilità mi dava la possibilità di raccogliere nell'aria qualcosa di speciale, di riconoscere in una persona la poesia, e di percepire la malvagità umana, ed Emir non mi trasmetteva affatto una sensazione positiva. Rabbrividii al pensiero che quella sera avrei dovuto cenare insieme a lui.
Cercai di scacciare quel pensiero, e godermi quel che rimaneva di una splendida giornata di sole. Passai a salutare la mia nuova amica Katy, un adorabile bambina costretta a vendere fazzoletti, e dopo aver gustato insieme a lei un enorme nuvola di zucchero filato, mi avviai alla fermata dei bus.
In realtà era una cosa che non avevo mai fatto. Si, non avevo mai preso un autobus prima! Se avessi preso il taxi sarei arrivata troppo presto a casa... "Ma quello è...cazzo è l'autobus!" Era evidente che non ero per niente abituata a prendere i mezzi pubblici, "no, ti prego no!". Arrivai alla fermata esattamente nel momento in cui le porte si chiusero, ma non era ancora partito. Bussai insistentemente, affinché il conducente si accorgesse di me, così le porte si riaprirono. Per fortuna. E una volta salita, feci un sospiro di sollievo.
"Prego"porsi una banconota da due lire all'autista per pagare la corsa.
"Qualcuno ha una corsa extra?" urlò l'uomo, in modo che anche chi fosse seduto in fondo riuscisse a sentire.
"Scusi, non si possono usare i soldi?" chiesi infastidita.
"L'aiuto io" un ragazzo dalla folta chioma nera e spettinata, a pochi centimetri da me, venne in mio soccorso. Fece per prendere il biglietto dalla tracolla, quando a causa di una brusca frenata gli sbattei contro. Ebbe la prontezza di afferrarmi stringendomi a se, poiché le ginocchia mi tradirono, il suo braccio mi cingeva la schiena, e lentamente, mi aiutó a rialzarmi. "Mi scusi tanto, mi scusi..." dissi.
I suoi occhi erano fissi nei miei, e tradivano un velo di imbarazzo, ma distolsi lo sguardo e cercai di ricompormi. "Non è niente" mi rispose, porgendomi il biglietto. Lo afferrai lentamente, attenta a non sfiorare le sue mani. Bene! Avevo un biglietto tra le mani, ma cosa avrei dovuto fare esattamente? Guardai prima il biglietto, poi lui, sorridendo. "Ah" il ragazzo dagli occhi neri apprese quanto ero incapace nell'impresa, e riprese il biglietto dalle mie mani, cercando volontariamente un contatto. "Così" disse, mentre avvicinava il biglietto allo scanner alla destra del conducente. Non fece in tempo a timbrare che un altra brusca frenata lo scaraventò contro di me. Questa volta con qualche danno in più, le nostre tracolle si erano svuotate sulla moquette sporca.
"Sta bene?" mi chiese preoccupato. La sua apprensione mi fece sorridere.
"Sto bene, Sto bene" gli risposi, rassicurandolo, mentre riordinavo velocemente tutto all'interno della borsa. Mi tese la mano per rialzarmi, l'afferrai e lo ringraziai mentre mi tirava su. Nell'altra mano avevo ancora la banconota, così gliela porsi, per sdebitarmi del biglietto. "No" si rifiutò, senza staccarmi gli occhi di dosso.
"Ma lei lo ha pagato, per favore li prenda" insistetti.
"Non ci pensi, davvero non importa." La sua voce era così calda e gentile.
"La ringrazio allora" gli sorrisi.
Distolse lo sguardo verso il finestrino...eppure sentivo una sensazione così strana. Non riuscivo a capire se era più imbarazzato di me o del fatto che tutti ci stessero guardando.
"Si è liberato un posto, può andare a sedersi li se vuole" mi indicò un posto vacante a metà corridoio. Lentamente, concentrata a non perdere l'equilibrio, raggiunsi il sedile, mi misi comoda, e sfilai dalla tracolla il bloc-notes e la matita. Focalizzai la mia attenzione sul suo viso, mi sentivo fortemente attratta dai suoi occhi neri, non potevo fare a meno di guardarli. Così cercai di studiare le curve del suo volto, mentre i nostri sguardi continuavano ad incrociarsi. Stavo velocemente realizzando il suo ritratto affinché non svanisse dalla mia mente, una volta scesa, l'immagine di un bellissimo ragazzo che probabilmente non avrei mai più rivisto. Anche se, in cuor mio, ero consapevole del fatto che non l'avrei mai più dimenticato.
Mano a mano che lo ritraevo, ogni minimo dettaglio prendeva forma.
A piccoli passi, mentre il corridoio si liberava, si avvicinava sempre di più. Ogni volta che provava a guardarmi mi trovava a fissarlo, ma era sempre il primo ad arrendersi e ad abbassare lo sguardo. Riuscì a sorpassarmi con la scusa di far passare una donna anziana, e si posizionò alle mie spalle. Fui costretta a voltare pagina e iniziare un nuovo ritratto. Cosi decisi di ritrarre l'uomo dalla folta barba che avevo difronte.
Lui era dietro di me, a pochi centimetri. I suoi occhi invece erano su di me, anche se non lo vedevo, lo percepivo. Sentivo di essere osservata, così il mio cuore cominciò a pompare più velocemente, e il respiro divenne irregolare.
Il bus arrivó ad un altra fermata e mentre speravo che non fosse arrivato a destinazione, mi voltai a guardarlo. I suoi occhi rimbalzavano tra me e le porte del bus, come se non sapeva se continuare per la sua strada o rimanere lì. Cosi mi voltai e lo lasciai libero di andare. Nel momento in cui sentii il rumore delle porte del bus chiudersi, mi resi conto che avrei potuto rompere quel silenzio, non so esattamente come, ma avrei voluto averlo fatto.

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