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Quella mattina, dopo aver tracannato una tazza
di caffè grande quanto un vaso da fiori ed aver svegliato metà del vicinato con lo stereo a palla durante la doccia, parcheggiai il pick-up nello spiazzo che affiancava il cancello d'entrata del college e spensi il motore.

La sera prima ero tornata a casa poco dopo aver visto i Rantipole, bassista compreso, andare via dal locale insieme alle effusioni di Linda ed alla sua felicità di avermi come collega che mi aveva accompagnato fino all'uscita.

Avevo passato il resto della serata a raccontare a Becca come fosse andato il primo turno al locale e ad osservare il soffitto prima di chiudere gli occhi e dormire le mie cinque ore di sonno grazie alle pillole. Non avevo immaginato che quella leggera tensione da "primo giorno di scuola" potesse toccarmi in qualche modo, invece a quanto pare mi sbagliavo.

Restai in auto ad osservare alcuni ragazzi che si stavano affrettando verso l'entrata ed altri ancora fermi nel giardino davanti all'edificio seduti su delle panchine a parlare fra loro.

Ce l'avrei mai fatta? A diventare come loro, ad iniziare una vita da collegiale come tutti? Probabilmente no, nemmeno negli anni passati c'ero mai riuscita, pur sforzandomi ogni volta ero sempre stata quella fuori posto, quella strana che preferiva rimanere a casa ad ascoltare musica rock a tutto volume piuttosto che andare a qualche festa in città con i suoi coetanei per ubriacarsi e perdersi nel bosco con qualche ragazzo.

Come se mi fosse stato possibile perdermi d'altronde, conoscevo la foresta meglio di camera mia e questo andava ad aggiungersi alla lista delle cose per cui risultavo bizzarra agli occhi di tutti.

Aprii la portiera dell'auto, presi il pacchetto di tabacco dallo zaino e mi accesi un drum mettendomi con le gambe a cavalcioni del sedile.
Non mi sentivo ancora pronta per iniziare.

James aveva dovuto dannare per riuscire a farmi ammettere al college con così poco preavviso facendomi passare direttamente al secondo anno e non avevo intenzione di buttare all'aria tutti i suoi sforzi o le promesse che avevo fatto in passato, ma continuavo a sentire in un angolo della mia testa una voce che mi ripeteva che dovevo lasciar perdere tutto e fermarmi, tornare da dov'ero arrivata e smetterla di cercare di ricostruire un qualcosa di effimero che non sarebbe mai durato a lungo.

Come se tutto quello che dopo sette mesi di buio, stava cercando di riemergere a fatica, fosse destinato anch'esso ad implodere ed accartocciarsi su se stesso per l'instabilità su cui si basava. Forse era proprio così e forse quello che stavo continuando a fare io in quel momento era scappare, terrorizzata.

Scappare da un inizio che mi si stava proiettando davanti agli occhi ma che io, cieca, stavo cercando di non osservare per paura di dover nuovamente dire addio e ritrovarmi sola, spaurita ed inerme senza alcuna difesa come mai ero stata in vita mia.

Forse stavo scappando da una vita che mi era stata cucita addosso con fili di ferro, intrecci di immagini, rancore e rimpianti. Tutte cose che mi avevano portata lì a quell'esatto momento, seduta a cavalcioni del sedile della mia auto, con una sigaretta tra le mani in uno stato diverso da quello in cui i miei ricordi avevano messo radici fino ad allora.

Svuotata, incapace di percepire una sensazione più forte di quella lastra di vetro intorno a me che stava continuando, inesorabile, a separarmi dall'esterno richiudendomi in una bolla velenosa che solo a volte si assottigliava tanto da permettermi di percepire il calore di una sensazione esterna e familiare prima di ispessirsi di nuovo e farmi ripiombare in uno stato catatonico.

Scossi la testa e premetti leggermente due dita all'altezza delle tempie per far passare quel leggero mal di testa che mi si stava creando. Mi alzai dal sedile e buttai il mozzicone ormai consumato in un cestino lì a fianco.

𝐖𝐇𝐀𝐓 𝐅𝐋𝐀𝐖𝐒 𝐈𝐍 𝐓𝐇𝐄 𝐕𝐄𝐈𝐍𝐒 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora