PIER ISA DELLA RUPE
LA BELLA GALIANA
A TUTTE LE DONNE CHE SANNO ANCORA SOGNARE
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“Non sa la nuvola dove la porta il vento, né il papavero sa dove cadrà il suo polline.”
In tempi antichissimi, sulle rive del Paradosso, torrente che scorre a Viterbo, c’era un masso enorme nel quale era piantata una lunga catena. I nostri barbari padri, che erano venuti da Troia assieme con Enea, per ricordo della patria lontana, mantenevano lungo le rive di quel torrente una troia bianca, la quale era considerata Sacra, perché dedicata alla bella Elena. Ogni anno, un certo giorno, era legata nuda a quella catena una fanciulla viterbese tratta a sorte dai sacerdoti, affinché fosse divorata dalla troia come vittima offerta alla dea Elena.
Ma un giorno nacque a Viterbo la più bella creatura che si fosse vista al mondo, le fu dato il nome di Galiana…
E' il giorno avanti la domenica, la campana di Santa Maria in Gradi, chiama i fedeli a raccolta per i vespri. I lenti rintocchi risuonano fino al lontano quartiere di Piano Scarano. E’ l’ora del crepuscolo e mentre sta abbuiando, tira un leggero vento da nord – est.
Dal suo bellissimo e signorile palazzo, il conte Andrea Galiano dell'Acqua Zita quasi non respira ascoltando i ripetuti, ossessivi tocchi che sembrano un annuncio di morte.
Lentamente passa una mano nervosa sui capelli grigi, arricciati e scapigliati, la barba pure essa grigia, è incolta. La fronte corrucciata, le labbra livide, il volto bianco pare scolpito nel marmo. Indossa una candita tunica di lino splendidamente ricamata, dalle spalle fino ai calcagni gli scende morbida un’ampia sopravveste scarlatta. In mano tiene un raro libro sacro scritto con una calligrafia arcana, pitturato sul frontespizio è chiuso con una serratura cesellata, il conte non lo apre, non vuole leggere né pensare, per tutto il giorno ha vagato come uno spettro, di salone in salone frugando ogni stanza, ogni angolo, ogni nicchia dell’antico e vasto palazzo senza sapere in realtà cosa cercare e adesso, tutte le incertezze lo hanno ripreso. Pure se vorrebbe urlare, tace. Ma la sua mitezza è solo un’ingannevole apparenza, il conte Andrea Galiano, pronipote del grande Enea, quando vuole qualcosa, sa bene come ottenerla. Alto e maestoso, nasconde i suoi accessi di collera sotto un velo di calma apparente. Per un momento solo, siede sopra l’ampio scanno con lo schienale scolpito e il sedile ricoperto da una pelle d’orso, ma poi, nervoso, con un ronzio nelle orecchie, subito si rialza, versa dell’altro vino nella coppa, ma non beve, come in trance, lentamente attraversa per l’ennesima volta il grande salone affrescato fino al soffitto con scene mitologiche. Andrea Galiano, che s’intende di pittura, non le guarda neanche, inseguendo la sua pena, s’avvicina alla finestra, posa il libro sopra il tavolo di legno intarsiato d’avorio e, con la coppa in mano, resta ritto dietro i vetri appannati sentendosi morire. Disperato fissa lo stipite del balcone ricoperto di bava di ragno e, mentre contempla l'insetto che immobile aspetta la preda appeso al filo della sua tela, non può fare a meno di pensare che quella ragnatela d’argento, così elegante e tanto bella, altro non è che una trappola di morte. Poi, dimentico del ragno e della ragnatela, rientra disperato in quell'uragano che lo sconvolge strappandogli l'anima, così torna a guardare con occhi sbarrati senza vederlo il paesaggio di sempre.
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La Bella Galiana
Roman d'amour“La bella Galiana” narra di un orrendo rito di sacrifici umani. In ogni inizio di primavera, una vergine viene immolata e data in pasto a una Bestia mostruosa, per placarne le ire. La malefica divinità della Bestia era stata sancita da Enea, quando...