1. Vite alternative

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«Secondo me, non ti stanno male.»

Alle parole di Federica, Paolo posò la tazza di caffè sul tavolino del bar e si voltò a guardare l'amica seduta al suo fianco, che lo stava osservando attraverso le volute di fumo della sua sigaretta.

In quel tardo aprile le giornate più calde rendevano piacevole sedersi all'aperto, al riparo del gazebo e a pochi metri dal lago, dando a entrambi la possibilità di godersi quell'oretta di chiacchiere quotidiane, che non mancavano mai da quando si erano conosciuti.

«Non sono Clooney, che fa il suo bel figurone anche con i capelli brizzolati,» ribatté Paolo, inarcando un sopracciglio per sottolineare quanto poco credesse in quello che lei gli aveva appena detto.

«Non ho detto che sei uno strafigo.»

«Grazie mille, non c'è bisogno di ricordarmelo ogni cinque secondi.»

Federica alzò gli occhi al cielo e spense la sigaretta nel posacenere.

«Intendevo dire che quei pochi capelli bianchi che hai non ti stanno male, e a stento si vedono. Hai quasi trentasette anni e ho visto di peggio, credimi. Non è di quello che ti dovresti preoccupare.»

«Guarda che era solo una constatazione, quella che ho fatto. Non mi spaventano certo un po' di capelli bianchi.» Con un'alzata di spalle, Paolo tornò a guardare verso il lago. «Di cosa dovrei preoccuparmi, invece?»

«Che non solo non sei Clooney, ma, soprattutto, sei acido e antipatico la maggior parte delle volte. Resterai single a vita come me, di questo passo.»

Paolo incrociò le braccia sul petto e tornò a voltarsi verso quella che era la sua migliore amica dai tempi dell'università, da quando Federica e la sua compagna di allora gli avevano affittato una stanza nella loro casa di Novara.

Era l'unica con cui riuscisse a essere se stesso, l'amica fedele che lo aveva confortato nei momenti bui e solitari della sua vita, anche quando lui non aveva chiesto alcun aiuto.

Non era cambiata molto, in tanti anni: stessi capelli corti, stesso fisico magro e sempre allenato. A parte aver abbandonato il look dark per uno più casual, e rifiutarsi di indossare una gonna o un vestito, sembrava sempre la stessa ragazza, ora donna, intelligente, sicura di sé e determinata a non farsi mai mettere i piedi in testa da nessuno.

«A volte, mi chiedo perché mai siamo amici,» replicò lui con una smorfia.

«Perché io sono più acida di te... tra bestie ci si capisce.»

Paolo scosse la testa e prese dalla tasca il suo cioccolatino quotidiano, un'abitudine presa da così tanto tempo da non ricordare più quando fosse iniziata. Scartò il dolce dalla forma rotonda e lo infilò in bocca, gustandosi quel contrasto di sapori a cui si era assuefatto come a una droga.

«Promettimi che, quando finirò in un ospizio, verrai a trovarmi,» le disse, dopo un po'.

«Promessa facile da mantenere: mi basterà uscire dalla mia stanza, che sarà di fianco alla tua.»

«Avremmo dovuto essere etero entrambi, sarebbe stato tutto più semplice,» Paolo parlò sovrappensiero, osservando i riflessi del sole sull'acqua del lago con un gomito appoggiato al tavolino, mentre con due dita si pizzicava piano il mento e il labbro inferiore. «Avremmo potuto essere una bella coppia e fregarcene degli altri.»

«Non esiste. Ti posso sopportare come amico, ma come compagno potrei anche ucciderti nel sonno.»

Paolo roteò gli occhi, sbuffando in modo esagerato. «Insisto... ma perché siamo amici?»

 ma perché siamo amici?»

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