A volte la felicità è qualcuno.

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Sono seduto al solito tavolo dove io ed Evy pranziamo ogni volta che lei deve lavorare fino alle due.

Fare la giornalista è un lavoro duro, un po' come fare il marinaio: sai quando sali sulla tua barca, non sai quando il mare deciderà di farti tornare a casa.

Sono qui da più o meno quindici minuti, mentre l'aspetto ho già ordinato per tutti e due. Ormai la conosco a memoria, percorro la sua anima bendato e non vado mai a sbattere contro angoli di incomprensioni. Ho ordinato per lei un piatto di pasta alla crema di salmone che il cameriere ha appena posato sul tavolo. Lo vedo fumare davanti ai miei occhi e io rincorro con lo sguardo il fumo. Ci intravedo dentro la figura del volto di Evy, per un attimo ho l'impressione che sia davvero davanti a me, che sia finalmente arrivata. Mi tolgo gli occhiali che si sono tutti appannati e li pulisco, quando li poggio nuovamente sul naso la realtà mi sbatte in faccia e mi accorgo che lei, lì seduta davanti a me, non c'è. Sto aspettando da più di mezzora e non è ancora arrivata. È arrivato anche il mio ordine ma io non lo mangio, aspetto. Ogni tanto sorrido all'immagine che ho nella mia mente di Evy. Non mi arrabbio del suo ritardo, so che è una donna molto impegnata e che il suo lavoro le ruba tantissimo tempo. Io le ho saputo rubare il cuore, mi basta così.

Mi accorgo che a qualche tavolo di distanza da me c'è un signore che mi osserva da lontano, di nascosto, tenendo il giornale davanti agli occhi poco sotto il naso. Lo fisso dritto negli occhi e vi leggo una qualche traccia di compassione per me. Sicuramente penserà che sono uno sfigato che aspetta una donna che non arriverà mai seduto ad un tavolo di un bar. E invece sono un uomo felice e consapevole che la persona che amo stasera me la ritroverò a casa ad aspettarmi. A volte la felicità è qualcuno.

Sono ormai quarantatré minuti che sono qui, conto sempre i minuti in cui l'attendo. Troppi. Mi alzo per andare a pagare e mi rendo conto che il cameriere mi sta guardando con lo stesso sguardo compassionevole del signore con il giornale. Mi guardo intorno, ho l'impressione che tutti mi stiano guardando e abbiano incastrato negli occhi lo stesso sguardo. Hanno tutti lo stesso pensiero e stanno fissando tutti me. Pago il conto e me ne esco dal locare con l'amaro in bocca. Tutte quelle persone che neanche mi conoscono e non conoscono Evelyn e la nostra storia non hanno aspettato un secondo per giudicarci. Chissà quali storie fantasiose e dal pessimo finale avranno tirato fuori nelle loro teste vuote. Fortunatamente l'unico finale a cui credo e che anzi vivo è da favola, accanto ad Evy.

Passeggio solitario silenzioso per le strade della città. Ho la testa lontana distese di sentimenti dalla realtà. Ho camminato così tanto che sono arrivato fino al mare, vedo all'orizzonte l'acqua che brilla e brucia sotto questo sole possente. Sposto lo sguardo leggermente a sinistra e noto un'onda anomala di gente che si accalca alle scalinate della spiaggia. Mi sembra di vedere anche un'auto della polizia, se non sbaglio. Ho tolto gli occhiali perché il sole ci si stava accanendo contro e gli occhi mi bruciavano a morte. Li sfilo dalla custodia e me li faccio scivolare sul naso. Finalmente vedo tutto chiaramente ma nonostante questo non ho chiaro per niente quel che sta accadendo. Ci sono tantissime persone e alcune macchine della polizia. In lontananza scorgo anche un'ambulanza e delle camionette di alcune testate giornalistiche locali. Faccio ancora qualche passo per avvicinarmi meglio e poi mi metto dietro il gregge di persone che con sguardo sconvolto e interrogativo osservano oltre la scalinata. Chiudo per un attimo gli occhi e sento il lamento del mare, mi perdo in mondi infiniti di spensieratezza. Un uomo mi colpisce con il gomito nello stomaco e torno alla realtà. Capisco che qualcosa non va, deve sicuramente essere successo qualcosa.

"Scusi, potrebbe dirmi cosa sta succedendo qui?"

Parlo con uno sconosciuto che mi sta accanto e non stacca gli occhi dalla spiaggia neanche per guardare da chi proviene la voce che gli sta parlando. Sembra essere sordo. Molto probabilmente in mezzo a tutto questo caos non mi avrà sentito.

"Scusi, potrebbe dirmi cosa sta succedendo qui?"

Lo ripeto più forte. Forse anche un po' arrabbiato. Mi sfogo su quest'uomo che non conosco per tutto il malumore che ho accumulato oggi a pranzo. Sbaglio, ma funziona. L'uomo finalmente si gira e resta a guardarmi come fossi un cretino.

"È morta una donna sulla spiaggia, ieri. Dicono sia morta affogata."

Osservo le labbra di questo sconosciuto pronunciare la parola morta e mi disconnetto dal mondo, sono un alieno in terra straniera e non capisco più una parola di quello che l'uomo mi continua a dire. Non ascolto i dettagli, resto impigliato come un pesce all'amo ad un'unica, sola, parola. Mi si conficca dritto nel petto, questo amo. Lo sento tirare e lacerare ogni parte di me.

Il pensiero che Evy possa morire mi si infila come un moscerino in un occhio e inizia a bruciare. Una scarica di paura mi percorre interamente il corpo e mi muore sotto le suole delle scarpe. Sgrullo le spalle, scuoto la testa e mi stringo nella mia giacca. Sento un freddo spaventoso. Mi sento come inseguito da strane cose. Ho paura e desidero solo scomparire in un suo abbraccio. La vita senza di lei sarebbe terribilmente spaventosa. Terribilmente vuota.

Questo incontro casuale ha dato almeno un senso alla mia giornata, nonostante mi abbia messo una tale inquietudine nel cuore che a stento riesco a camminare sulle mie gambe che tremano come foglie. Sicuramente Evy non è venuta a pranzo poiché avrà dovuto fare un turno extra per questa notizia. È l'addetta del notiziario flash locale, sarà arrivata la notizia alla redazione poco prima della sua pausa e avrà deciso di restare comunque per portare a termine il suo lavoro. È una donna troppo dinamica e diligente per abbandonare tutto così.

Come una medusaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora