Rivelazione

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     Da sempre il carnevale esprime un momento di goliardica libertà espressiva. Si smette, per un attimo, di vivere la propria quotidianità dando spazio, nel travestirsi, ai desideri più nascosti. I bambini solitamente si mascherano da personaggi che li accompagnano durante la loro fanciullezza, gli adulti, invece, vestono le loro fantasie. "A carnevale tutto vale" recita un vecchio detto, quindi libero sfogo alle proprie passioni.

     Sembrava non pensarla così Antonio, che, uscito dall'ufficio per la pausa pranzo, si stava incamminando per le vie del centro reputando stupidi tutti quegli uomini e quelle donne che, con addosso delle maschere, lo incrociavano durante il suo cammino, non gli era mai piaciuto il carnevale.

     Sin da piccolo i suoi genitori lo costringevano a travestirsi da cow-boy, da uomo ragno, ma il più delle volte da principe azzurro e, complice la timidezza, odiava mettersi in posa per le foto sul corso mentre altre centinaia di persone sfilavano con i loro travestimenti. Evitava, se poteva, gli altri bambini perché preferivano colpirlo con le loro colorate clave di plastica anziché lanciargli addosso i leggeri coriandoli e non soddisfatti gli spruzzavano contro bombolette intere di schiuma bianca o colorata. Puntualmente tornava a casa piangendo e, nonostante tutto, il padre lo rimproverava di non sapersi divertire.

     Arrivato in piazza fu avvolto dalla confusione totale e dovette schivare più di una volta la miriade di coriandoli lanciati dai tanti ragazzini presenti e gioiosamente festanti. Antonio entrò nel bar dove spesso pranzava e, dopo aver salutato, ordinò il solito tramezzino con pomodoro, cetrioli e salsa tonnata, accompagnandolo con una spremuta d'arancia per poi terminare con una fetta di torta al cioccolato.

     «Buongiorno e bentornato!» Gli disse il ragazzo dietro il bancone, cominciando a preparare l'ordine appena ricevuto.

     «Oggi mangio nella saletta, Fabio.»

     «Ma perché? Oggi è una bellissima giornata e se ti accomodi fuori puoi anche goderti le maschere che sfilano!»

     «No, grazie, io odio il carnevale!» Ammise Antonio e, dirigendosi verso il tavolino posto all'interno, si sedette su una delle due sedie, poi accese il tablet nell'attesa che gli venisse portato il pranzo.

     Dopo qualche minuto arrivò Fabio con il vassoio. Posò il suo contenuto sul tavolo e si congedò augurando buon appetito, ricevette un cordialissimo grazie dal suo ospite riservato.

     Finito il suo sandwich Antonio decise di tornare al lavoro e, dopo aver salutato Fabio, intento a posizionare delle tazzine di caffè una sull'altra, si ritrovò nuovamente inghiottito dal turbinio di maschere, coriandoli e musica ad alto volume. Più volte dovette schivare gruppi di ragazzi che lo avevano preso di mira per il semplice fatto di non essere ancora sporco di sostanze schiumose.

     Prima di entrare nel vicolo, che lo avrebbe portato all'ufficio dove lavorava come contabile, Antonio dovette fermarsi, lo scorrere di alcuni carri allegorici gli ostacolarono il passaggio. Sul più grande padroneggiava la satira politica, un enorme presidente del consiglio italiano fatto di carta pesta addentava una grande torta con la forma dell'Italia insieme ad una gigantesca leader del governo tedesco, seguirono nell'ordine il carro di Masha e orso e quello dei personaggi di Walt Disney.

     Dopo essere trascorsa circa un'ora la strada finalmente si liberò e Antonio s'incamminò con passo più spedito, ma arrivato a metà del vicolo si trovò difronte cinque donne mascherate da dame veneziane. Ampi vestiti colorati, generosi decoltè, vistose acconciature e maschere variopinte che calcavano perfettamente i visi che le indossavano. Sulle loro labbra carnose le dame avevano applicato del voluminoso rossetto lucido il cui colore richiamava quello del vestito indossato. L'uomo dovette spostarsi per poterle oltrepassare ma una di loro le si posizionò difronte e con un gesto fulmineo lo avvicinò e lo strinse a sé, baciandolo in bocca. Il contatto durò qualche secondo e l'unica reazione di Antonio fu quella della sottomissione. Il bacio lo scosse, ma lo assecondò molto volentieri.

     Quel magico istante fu interrotto dalle voci che provenivano dalle altre dame, richiamavano l'amica rimasta indietro. La sua dama, avvolta da un alone di mistero, fissò Antonio negli occhi e poi se ne andò. L'uomo restò immobile e in silenzio, poi ritornò in sé e corse veloce verso la piazza. Si arrese al caos totale, aveva ormai perso le tracce della maschera rossa che le aveva regalato una magnifica sensazione.

     In serata, una volta tornato a casa, ripensò al bacio, constatò che gli era piaciuto e anche tanto. Prima di mettersi a dormire mise in ordine dei particolari, quasi come un'ossessione. Primo fra tutti quegli splendidi occhi azzurri che, al di là della maschera, sembravano due diamanti sapientemente incastonati.

     La mattina dopo, nell'attraversare la piazza dove era collocato il suo solito bar, Antonio ebbe un attimo di esitazione, ripensò agli attimi frenetici del giorno prima e nella sua mente si materializzò l'immagine della sua dama misteriosa. Adesso sembrava tutto più tranquillo, la ressa di ventiquattrore prima aveva lasciato il posto alle solite passeggiate quotidiane. Si guardò intorno con la speranza di poter riconoscere in qualche viso femminile quegli occhi diamantati, ma poi la delusione lo condusse nel locale gestito da Fabio. Quest'ultimo salutò il suo cliente notando in lui un'evidente stato di distrazione.

     Quando il barman arrivò col vassoio decise di fermarsi qualche istante, mostrandosi preoccupato. Insistette nel voler conoscere il motivo del silenzio in cui era caduto il suo ospite. Antonio prese in mano il suo tramezzino ma poi lo riposò sul tavolo, guardò il suo interlocutore e decise di raccontargli l'esperienza del giorno prima. «Non riesco a dimenticare quegli occhi e, credimi, anche il bacio è stato meraviglioso!» Poi sorseggiò del succo d'arancia e continuò, «Darei qualsiasi cosa pur di rivederla.»

     «Ma tu puoi!» Asserì Fabio.

     «Che vuoi dire?» S'incuriosì Antonio.

     Il proprietario del bar si allontanò per qualche istante. Ritornò poi con un vassoio coperto. Nel vedere il suo ospite perplesso gli chiese di fidarsi, consigliandolo di alzare la campana d'acciaio posta a sigillo. Quando Antonio alzò il coperchio si irrigidì. Riconobbe la maschera in pizzo rosso indossata dalla misteriosa donna incontrata nel vicolo la mattina precedente e con passione lo aveva baciato. «Credo di non capire.» Aggiunse l'uomo, visibilmente smarrito.

     Fabio, senza parlare, prese la maschera e la indossò.

     Antonio trasalì, rivide un'immagine che riteneva ormai indelebile, si trovò difronte gli stessi occhi che il giorno prima lo avevano rapito. «Tu?» Disse stupito, ma ancora più intimorito dalla risposta che da lì a poco sarebbe arrivata.

     «Non io» rispose Fabio, «Ma la mia vera essenza.»

     «Non capisco...» continuò Antonio, ancora confuso.

     «C'è poco da capire» proseguì Fabio, «Io ti ho sempre desiderato ma solo indossando una maschera sono riuscito a vincere la mia paura nel comunicare i miei sentimenti che, seppur velati, restano sinceri.»

     Antonio, ancora in silenzio, non riusciva a calmare i suoi pensieri galoppanti. Aveva tanto desiderato ritrovare quella donna dagli occhi azzurri e ora si trovava difronte ad un'altra verità. Si scoprì indifeso, le sue certezze stavano cominciando a vacillare ma decise, anche se con prudenza, di svestire la sua anima. Era rimasto attratto da una trascinante emozione e poco gli importava se a provocargliela fosse stata una donna oppure un uomo, era un dettaglio che preferiva non restasse intrappolato nella rete di un inutile pregiudizio.

     Fabio, in rispettoso silenzio, attese che Antonio lo guardasse negli occhi, poi gli tese le mani.

     Antonio, dopo aver deciso di incontrare quello sguardo color cielo, allungò le sue mani verso quelle di un uomo che stava permettendo alla sua mente di orientarsi verso una nuova prospettiva esistenziale.


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