Il nome Paolo Miletti ancora non avrebbe detto nulla a nessuno per molto tempo, anonimo come molti e insignificante più di tanti. Ma da un semplice volantino letto per strada derivò una scelta. Da una serie di scelte sorse uno sbaglio, poi un altro e un altro ancora. Sin quando nacque una storia: la sua e quella dei Teatranti di Rivarossa. Buon viaggio a tutti voi.
Paolo aveva compiuto vent'anni il mese prima, ad agosto, e da un anno si era trasferito dalla periferia milanese in quel di Rivarossa: la più grande, popolosa e importante città dello stivale.
Sognava di diventare un lottatore di wrestling sin da quando era un bambino, sin da quando ci fu quel famoso boom in Italia sulle reti nazionali. Finito il liceo, così, decise di inseguire il suo sogno, facendo domanda ad alcune delle più importanti accademie italiane. A Rivarossa appunto.
"Cosa ho da perdere? Sono qui, sono qui per questo!" farfugliava tra sé tutte le mattine, ostinandosi a sorridere davanti allo specchio. Ma la fatica non venne premiata, mai. Nessuno decise di accettarlo per un percorso a lungo termine, nessuno vide il grande Paolo Miletti nel quale il piccolo Paolo Miletti credeva. Perché? Alle volte la fame non era sufficiente per appianare "evidenti" limiti caratteriali, tanti allenatori ed istruttori preferirono gente con "più talento".
Nel giro di dodici mesi furono ripetute molte volte le stesse frasi, gli stessi insulti e lo stesso finale. "Non hai talento", "Perché hai paura?", "Preferirei vedere la vernice asciugarsi, anziché perdere tempo con un codardo come te!", "Tornate l'anno prossimo, magari sarete più fortunati" oppure, l'immancabile... "Ma ti sei cacato nelle mutande?".
Dovette battere la mano al tappeto, in segno di resa, nei suoi match con la vita parecchie volte, ma non pianse mai. Sì, leccarsi le ferite era normale, faceva parte del gioco, ma perseverare si stava rivelando frustrante. Così come lo era spaccarsi la schiena a furia di piccoli lavoretti per pochi spiccioli macchiati del suo sudore; tutto quanto reinvestito in attrezzi da ginnastica, brevi seminari e qualche poco convinta pacca sulla spalla.
Era una mattina di metà settembre, ma dalle temperature pareva ancora luglio inoltrato. Tornava dall'ennesimo fallimento, l'ennesimo no. Dicevano che non aveva carisma e che fosse troppo impacciato nei movimenti. Sembrava avesse perennemente paura di far del male agli altri, oltre che a sé stesso. Si sentiva sconfitto. Una nullità.
Stava camminando per strada, col borsone a tracolla tenuto in spalla, durante una di quelle giornate umide, soffocanti e che si sperava finissero in fretta. Si sudava come maiali. Era una zona di periferia, malandata e dai palazzi fatiscenti. Pochi negozi ma tanti volti tristi, molti con lo sguardo ipnotizzato dal telefono cullato tra le mani, ragazzini a fumare di nascosto nei vicoli, gatti che uscivano dai bidoni della spazzatura, si poteva persino udire una coppia che litigava a pieno volume sul proprio balcone. C'era grigiume in giro, Rivarossa rappresentava anche questo, oltre che uno dei più importanti centri culturali del mondo. Migliaia di artisti venivano da ogni dove per abbracciare la via dell'arte, per cercare d'imbroccare una strada che per molti sarebbe rimasta una semplice utopia. E Paolo, ormai, se ne era fatto una ragione. Nel suo cuore si era convinto d'aver fallito.
L'orologio segnava mezzogiorno passato e lo stomaco prese a brontolare. Non faceva un pasto decente da più di una settimana. Frugò nelle tasche dei suoi bermuda a tema militare a caccia di qualche spicciolo, scovando la bellezza di quarantacinque centesimi.
Sbuffò.
Non gli era rimasto molto sul conto, poco più di una cinquantina d'euro, e continuava a rifiutare gli aiuti proposti dai suoi genitori. Voleva camminare con le sue gambe, patire sulla propria pelle la voglia di combattere. Vivere una scelta, nel grigio e nel nero. Solo così, pensava, sarebbe potuto diventare qualcuno.
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I Teatranti Di Rivarossa
General FictionUn gruppo di giovani si ritroverà, per caso o per necessità, a seguire un folle e visionario progetto teatrale, condotto da uno squattrinato artista, Antonio Voliero, e la sua seconda in comando Anita Favalli. "Tutti possoni dire qualcosa, ma in poc...