bergamo

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EMMA'S POV

1 settembre 2018, 14.06

Sono passate 4 ore da quando ho lasciato la Lombardia. Ho ascoltato le canzoni della mia playlist almeno un centinaio di volte e proprio mentre sono tentata di togliermi le cuffiette, "Irene" dei Pinguini Tattici Nucleari risuona nelle mie orecchie: è una delle mie canzoni preferite senza alcun dubbio. Lo scontro di una buca con le gomme dell'auto mi risveglia improvvisamente, in realtà non mi ero neanche accorta di essermi addormentata, ma soprattutto pensavo che quella di Roma con le autostrade ricoperte di buche fosse solo una leggenda metropolitana.                                                       

[...]

La nuova casa non mi fa impazzire, quella a Bergamo era tutta un'altra storia. I miei genitori non mi rivolgono la parola da quando siamo partiti, non ricordavo che per loro traferirsi fosse così straziante da non dovermi parlare. Appena sento la voce di mia madre chiamarmi, infatti, mi giro ringraziando la  Madonna di Lourdes per avermi concesso la benedizione.

"Emma quale camera preferisci? Quella accanto alla cucina oppure quella in mansarda?" vedo le sue labbra muoversi, ma in un primo momento non riesco a decifrare cosa sta dicendo, tutta colpa di un individuo che passa accanto alla nostra auto mentre cerco nel bagagliaio lo zaino con le mie cose.  E' biondo, riccio ed abbastanza alto, di certo supera il mio metro e sessantatré e mi pare di aver sentito i suoi amici chiamarlo Mattia. Dopo essere uscita dal mio stato di trance, alzo la testa sistemandomi alcune ciocche di capelli dietro l'orecchio. "Prendo quella in mansarda" mi avvio verso la porta, voltando le spalle a mia madre e cercando di eliminare quel ragazzo dalla mia mente per esplorare la nuova casa.

Da oggi vivo a Parioli che dovrebbe essere una delle zone più ricche di Roma Nord, anche se non l'ho capita poi così tanto bene questa distinzione tra Nord e Sud di Roma, pare sia una vera e propria lotta di classe.

"Emmaaaa" sento mio padre gridare il mio nome dal piano di sopra, precisamente dal bagno, lo raggiungo e mi poggio allo stipite della porta aspettando che dica qualcosa. "Che dici come ti sembra il posto?" "Beh pà, sembra molto figo. Ma sai già quanto dista scuola da qui?" lo dico quasi sussurrando, come se nessuno dovesse sentirci, guardando in terra lo scatolone con tutti i miei libri. "Non lo so ancora, dopo mentre pranziamo" virgoletta in aria "possiamo controllare insieme" annuisco con la testa e gli sorrido, il rapporto che ho con mio padre è speciale. Lui fa lo psichiatra, a casa non c'è quasi mai, non l'ho mai visto tanto presente nella mia vita ma è quella persona che sa leggermi l'anima, che solo con uno sguardo capisce cosa voglio dire o cosa penso, è il mio confidente sin da quando ne ho memoria, mentre con mia madre è tutto il contrario. Abbiamo un rapporto senza dialogo, penso di non aver mai sentito pronunciare un "ti voglio bene" che mi riguardasse e credo che ce l'abbia ancora con me perchè ho scelto il linguistico anziché lo scienze umane, pensava di poter creare una tabella di marcia del mio futuro, quando non capisce che non siamo in un film e che Emma il suo futuro se lo scrive da sola, forse è per questo che non andiamo d'accordo: opinioni troppo differenti e lontane fra di loro.

Per mia madre omosessuale è diverso, per me è la normalità. Per mia madre nero è diverso, per me è la pura e completa normalità. Vivo in una famiglia con una madre omofoba e razzista, ecco perchè tra di noi non c'è legame.

Riesco finalmente a portare tutto nella mia camera, è molto spaziosa e luminosa, devo ammettere che mi piace. Tiro le cose fuori dagli scatoloni e sistemo alla rinfusa, pensando che avrò tempo per ordinare tutto a dovere. Mi butto sul letto osservando il soffitto, non riesco a togliermi dalla testa quel maledettissimo ragazzo, i nostri occhi si sono incrociati per un solo istante ma è sembrato fosse passata un'eternità. Sento la porta cigolare leggermente e mio padre affacciarsi con un sorriso, chiedendomi il permesso per entrare, acconsento e si siede sul bordo del letto.

"Ho controllato e per arrivare a scuola il tragitto è lungo, circa 40 minuti" spalanco gli occhi, il mio desiderio di andare a scuola a piedi ogni giorno è svanito improvvisamente "Devi prendere il 223 fino Termini e poi l'H fino a Trastevere e da lì cammini fino a Campo de' Fiori" gli sorrido, avvicinandomi a lui per stringerlo, è stato un gesto che mi è venuto spontaneo, credo che mio padre finalmente si meriti un posto di lavoro dignitoso che gli faccia guadagnare tanto denaro quanta è la sua bravura in ciò che fa, lui è così in ogni cosa, ci mette sempre il cuore. Mi lascia un bacio sulla testa levandosi poi gli occhiali appannati per pulirli con la maglia "O sennò potrei sempre accompagnarti io prima di andare a studio" "No papi, non preoccuparti. Andrò con i mezzi, devo soltanto cercare di capire come funziona qui a Roma" "So che ti troverai bene Emma" lo dice sicuro di ciò che pensa, non esita neanche un momento mentre pronuncia quella frase e io spero con tutta me stessa che abbia ragione. Esce poi dalla camera, lasciandomi con i miei pensieri.

Mi alzo e prendo un libro sistemato poco fa sullo scaffale, Il ritratto di Dorian Gray, il mio preferito in assoluto, Oscar Wilde si è davvero superato, se potessi gli stringerei la mano per congratularmi.

Sento riecheggiare nuovamente il mio nome per tutta la casa, probabilmente sarà mia madre che mi avverte di scendere per mangiare, lascio il cellulare e il libro che avevo scelto di rileggere sulla scrivania e scendo in fretta e furia le scale, quasi inciampo nel percorso. I miei ridono, la situazione rende la mia giornata stranamente piacevole, guardo il tavolo ad isola apparecchiato con al centro una scodella di insalata, sempre la stessa e solita insalata da ormai 16 anni. Mi siedo sullo sgabello e mi riempio il piatto, si siedono anche mamma e papà e sorrido ad entrambi che compiono il mio stesso gesto. Accendiamo la tv e dopo anni mi ritrovo intorno ad un tavolo con la mia famiglia, dopo anni mi sento completamente appagata.

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