"Mi chiamo Billie Brown e sono figlia di due militari, Ruth Franklin e Miquel Alexander Brown,sono di origine inglese e.."
Stavo per finire il mio lunghissimo discorso per presentarmi davanti ai miei nuovi compagni di classe delle superiori , quando la voce di Benjamin Sparks, il cosiddetto figo( che equivalerebbe al ragazzo "tutto muscoli e niente cervello") si mise a urlare:" Sisi, ti va di dire inoltre come sono morti i tuoi genitori o pensi che siano ancora lì a casa, ad aspettarti mentre torni da scuola, a prepararti la cena e quel tuo comodo lettino dove, prima di chiudere quei tuoi occhietti, ti rimboccano le coperte e ti cantano una ninnananna? Ma per piacere."
Io,mentre quel celebroleso parlava, pian pianino iniziai a buttare giù una lacrima dall'occhio nero, poi un'altra dall'occhio verde, neanche la sgridata dalla professoressa mi trattene, e ,penso di aver fatto bene, gli saltai addosso e iniziai a prenderlo a pugni( non mi ricordo come abbia fatto,ma è stato un miracolo che io sia riuscita ad assalire uno alto cinquanta centimetri in più e con il peso pari a quello di cinque o sei angurie). Questo, perché aveva iniziato a dimenarsi, mi morse la mano destra, facendomi trattenere dal dolore, poi mi sputò in faccia. In quel momento non sentii più le voci che mi giravano, nè le urla della mia insegnante, neanche i cori dei miei compagni, e feci quello che, secondo il destino, avrei dovuto fare, ovvero, morsi la guancia Benjamin e tirai.
Il sangue gli ricopriva il viso, e sentii uno schiaffo che mi baciò la guancia, facendomi piuttosto male. Due braccia esili, ma allo stesso tempo forti rispetto alle mie,sollevarono il mio corpo esilino e lo portarono in presidenza, da dove non uscii, finché non arrivò la direttive dell'ostello che mi ospitava.
Tornare a "casa" non fu molto piacevole. Non mi ricordo il nome del centro di accoglienza dove avevo avuto vitto e alloggio per la bellezza di 10 mesi, ma non mi sono dimenticata della puzza di fumo e di muffa, degli scherzi dei ragazzi più grandi e delle cattiverie delle "fanciulle"( non dico arpie solo perché non hanno in corpo da uccello ) della mia età.
Appena arrivai mi presero a botte e mi tennero nello scatolone della vergogna per due giorni, finché, ringrazio Dio per questo, un uomo, dai capelli color cenere, mi prese e mi portò via, lontano.
Mi mise in una macchina, nera come la pece e con gli interni in pelle bianca. Fuori nevicava e dalla macchina, il mondo sembrava chiuso in una pallina di cristallo, freddo e cupo. L'atmosfera, ai miei occhi, mi suscitava mistero e inquietudine, ma allo stesso tempo calma.
Quell'uomo mi offrì del cioccolato e una bottiglia con dentro del succo d'arancia.
Gli domandai sgarbatamente:" chi sei?"
L'uomo mentre guidava, si girò indietro e mi rispose:" colui che ti porta via ahah, cerca di dormire ragazzina, lascia fare a me, ti devo trovare una casa."
"Una che?" Domandai piuttosto sbalordita, avevo dimenticato il significato di quella parola, tanto che mi sembrava strana pronunciarla:" casa, C-A-S-A no? L'ostello dove alloggiavi ti ritenevano troppo debole e allo stesso tempo, troppo violenta e maleducata, così mi hanno chiamato, sperando che, facendoti cambiare luogo e persone che ti circondano, non intendo in compagni e gli amici ma "famiglia", magari cambierai anche te stessa. Io, per ora sono il tuo Babbo Natale, solo che sono vestito di nero e non ti regalo giocattoli, ma una nuova vita, Billie Brown, e.. Oh accidenti ho sbagliato strada, vedi cosa succede a farmi parlare mentre guido? Dai dai, dormi, il sonno ti fa bene alla pelle."In quel momento volevo scappare, volevo i miei genitori, volevo che fossero lì, vestiti da militari, che con i loro fucili spaventassero l'uomo e che mi portassero via, prendendomi in braccio come una bambina piccola quando, per il sonno, non riesce più a camminare. Magari accadesse tutto ciò.
Dopo dieci minuti, i movimenti della macchina dovuti alle curve iniziarono a cullarmi, appoggiai la testa al sedile, facendomi male alla guancia gonfia e ancora rossa( quella donna aveva le mani pesanti) ma non ci feci caso, perché sentivo la mia testa troppo pesante, e, come un fulmine che arriva all'improvviso, il sonno chiuse le mie palpebre, impedendomi di vedere quel mondo dal finestrino della macchina, chiuso nella palla di cristallo.
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Sono solo dettagli
Fanfiction“Siamo tutti artefici del nostro destino, ma spesso non ce ne rendiamo conto.”