1. Non amiamo le sorprese

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Mi chiamo Ginevra ho diciasette anni e un serio problema di rabbia.

Io e il mio migliore amico di nome Elia facciamo casino in classe e credo che anche lui stara' scrivendo piu o meno le mie stesse cose: sa ci conoscamo da anni ormai e sembriamo telepatici.

Non ho idea di cosa altro devo scrivere dato che e' lei a dover dirci cosa siamo anche se lo sappiamo gia.

La penna che scorreva sulla carta era l'unico rumore nella stanza: cinque ragazzini stavano cercando di spiegare la motivazione della richiesta di iscrizione al gruppo di supporto scolastico, anche descrivendosi un po'.

Accanto alla corvina, un ragazzo stava incidendo con la penna parolacce e simboli di videogiochi facendola quasi strozzare dal ridere: zittiti da una castana al banco dietro, facevano una linguaccia e tornavano a scrivere parole sconnesse su loro stessi.

Dopo aver scosso la testa, Rachele continuava il suo tema, precisamente alla terza facciata; cercava di ignorare le risatine del mocciosetto accanto a lei, che si passava le mani fra i capelli ogni tre parole.

"Hey, hey secchietta! Non è che per caso sai come fare lo spelling di 'iperattivo'?"

Interdetta, ripeteva lettera per lettera all'euforico biondo, che aveva intanto un sorriso stampato in faccia che metteva in mostra le lentiggini.

"Heheh, grazie riccia!" Esclamò il ragazzo, facendole leggere di sfuggita il nome "Thomas " nella prima riga del foglio.

A Thomas questa situazione non piaceva per niente: guardava i due giganti davanti a lui e già tremava al pensiero che potessero avvicinarsi a lui anche solo per chiedergli l'ora; stessa cosa per Walter, ma non era ancora pronto per quella conversazione, sarebbe seriamente svenuto al solo posare del suo sguardo su di lui.

Walter dal canto suo sarebbe dovuto essere agli allenamenti di Hockey su ghiaccio a quell'ora, peccato che sua madre abbia deciso di mandarlo in 'sto posto, con gente che a malapena conosceva.

[...]È da due ore che son qui e per la prima volta mi sento anonimo, come se non esistessi e fossi l'ennesimo malato di mente che non sono, ma i miei sono cristiani doc. e hanno l'apertura di mente uguale all'apertura dei pacchetti delle penne bic[...]

Scribacchiava distrattamente, più guardando la prof di Italiano bacchettare per la (arrotondando per difetto) decima volta i due al primo banco, quasi lasciandosi scappare una risata.

Per quanto stessero in silenzio (a parte i due ai primi banchi), i cinque ragazzi erano comunque concentrati a guardarsi a vicenda, intesi a cercare di capire le motivazioni degli altri per trovarsi in quel posto, quasi a voler leggere i temi degli altri: le ore passavano e ormai Rachele aveva finito il foglio protocollo.

Quando la professoressa passò a prendere i vari testi (non prima di aver assegnato una nota ad Elia e Ginevra), il gruppo iniziò a ritirare le proprie cose.

"Per oggi abbiamo finito, leggerò i vostri temi e la prossima settimana ne parleremo" li congedò la prof, mentre i cinque uscivano dall'aula.

Nel corridoio le strade sembravano quasi dividersi, mentre Ginevra ed Elia si dirigevano verso l'uscita e Rachele posava i libri nell'armadietto, andando poi via anche lei.

Thomas, visibilmente imbarazzato ma imperterrito nel prestare la minore attenzione possibile al biondo accanto a lui; con un "Ciao" veloce, si precipitava fino al cancello in ferro e lasciando Walter da solo a riflettere.

Nessuno di loro intendeva definirsi curioso verso gli altri, soprattutto l'accoppiata andata via per prima; in strada, camminano uno affianco all'altra evitando l'argomento 'gruppo di sostegno' e chiacchierare invece su anime e videogiochi.

"Vieni da me?" Chiese la ragazza indicando la casa in fondo alla via.

L'altro annuì e insieme andarono fino alla villetta a schiera, dal tetto granata e le pareti cosparse di rampicanti.

Quella serata per loro fu molto più silenziosa di tutte le altre, seppur Elia volesse effettivamente spezzare il silenzio.

Ginevra era invece ostinata, sfogliava le pagine di un manga, senza però leggere le scritte a giudicare dallo sguardo perso.

"Va bè io dormo, non so che fare. Non scaricarmi il joystick" sbottò la ragazza, lanciando il volume e buttandosi sul materasso, la maglietta larga e grigia ancora addosso.

L'altro la raggiunse, sdraiandosi accanto alla bionda e tirandosi le coperte fino al collo.

"Che hai?" Chiese Elia nel silenzio, ottenendo solo un sospiro; il ragazzo appoggiò la testa sulla spalla di Ginevra, giocherellando con la manica della t-shirt.

La bionda si girò verso di lui, con un'espressione corrucciata.

"Non ami le sorprese, vero?" Tirò ad indovinare il castano; l'altra annuì.

"Credo sia lo stesso anche per te e gli altri mocciosi in quel gruppo" ribattè Ginevra; aveva ragione, nessuna di quelle cinque persone avrebbe voluto trovarsi nell'aula di letteratura, quel giorno.

Avevano tutti le loro vite, i loro problemi e i loro interessi, quasi estranei a quelle degli altri; si chiedevano perchè non potessero semplicemente andare da uno psicologo piuttosto che stare lì, ad ascoltare i dilemmi degli altri e cercare di risolvere problemi, seppure non avessero idea di come farlo.

Difatti non diventarono loro stessi psicologi, non intendevano passare una o due ore ad ascoltare gli altri, il tutto cominciò davvero solo al di fuori dall'aula di italiano, alle 17.00, di Mercoledì.

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~Avery

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