cap. 2

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Il giorno seguente mi sveglia di buon umore, sentivo che la giornata difficilmente mi avrebbe creato problemi. Partii come al solito verso le sette, la giornata era soleggiata e riuscivo a sentire ogni singolo raggio di sole penetrare nella mia pelle, l'arie era fresca e lasciava sulla pelle un leggero frescore. Mi fermai qualche minuto sulla soglia di casa e prima di partire feci un lungo sospiro. Si, la giornata mi avrebbe recato gioia.

Arrivata alla fermata dell'autobus notai di essere in anticipo di un quarto d'ora, cosi decisi di avvicinarmi alla bottega che il giorno precedente mi aveva incuriosito tanto, guardandola da vicino, vidi che sulle vetrine erano esposte delle pergamene e delle polveri, i nomi susscritti erano in latino e questo mi complicò di gran lunga capire il loro significato. Le erbe sembravano aromi o spezie, ma avevano colori molto strani per essere spezie.

Il vetro riflettendo la luce del sole mi impedivano di vedere al suo interno, così misi una mano per coprire la luce e notai che sul balcone della bottega c'erano degli strani ciondoli, sulle mensole retrostanti cerano delle ampolle piene di liquidi, alcune avevano delle colorazioni molto sgargianti, altre opache, altre trasparenti, ma quelle in maggioranza erano di colore nero come la pece, di un nero talmente profondo da sembrare infinito.

Ero intenta a guardare dentro la bottega quando un signore mi si avvicinò e con un tono esuberante mi chiese cosa stessi cercando, li per li mi prese di sprovvista e l'unica cosa che riuscii a dire fu:

- nulla, guardavo.

Me ne andai sentendo gli occhi dell'uomo che mi giudicavano in silenzio.

Attraversata la strada mi diressi verso la fermata, voltatami notai che l'autobus stava arrivando, così feci un leggero cenno con il braccio per fermarlo. L'aria mi accarezò la mia mano e laciò su di essa una sensazione di leggerezza.

Quel giorno l'autobus era meno pieno del giorno precedente e riuscii a sedermi vicino al finestrino nel posto un angolo ai 4 posti uno di fronte all'atro. Mi sedei con la testa appoggiata al finestrino, le cuffiette avevano la musica quasi al massimo e il cappuccio mi copriva quasi completamente tutto il capo, lasciava intravedere solo la bocca e i miei lunghi capelli castani.

Nella mia testa riecheggiavano solo ricordi dell'estate ormai passata.

Mi stavo per addormentare quando vidi un ragazzo sul posto a sedere opposto a dov'ero che parlava con un suo amico indicandomi e ridendo. Lo gurdai male ma a causa del cappuccio penso che non lo abbia notato, mi sedetti composta, tirai giù il cappuccio e non distolsi più lo sguardo dal finestrino. Non so perché lo feci, forse per paura del giudizio; ma infondo chi non ne ha, cerchiamo sempre di far vere il meglio di noi, molte volte mentiamo, e a volte la menzione ci trascina in un baratro che ci costringe a creare maschere, ci fingiamo altre perone e sopprimiamo la nostra tessa natura.

Vidi da lontano il cancello della scuola e ricordo che mi diressi verso la porta dell'autobus per scendere appena si sarebbe fermato.

L'autobus percorse il viale del liceo e si fermò nel parcheggio. Scesi per prima, con la testa china e il cappuccio nero su di essa mi diressi all'entrata.

Ricordo che corsi in bagno per riprendermi dall'imbarazzo.

Quel giorno avevo dimenticato l'orologio a casa e il telefono era in fondo allo zaino, così persi la concezione del tempo

Ero talmente sovra pensiero che non sentii nemmeno la campanella e una volta uscita dal bagno per i corridoi non c'era più nessuno.

Presa dall'ansia mi dimenticai pure la classe, così decisi di entrare alla seconda ora.

Girai per i corridoi, in attesa, la scuola sembrava deserta, tranne ogni tanto che si sentivano qualche urlo dei professori arrabbiati.

Arrivai nell'area della scuola dove si esponevano tutti i lavori fatti dagli studenti nelle ore si laboratorio, rimasi incantata delle variazioni di colori e forme, si passava da disegni a statue, da collage a origami, anche le pareti retrostanti erano tutte colorate con delle macchie di colore sparse in ogni singolo punto, ogni singolo spiraglio emanava creatività. La luce entrava attraverso le tapparelle, ogni cosa nella sua traiettoria era sezionata in righe orizzontali tra luce ed ombra.

Notai una statua in particolare, rappresenta un donna, con addosso una tunica lunga fino ai piedi e aveva un cappuccio in testa che lasciava intravedere solo la bocca, in mano aveva un bastone da passeggio solo che era molto più lungo, li arriva al capo, nell'altra invece ave un pendolo molto simile a quelli che avevo visto nella bottega.

Stavo per sfiorarla, quando qualcuno mi interruppe.

-Che fai?

-Niente

Risposi girandomi con la testa china. Appena la alzai vidi il ragazzo che nell'autobus rideva di me insieme al suo amico.

-A ora ti riconosco sei la tipa dell'autobus. Giusto?

- Si sono io, quindi?

-Quindi nulla, ti ho vista e sono venuto a presentarmi

-OK...

Risposi a disagio

-Allora, io sono Mattia Lambo e sono praticamente il ragazzo più popolare della scuola se non lo avessi capito

Ricordo che li feci un cenno con la testa come di indifferenza

-Ho notato che stavi guardando quella statua, bella vero!

-Si, carina

-L'ha fatta una studentessa dell'anno scorso ora lei ha 20 e ha finito la scuola. Sai era molto strana, se ne stava sempre per le sue e non parlava quasi mai con nessuno, un po' come te vero cappuccetto.

- Cappuccetto!? Perché mi hai chiamata così?

-Perché ti ho vista anche ieri e indossavi lo stesso cappuccio

Fortunatamente suonò la campanella e io corsi in classe per uscire da quella strana e imbarazzante conversazione.

Entrai in classe e cercai una scusa per il prof, anche se non penso mi credette molto.

Vero le 11 suonò la campanella della ricreazione, uscii dalla classe con i libri per cambiare aula, ero quasi sulla porta quando il professore mi chiamò per dirmi che non doveva più accadere il fatto che entrassi alla seconda ora, io li feci un piccolo cenno con la testa come di concordio e indietreggiando di schiena andai addosso a Mattia. I libri volarono in aria ed io, caddi di schiena e per poco non battei la testa. Appena riapri gli occhi vidi Mattia insieme ai suoi amici, alcuni erano preoccupati, ma era palese stessero ridendo sotto sotto, ma la presenza del prof impediva il loro divertimento. Il prof mi corse in contro per aiutarmi, rialzatami notai che Mattia mi stava guardando con un'espressione di superiorità. Non feci nemmeno in tempo a prendere i libri che Mattia disse testuali parole:

-La prossima volta stai più attenta, mi hai macchiato la giacca di pelle.

Raccolsi i libri e me ne andai a passo svelto con un forte mal di testa, mi diressi verso l'infermeria della scuola, dopo alcune visite mi dissero di tornare a casa e riposarmi.

Mia mamma mi venne a prendere in macchina.

Il viaggio lo trascorremmo quasi completamente in silenzio, finché, non mi scoppiò un mal di testa straziante, incominciai a gridare, mia mamma fermò la macchina di colpo.

Mi sentivo morire dentro.

Ad un certo punto il dolore era talmente straziante che non riuscii più a gridare, mi sentivo lacerare l'anima, sentivo pervadere il mio corpo da un dolo sovrumano, a quel punto "esplosi" emisi un grido talmente acuto che mi recò fastidio e dovetti tapparmi le orecchie, talmente lungo che mi mancava il respiro.

I finestrini della macchina esplosero e delle schegge di vetro si conficcarono nella pelle mia e di mia mamma, smisi di gridare, le orecchie mi fischiavano, mi sentivo svuotata, il mio volto era spento, vuoto, inerme.

Svenni...

Il canto di un ibridoWhere stories live. Discover now