Cap. 1

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Il mio nome è Noa Swim, e questa è la mia storia.

Vivo in Carmel-by-the-Sea, California, la mia è una cittadina tranquilla, con poco più di 4000 abitanti; all'epoca avevo 16 anni e mi ero trasferita da poco, il giorno seguente sarebbe stato il primo giorno di scuola ed ero leggermente agitata.

Vivevo con mia madre, mio padre e mia sorella di 13 anni, la mia è una famiglia tranquilla e tradizionale, che lavora in un negozio di abbigliamento. SI, era normale, se escludiamo il fatto che mio padre non cera mai, era sempre in viaggio per lavoro e tornava solo per le feste, mia mamma aveva un amante e cercava di tenerlo nascosto, come se io e mia sorella fossimo cieche, e infine mia sorella stava passando una fase in cui tutto aveva il colore nero. Li per li pensavo di essere lunica normale in quella famiglia, cosa che più avanti capirò non esser vera.

La mia migliore amica si chiamava Diletta, lei è la solita ragazza americana che si vede nei film, alta, magra, bionda con occhi azzurri. Lei viveva in un piccolo paesino a 500 km da me, prima a separarci cera solo il vialetto di casa ora a separarci sono chilometri interminabili. Ricordo ancora come ci siamo conosciute, a ripensarci mi fa quasi ridere, eravamo in seconda elementare e la docente di allora sapeva che tra noi non scorreva buon sangue, così decise di metterci in gruppo insieme per fare una ricerca, non so quale sia stato il suo intento, ricordo solo che allepoca la odiavo tanto per questo. Man mano che passavamo le giornate insieme abbiamo scoperto di avere più cose in comune di quanto pensassi; così diventammo migliori amiche, e dallora non ci siamo mai separate.

Appena mi trasferii mi mancava molto e ricordo che iniziare la scuola senza di lei mi spaventava parecchio.

Era il 12 settembre e quel giorno sarebbe iniziata la scuola, ricordo che mi svegliai di prima mattina per prepararmi sia fisicamente che psicologicamente, rimasi davanti allo specchio per ore, mi guardai ogni singolo punto, scrutai ogni singolo neo, e straordinariamente scoprii di averne più di quanto pensassi. Verso le 7 uscii di casa per prendere lautobus, era una giornata piovosa, le nuvole non lasciavano spazio al sole e nellaria riecheggia un leggero fischio prodotto dal vento, che si infilava in ogni singolo spiraglio che trovava. Arrivata alla fermata dellautobus, notai un gruppo di ragazzi che mi fissavano ridendo, li per li non li diedi tanto peso e distolsi subito lo sguardo.

Essendomi appena trasferita non conoscevo bene la zona e per me era tutto nuovo, ogni volta che giravo un angolo scoprivo aspetti di quella piccola città che fino ad allora mi erano ignoti; quel giorno alla fermata dellautobus notai che sulla soglia di una piccola bottega sul lato opposto della strada, cera una strana incisione, era una scritta rossa illuminata da una luce strana, quasi surreale. Mi fermai qualche minuto a fissare quella bottega e lunica cosa che mi distaccò fu lautobus con lo stridore delle ruote, che sfrecciavano sullasfalto quasi bagnato dalla nebbia. Lo fermai in corsa facendo un piccolo cenno con il braccio, lo sguardo dellautista era assonnato, chi sa quanta strada aveva fatto prima di arrivare da me e chissà quanta strada avrebbe fatto dopo. Salii spintonata a destra e a sinistra dalle persone che scendevano e salivano, i posti al suo interno erano tutti occupati così fui costretta a stare in piedi, tra un finestrino e un signore. Il viaggio fu lungo, ricordo ancora tutte quelle centinaia di volte che chiesi a mia mamma di portarmi lei, solo per guadagnare 30 minuti di sonno.

La strada era lunga, ma non mi soffermai molto sul paesaggio, ero troppo intenta a pensare come sarebbe stato il primo giorno di scuola. Rimasi immersa nei miei pensieri finché non vidi un cancello enorme e affianco ad esso la scritta J. High School incisa su un blocco di pietra, così capii di essere arrivata.

Varcai il cancello con una sorta di nausea mista ad ansia. Lautobus prima di fermarsi percorse la strada che passava davanti all'entrata della struttura, per poi fermarsi nel parcheggio degli autobus. Scesi altrettanto spintonata, come nella salita. Nell'aria si sentiva un odore di benzina e sudore, ma ero troppo agitata per farci caso.

Entrai nella scuola, il cuore mi batteva a mille e lunica cosa che riuscivo a sentire era il suo battito, mi distolse il suono della campanella della prima ora, mi affrettai ad andare in classe per prendere lultimo posto dellultima fila. Mi sedetti e tirai fuori i libri, quando entrò il professore cercai di nascondermi dietro alle mie compagne, lultima cosa che avrei voluto fare era attirare lattenzione.

La giornata passò velocemente, ricordo che passammo tutte le lezioni con il coordinatore il prof. Foster.

Fortunatamente non diedi nellocchio, come volevo che andasse, in fondo; tornai a casa verso le 16, mi chiusi in camera tutto il pomeriggio e non ne uscii fino a ora di cena, poi ci ritornai e stravolta mi addormentai.

Il canto di un ibridoWhere stories live. Discover now