Cap. 3

15 0 0
                                    

"Sento delle voci, in lontananza, distaccate... Cos'è questa luce accecante".

Aprii gli occhi molto lentamente, le orecchie mi fischiavano e un mal di testa non mi lasciava intendere come volevo.

La luce entrava dalle tapparelle quasi completamente aperte. Una sagoma di una donna girata di spalle parlava con una ragazza sulla soglia della stanza.

Guardandomi intorno vidi che affianco al letto c'era un comodino, sopra ad esso un calendario, 17 settembre 2015 era la data su scritta; "strano" pensai.

"mamma"

Sussurrai. La voce era rauca e la gola mi faceva malissimo, mia madre si girò di scatto con le lacrime agli occhi, un po' per la preoccupazione, un po' perché finalmente mi ero svegliata. La dottoressa mi si avvicinò sorridendo e mi fece delle domande,

"come stai? Senti dolori particolari, alla pancia o alla testa?",

l'unica cosa che riuscii a dirgli fu "sto bene non si preoccupi" anche se stavo tutt'altro che bene, la testa mi scoppiava, la gola mi andava a fuoco e stavo morendo di fame. La dottoressa mi guardò sorridendo e se ne andò.

Non feci nemmeno in tempo a girarmi che mia madre si era già fiondata ad abbracciarmi,

"aia mi fai male, non stringermi così forte"

le dissi quasi subito,

"si scusa".

Si tirò su asciugandosi le lacrime con la manica della camicia, vedevo che cercava di essere forte per me, ma in verità voleva solo tuffarsi in un mare di lacrime.

" cos'è successo. L'ultima cosa che ricordo è che eravamo in macchina e poi il nulla"

Non feci in tempo a finire di elencare le domande che mi interruppe,

"eravamo in macchina, poi hai cominciato a gridare, non ti ho mai sentito gridare così, è stato straziante, il parabrezza dell'auto è andato in frantumi e siamo andate a sbattere",

in effetti guardandola bene era piena di cicatrici,

"ricordo solo che tu svenni e che vidi arrivare l'ambulanza. Come vedi io mi sono ripresa ma tu è già da 7 giorni che non ti svegliavi e..."

"aspetta quanto? 7 giorni!?"

la interruppi sconvolta e lei con un sorriso di consolazione annuì.

Il cuore mi batteva forte e l'unica cosa che riuscii a dire fu:

"em ok. aspetta il resto me lo racconti un'altra volta, ora devo metabolizzare bene quello che mi hai già detto".

Girai la testa dall'altra parte e li chiesi se poteva portarmi qualcosa da mangiare.

"NOA....!"

Mi guardai intorno, non vidi nessuno.

"NOA.....!"

"mamma lo senti anche tu" chiesi,

"sentire cosa?",

feci un cenno con la testa come per dirle: "nulla lascia stare"

"NOA....!"

"di nuovo questa voce che mi chiama , ma chi é" pensai.

Aveva un suono quasi sussurrato e molto calmo, di un uomo, non so perché, ma la sua voce mi dava un senso di sicurezza, mi rilassava in maniera strana, mai provata.

Decisi di lasciarla perdere.

Finalmente mia madre mi portò del cibo e io mangiai come mai prima d'ora, nonostante fosse un tramezzino delle macchinette ,lo assaporai lentamente , cercando di cogliere ogni singolo sapore anche se palesemente chimico.

Passarono 2 giorni e finalmente potei tornare a casa. I giorni seguenti furono tutti uguali, monotoni e noiosi. L'unica cosa che riusciva a farmi uscire di casa ogni mattina, era quella bottega sul ciglio della strada; ogni giorno riuscivo a scrutare angoli e ampolle diverse, sempre più colorate e strane.

Arrivò il 30 settembre, il mio compleanno, mi alzai dal letto con il sorriso, sapevo che sarebbe stata una giornata speciale, ma non perché era il mio compleanno, ma perché finalmente avrei soddisfatto la mia sete di curiosità, sarei entrata nella bottega.

Il canto di un ibridoWhere stories live. Discover now