Prologo

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New York City è il cuore pulsante del mondo. Il jazz avvolge gli edifici di mattoni di Harlem fino alle due del mattino. Un sole caldo e ristoratore pennella di oro le acque che bagnano le isole newyorchesi. Central Park, innevato, si tinge di arancione. Little Italy si risveglia al profumo di pizza, mentre nel resto di Manhattan la foschia si innalza oltre i giganti di vetro e d'acciaio, per lasciare libero spazio agli instancabili tassisti mattinieri. Le sirene della polizia in pattuglia e i clacson imperterriti accompagnano le sveglie altisonanti, che da una finestra all'altra rompono quel breve istante di silenzio creatosi con l'aurora, ma nulla poteva, quella fredda mattina di Natale, distogliere la sua attenzione.

Rinchiuso nel suo studio al riparo dal trambusto cittadino, sotto l'accompagnamento di un vecchio album di Frank Sinatra e avvolto dal fumo di una sigaretta, che non voleva spegnersi, era impegnato in una difficile lettura di tre pagine incartapecorite e lacerate:

"No, non ci sono riuscito quella notte (...) Ero troppo innamorato di lei per chiudere il libro, vederla svanire tra le pagine ingiallite e dover ricominciare tutto da capo. Sì, l'ho tenuto aperto ed è stata la migliore azione della mia vita, ma ora lei soffre ed è tutta colpa mia, se solo potessi seguirla (...)"

"Vederla soffrire mi disgusta. Mi ignora perché mi accusa di farle del male. Io l'amo, ma che amore è questo? La sto uccidendo (...)"

"Le ho detto addio con un bacio. Non posso permettermi di essere tentato di nuovo, brucerò queste dannate pagine (...) E lei vivrà per sempre, mentre Baronov continuerà a (...)"

- A uccidere?-.

Logan alzò lo sguardo dai fogli ingialliti sparsi sulla scrivania e osservò l'albero di Natale in un angolo della stanza. L'odore del profumatore adagiato in un angolo della scrivania rendeva l'aria meno soffocante. Spossato, tamburellò le mani tra la tazza di caffè vuota e il contenitore di latta delle matite spuntate, sbuffando. Tornò a fissare le pagine strappate, facendo un ultimo tiro al mozzicone della sigaretta. Spossato, lo gettò nel portacenere ricolmo di cicche.

- Perché l'hai fatto... Cosa ti ha spinto a ucciderla?- borbottò, rileggendo una delle prove.

Era attratto da quel caso, così misterioso, così assurdo, piovutogli inaspettatamente sulla scrivania la notte scorsa. Un uomo di mezza età si era presentato al suo studio verso le 21.30, sudato e impaurito. Un agghiacciante pallore al viso, come se avesse visto un fantasma, benché di fantasmi a Manhattan non si aveva traccia da quando avevano arrestato un negoziante che, a Chinatown, uccideva i clienti nella cantina della propria bottega, attribuendo gli omicidi a entità sovrannaturali.

L'uomo diceva di essere l'inquilino di un palazzo situato fatalmente dirimpetto quel negozio maledetto. Non credeva ai fantasmi, ma quella sera invernale qualcosa in lui era cambiato.

- Ho sentito un rumore, come di qualcosa che cade... Forse un mobile, o un corpo - aveva cercato di spiegare, dopo essersi presentato.

Viveva solo e poteva vantarsi di conoscere tutti gli inquilini della sua palazzina, essendone il portinaio. Da qualche mese erano arrivati una coppia di affittuari, dall'accento russo, assai schivi e silenziosi. Non sapeva chi fossero, né da dove venissero.

- Stavo suddividendo la posta nel mio stanzino come mio solito, mi concilia il sonno... Quando ho sentito dei rumori sinistri provenire dal loro appartamento. Così sono salito per capire se avessero bisogno di aiuto - si interruppe, tirando fuori dal soprabito le pagine strappate.

- Cosa sono?-.

- La prova di un delitto, forse appartenenti a un taccuino a giudicare dalla grandezza... Ecco, tenga. Io non voglio saperne nulla! Sono pulito, io! Per questo sono venuto da lei e non dalla polizia... Nessuno sa, nessuno deve sapere -.

Il caso BaronovDove le storie prendono vita. Scoprilo ora