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"C'è chi è felice e sorride e c'è chi non è felice ma sorride lo stesso, poi c'è chi non sorride e ha bisogno di qualcuno che gli insegni a farlo"

Non so nemmeno da quanti giorni sono in viaggio; il tempo trascorre inesorabilmente lento e tutto intono a me sembra maledettamente uguale. Il sole, leggermente più caldo, si scontra con la mia pelle pallida mentre intorno a me le campagne sono costellate da piccoli paesini lontani. Il viaggio non mi entusiasmava; ero curioso di arrivare in quella magnifica zona della Cornovaglia ma sicuramente non mi interessava il monotono viaggio fino a li. 

Ad un tratto vidi in lontananza una figura scura e abbastanza imponente che oscurava leggermente il pallido sole delle prime ore mattutine. Non riuscivo a vedere bene l'edificio ma potevo constatare che non era uno stile propriamente barocco; era molto meno sfarzoso e più mirato all'altezza che alla bellezza. Era in legno dipinto di un azzurro tenue mentre gli assi portanti erano bianchi. Era davvero un bell'edificio e abbastanza grande ma, sicuramente la cosa più imponente era il giardino: ettari di terreno rigogliosi ricoperti di fiori da campo e alberi. Notai in lontananza un salice piangente con un'altalena che pendeva da uno dei sui rami. Ho sempre amato i salici piangenti: creano una specie di bolla, una barriera dove ci si può rifugiare al fresco e al sicuro dal caldo torrido dell'estate. 

La carrozza proseguì ancora per qualche metro per poi fermarsi davanti ad un viale in ciottoli. Scesi dal mezzo di trasporto mentre questo partiva per ritornare indietro lasciandomi davanti a quell'abitazione con una borsa piena zeppa di libri e qualche spartito per pianoforte, e una piccola valigia con i miei effetti personali. Sapevo che nella casa di Lady Igraine ero considerato al pari di qualsiasi altro domestico; se non di rango più inferiore di loro, ma facevano buon viso a cattivo gioco con la padrona di casa che, invece, mi considerava un suo pari. Mi misi in spalla la borsa e presi in mano la valigia avvicinandomi a quella che doveva essere la mia residenza per quei mesi caldi. Quando arrivai davanti la porta le mani iniziarono a sudare mentre l'ansia mi attanagliava la bocca dello stomaco in maniera feroce non facendomi respirare. Era sempre così quando dovevo presentarmi a qualcuno: l'ansia mi divorava da dentro il mio corpo per poi logorarmi lentamente l'anima. Presi coraggio e bussai un paio di volte con il battente bronzeo situato sopra la massiccia porta in legno. Poco dopo vidi un signore moro di circa 40 anni che mi scrutava non capendo chi fossi. I sui occhi chiari vagavano sul mio corpo per poi soffermarsi sulle mie valige. Stette un altra manciata di secondi a scrutarmi. Io tenevo la testa bassa mente le mani mi formicolavano.

≪Tu devi essere il figlio adottivo di Lady Igraine≫

Finalmente il silenzio fu spezzato dalla sua voce, era calma e roca ma comunque non dava nessun segno di fastidio; sembra più... curiosa e sbigottita.

≪Si esatto; piacere Thomas Brodie-Sangster≫

Cercai di far trasparire sicurezza e cordialità dalla mia voce che usciva più come un sussurro che altro; l'imbarazzo da parte mia era palpabile e si vede che se ne accorse anche lui. Tesi la mano nonostante mi tremava impercettibilmente; l'uomo di fronte mi fece un caloroso sorriso per poi afferrarmela in una stretta vigorosa. Si scostò di lato facendomi entrare in quella casa in riva al mare.

≪Amore, ragazzi; è arrivato il figlio di zia Igraine≫

Una delle due mani era a coppa per amplificare il suono. Dalle scale scesero due bambini di all'incirca 9 e 6 anni che correvano verso il padre per vedere chi era l'ospite tanto atteso. Successivamente scesero un bambino di 11/ 12 anni e una donna con un pargoletto in braccio mentre l'altra mano teneva una bambina di quattro anni. La donna mi si avvicinò lasciando la mano del bambino, che andò da una delle sorelle, e venne verso di me.

≪È un piacere averti qui≫

La sua voce era quasi angelica mentre il suo viso era tirato in un caloroso sorriso che cercai di ricambiare nonostante la mia poca sicurezza. L'ultimo ad arrivare fu un ragazzo di uno o due anni più grandi di me che correva trafelato per le scale. Le guance erano leggermente arrossate e i capelli scombinati. La maglietta era al contrario mentre i pantaloni erano messi un po a casaccio e lasciavano scoperti la caviglia sinistra. Non lo guardai in viso troppo occupato a guardarmi le scarpe e a sentirmi impacciato e fuori posto. Io non appartenevo a questa vita e non mi sarei mai abituato a tutto questo lusso. Nonostante fosse una residenza in campagna si vedeva che erano nobili e che i soldi non mancavano neanche a loro.

≪Dylan quante volte ti devo dire che quando ti chiamo per alzarti ti devi alzare e non girarti dall'altra parte come se niente fosse e continuare a dormire?!≫

La donna che prima era cordiale aveva un cipiglio sul volto mentre sgridava bonariamente il ragazzo che tentava di regolarizzare il proprio respiro. Lui farfugliò delle scuse per poi mettersi dritto e guardarmi con la testa inclinata. Mi porse la mano con un sorriso sul volto che arrivava da orecchio a orecchio. Ma era una cosa di quella famiglia? Insomma non ho ai visto gente sorridere in quel modo, sembrava che avessero tutti una paralisi facciale! La cosa mi metteva leggermente in soggezione.

≪Sono Dylan; Dylan O'Brien. Tu invece sei...≫

Presi la mano in modo abbastanza insicuro ed impacciato mentre con un tono leggermente più alto di quello usato prima gli dissi il mio nome. Alzai la testa e lo guardai in viso: i capelli corti e scuri come gli occhi, il naso all'insù e i piccoli nei che gli contornavano il viso. Sembrava un angelo. Era leggermente più basso di me forse di uno o due centimetri ma sicuramente era più forte e robusto di corporatura. Mi si bloccò il respiro mentre lo guardavo; la mano ancora stretta alla sua mi mandava brividi in tutto il corpo. Riabbassai la testa e tolsi la mano dalla sua come se fossi stato scottato mente gli altri bambini si presentavano. Era una famiglia numerosa: Elliott di nove anni; Frederick di undici; Harry, di quasi un anno; Jessica di sei anni; Hanna di tre e infine Dylan di quasi diciannove anni. Mi soffermai sull'ultimo ragazzo e l'unico pensiero che aleggiava nella mia mente mi ricordava le sensazioni che avevo provato soltanto toccandogli una mano...

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 06, 2020 ⏰

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